Angelo Bioletto (1906 – 1987)
I primi disegni italiani sul Topolino libretto
Il merito principale di Angelo Bioletto è quello di aver realizzato i disegni delle prime storie italiane pubblicate sulle pagine di Topolino libretto. Pur avendo realizzato solo poche storie, Bioletto è il primo dei disegnatori Disney italiani del secondo dopoguerra.
Tra vignette e figurine
Angelo Bioletto.
Angelo “Nino” Bioletto nacque a Torino nel 1906. Nel 1926 incominciò a lavorare in uno studio grafico dove conobbe un disegnatore, Cinico Angelici, appassionato di musica. Il futuro direttore d’orchestra trasmetterà a Bioletto la passione per la batteria, ma anche per il disegno.
Quattro anni dopo, infatti, Bioletto trovò un impiego presso il quotidiano La Stampa, realizzando rubriche o vignette singole, spesso satiriche, come “Bioletto ha visto“, “Bioletto in città“, “Taccuino di Bioletto“. Il 1934 fu un anno fondamentale per la carriera dell’artista torinese: in quel periodo, ogni domenica, verso l’una del pomeriggio, gran parte dell’Italia si fermava per ascoltare la trasmissione radiofonica “I quattro moschettieri” ideata da Angelo Nizza e Riccardo Morbelli e sponsorizzata dalle ditte Perugina e Buitoni. La trasmissione era condotta da Nunzio Filogamo.
Bioletto propose di realizzare delle figurine raffiguranti i personaggi della serie e di distribuirne una per ogni prodotto delle due ditte finanziatrici. Sarà un enorme, inaspettato, successo. Le figurine, da passatempo per bambini, diventarono un fenomeno di massa.
L’album, sempre realizzato da Bioletto, raccoglieva 100 figurine. Se completato, si aveva diritto ad un premio. Chi riusciva a completare ben 150 album otteneva in regalo una “Topolino“, l’utilitaria della FIAT più famosa di quel periodo. Tra le figurine più particolari, si ricordano il jolly (che sostituiva una figurina mancante) e le rarissime “Il Feroce Saladino” e “La Donna Fatale” (caricatura di Greta Garbo).
Nel 1939 Federico Pedrocchi, a capo di alcune testate della Mondadori, chiese ed ottenne la collaborazione di Bioletto. Dopo la realizzazione dei disegni per una storia sceneggiata da Pedrocchi stesso (la riduzione a fumetti del Don Chisciotte), diversi progetti gli vennero proposti, tra i quali una produzione de I quattro moschettieri in Francia e l’ambizioso film “La Rosa di Bagdad“, il primo lungometraggio a disegni animati italiano, al quale avrebbe lavorato pure Pedrocchi. Nel film, diretto da Anton Giulio Domeneghini, il tratto di Bioletto è particolarmente espresso nei personaggi da lui disegnati, come i tre consiglieri del califfo Oman III, Tonko, Zirko e Zizibè che ricordano un po’ i nani di Biancaneve. Il film è la storia di Zeila, detta la Rosa di Bagdad, figlia del saggio califfo Oman III. Il padre vuole trovarle un giusto marito ma il malvagio Jafar, con l’aiuto del mago Burk, utilizza la magia per conquistare la ragazza. Amin, il giovane maestro di musica di Zeila, risolverà la situazione con l’aiuto della gazza ammaestrata Kalimà.
Bioletto iniziò anche a collaborare per la neonata rivista “Il Carroccio“. La Seconda Guerra Mondiale e la morte dell’amico Pedrocchi portarono Bioletto alla decisione di interrompere tutte queste attività.
Nel 1948 incominciò a collaborare, come disegnatore, per Topolino giornale. La sua prima storia, sceneggiata da Guido Martina, fu “Topolino e il Cobra Bianco“. La prima puntata di questa storia fu pubblicata sul numero 713 e si concluse, dopo cinque mesi (causa anche la chiusura del Topolino giornale) sul primo numero del Topolino libretto, datato aprirle 1949.
Dopo aver disegnato altre due storie (sempre su testi di Martina), tra le quali la prima parodia disneyana L’inferno di Topolino, Bioletto abbandonò il fumetto, dedicandosi all’illustrazione di libri per ragazzi.
L’artista morì nel 1987.
Un “terzetto” che parte col Cobra Bianco
Gambadilegno e Molosso evocano il serpente Ganimede.
Le storie disneyane di Angelo Bioletto sono soltanto tre, tutte sceneggiate da Guido Martina che fu il primo sceneggiatore italiano del Topolino libretto.
La prima storia a fumetti di questi due autori è l’orrorifica e visionaria “Topolino e il Cobra Bianco“. Topolino invita tutti i suoi amici alla festa di compleanno di Minni. Gambadilegno ed il suo alleato Molosso, detto “Il Cobra Bianco” creano una macchina che annienta la forza di gravità, facendo sollevare in aria persone e oggetti.
L’Accademia delle scienze incarica Topolino di localizzare la fonte di tale misteriosa forza. Topolino e Pippo incominciano le indagini in aeroplano e vengono attaccati da Ganimede, un mostruoso serpente magnetico. I nostri eroi riescono a raggiungere il “Castello delle Maledizioni”, dove si trovano Gambadilegno e Molosso. Dopo aver superato una serie di trabocchetti, Topolino e Pippo vengono catapultati nel fondo di un lago. Risaliti in superficie, Pippo, in maniera un po’ goffa, catturerà i due malviventi mentre Topolino distruggerà il laboratorio di Molosso, riportando tutto alla normalità.
Questa breve sintesi della storia vuole dare solamente un’idea generale dell’atmosfera surreale e fantasiosa della prima avventura di questi due artisti, che viene ricordata soprattutto per l’humour nero di Martina (ad esempio la vignetta in cui Gambadilegno taglia in due un gatto mentre “stava in giardino, passando il tempo in onesti svaghi” o la scena in cui di Topolino e Pippo disintegrano degli uccellini in volo; oppure Minnie che, ad inizio storia, sostiene di essere felice “come il giorno in cui fu bruciata la casa di Gambadilegno“).
La storia e’ caratterizzata da una massiccia dose di humor nero.
Bioletto disegna ancora Gambadilegno col suo arto artificiale, anche se negli Usa, nella striscia pubblicata il 21 ottobre 1941 (Topolino boscaiolo), l’acerrimo nemico del topo fa notare di avere una protesi perfetta.
Tra fantasmi e vampiri, il disegnatore di Torino crea i suoi “primi” diavoli: più rozzi e decisamente meno malvagi di come saranno riplasmati nella parodia dantesca.
Tutti i protagonisti della storia paiono realizzati con uno stile che tiene ovviamente conto dell’impostazione classica dei personaggi data grande Floyd Gottfredson: Gambadilegno viene presentato con il suo arto di legno, i nasoni dei personaggi di contorno (in particolare dei diavoli e di Molosso), il pipistrello della tavola 16, l’espressione di Clarabella a tavola 3 (specialmente se confrontata con quella della storia classica “Topolino nella casa dei fantasmi“).
Bioletto, in questa sua “opera prima” disneyana ritrae gran parte dei personaggi dei fumetti: nel suo secondo lavoro realizzerà una vera e propria parata degli eroi disneyani non solo dei fumetti, ma anche dei film d’animazione.
Lo “scenografo infernale” che “tradì Dante” facendo i disegni
La vignetta iniziale della parodia.
La sua seconda storia è la parodia dell’Inferno di Dante Alighieri, la celeberrima “L’Inferno di Topolino“, pubblicata su Topolino dal numero 7 dell’ottobre del 1949 al numero 12 del marzo del 1950.
La lettura di questa opera, che senza dubbio è un capolavoro del fumetto italiano, non era sicuramente semplice per i lettori più giovani, sia per i diversi riferimenti all’opera letteraria del sommo poeta italiano, sia per i versetti in rima che Guido Martina aggiunse ad ogni vignetta.
Limitandoci però ad un’analisi dei soli disegni di Bioletto, la “scenografia” di questa “sinfonia allegra” (come scrive Martina nella prima vignetta del fumetto) è sicuramente interessantissima.
Angelo Bioletto, dopo il Cobra Bianco, affianca a Gambadilegno un altro misterioso ed inquietante collega, Abdul “il celebre ipnotizzatore del Belucistan“.
Topolino e Pippo stanno rappresentando a teatro la famosa opera di Dante e Abdul (seduto in prima fila, nella poltrona numero 17) ipnotizza i due amici, obbligandoli ad immedesimarsi per sempre nei personaggi da loro messi in scena. Nella didascalia successiva, Bioletto raffigura un corvo, uccello simbolo del male.
I tre caballeros si riuniscono.
Giunti in biblioteca, Topolino-Dante e Pippo-Virgilio si addormentano. Dal libro della Commedia un terrificante ramo a forma di mano cattura Topolino, portandolo nell’Inferno dantesco. La prima vignetta della seconda tavola della storia raffigura uno spaesato Topolino circondato da bestie infernali e feroci (lupi, serpenti), pipistrelli in volo e diversi teschi per terra. Dietro di lui, un fulmine illumina un cielo particolarmente buio.
Sarà l’arrivo di Pippo a rendere l’atmosfera meno tetra ma già nell’ultima vignetta della tavola compaiono i primi diavoli. I diavoli di Bioletto (che saranno graficamente ripresi da Luciano Bottaro nella sua storia “Il dottor Paperus“) indossano degli strani “pantaloni” e sono spesso armati di fruste o di altri strumenti da tortura. Il primo guardiano dell’Inferno viene disegnato da Bioletto come un leone vestito da poliziotto ed armato di pistola.
Bioletto, nel terzo canto, rende bene l’idea della massa di anime (disegnate, però, con chiare fattezze umane) che viene trasportata dal barbuto Caronte (disegnato come un vecchio uomo) all’Inferno. Nel quarto cerchio, nel Limbo, dei bambini si divertono a percuotere un’anziana maestra, che indossa un vestito raffigurante diverse cifre, chiara allegoria dell’aritmetica.
Ezechiele Lupo ridotto a scheletro.
Da notare, inoltre, come la filosofia venga raffigurata come un bislacco uomo che cammina a testa in giù… Nel IX canto, Bioletto raffigura le “due Furie“, chiamate nei versetti Eulalia ed Enza. Questa citazione è comprensibile solo per i redattori di Topolino: erano due collaboratrici della Mondadori, spesso prese in giro da Martina.
Dopo aver disegnato un Dumbo parlante nel IX canto, nel X è la volta di un Cucciolo telecronista. Gambadilegno è ancora disegnato senza la protesi, ma col suo originale arto di legno.
Nel XII canto Bioletto è il primo italiano a disegnare gli amici sudamericani di Paperino, Panchito e Josè Carioca.
Nel canto successivo, Pippo viene attaccato da un corvo con la testa della strega cattiva di Biancaneve, che si trasforma poi nella testa di Paperino.
Non si può poi dimenticare la tavola che rappresenta il nano Dotto insegnare a dei ragazzi poco studiosi (sono infatti… degli asini!) in una classe dove regnano gli scherzi ed i giochi. Inquietanti, inoltre, le vignette dei diavoli che inseguono con grandi siringhe i bambini che si inventavano le più svariate malattie per non andare a scuola.
Dante e Topolino.
Particolarmente efficace la vignetta principale del “Girone degli indovini”: due grossi diavoli si dilettano a far girar su se stessi indovini e scommettitori, col volto nascosto da un sacchetto di carta. Lo sfondo è inesistente, nonostante la grandezza della tavola (tre quarti di pagina): l’idea di vuoto, di vana speranza, è resa perfettamente.
Poco dopo Ezechiele Lupo viene ritratto dopo aver subito i danni dell’esplosione di uno dei porcellini: è un “cadavere” vivente che mostra le ossa…
Nella penultima tavola della parodia, Dante minaccia i due traditori massimi, Martina e Bioletto (col viso nascosto, come due boia) perché autori di questa storia. Topolino, però, riesce a convincere il poeta a perdonarli.
La collaborazione termina con i grilli
La misera fine dei gangster.
Terzo ed ultimo lavoro di Bioletto è la storia in quattro puntate Topolino ed i grilli atomici, un’avventura surreale e con una sceneggiatura quantomeno “traballante” al punto da sembrare a tratti come improvvisata: Topolino e Pippo ci vengono presentati come imbonitori occasionali in un luna park di provincia, frequentato da un’umanità variegata e assolutamente degna degli stilemi più classici del neorealismo italiano.
A causa della goffaggine di Pippo, il luna park verrà distrutto da un incendio, inseguiti da un drappello di poliziotti (Basettoni è ancora al di là dall’apparire nelle storie italiane) i due si divideranno: mentre Topolino se la caverà grazie all’aiuto di un leone del circo, Pippo, ipnotizzato, verrà coinvolto nel progetto di un furto di uranio ai danni dei Sette Nani.
Ridotto dai macchinari di Dotto prima alle dimensioni di un atomo e poi a quelle di un gigante, Pippo contribuirà a salvare la città minacciata dai suoi grilli che, a causa delle radiazioni ricevute, sono cresciuti a dismisura.
Una delle vignette tagliate dalle successive ristampe della storia.
Ben altra sorte toccherà ai suoi complici, costretti a covare uova di vespe (poi cambiate in zanzare nelle puntate successive…) alla schiusa delle quali verranno divorati dagli insetti, come potete vedere dall’immagine a fianco.
La vita editoriale di questa storia, a differenza del pluri-ristampato “Inferno“, e della semi sconosciuta “Topolino e il Cobra Bianco” e’ molto più tradizionale, essendo stata ristampata anche sulla collana “I Classici Disney” e sul numero dedicato a Pippo della collana Biblioteca Universale del Fumetto Rizzoli, anche se mancante della pagina iniziale della seconda puntata, di cui riportiamo qui una vignetta, per chi non fosse in possesso del Topolino numero 14.
Da notare quanto i vari personaggi utilizzati nella storia siano spesso fuori ruolo, segno che lo stesso Martina ancora non aveva ben chiare le direzioni che poi avrebbe fatto intraprendere ai suoi “attori”. Anche lo stile di Bioletto sembra molto più “tirato via” rispetto all’Inferno, segno forse di un imminente distacco tra Bioletto e la casa editrice Mondadori.
La voglia di cambiare, di sperimentare, che caratterizzò sempre questo artista, lo spinse ad abbandonare il fumetto disneyano.
Con Martina, però, dimostrò di essere particolarmente a suo agio con una sceneggiatura comunque particolare (per humour, tematiche, storie). Senza dubbio, anche se brevissima, una delle più riuscite collaborazioni tra uno sceneggiatore ed un disegnatore del panorama italiano.