Le interviste del Papersera – Giorgio Bordini

11 SET 2008

Dettaglio del poster della mostra “Tempere di Giorgio Bordini” del novembre 2011.

Riproponiamo qui un’intervista al compianto maestro Giorgio Bordini, pubblicata originariamente sullo Speciale Estate 1990 di Fumo di China, ringraziando la redazione nella persona di Paolo Guiducci, che ci ha dato il permesso di pubblicare il testo integrale dell’intervista, e vi rimandiamo al sito web di Fumo di China.
Durante l’intervista l’artista scomparso nel 1999 ci racconta dei suoi esordi, delle sue collaborazioni con gli autori dell’epoca, e delle sue idee sull’approccio alle storie Disney: da leggere con nostalgia e riconoscenza per quest’autore ingiustamente sottovalutato dal grande pubblico, ma capace, in particolare con le sceneggiature di Rodolfo Cimino, di realizzare alcune bellissime storie, nel più classico “spirito Disney”!

Fumo di China: Lei è un autore poco conosciuto, forse perché non partecipa a manifestazioni, si sposta poco di casa. Praticamente il grosso dei lettori la conosce solo da quando in calce alle storie Disney appaiono anche i nomi degli autori, cioè da pochissimo.
Giorgio Bordini: È perché come altri della mia generazione, come lo stesso Scarpa, sono sempre stato abituato a lavorare senza clamore, senza avere nemmeno la possibilità di sapere come il pubblico accoglieva il mio lavoro. Penso di essere anche un po’ schivo, tutto sommato. Non è che conosca benissimo l’ambiente. E poi ho altri interessi, come la pittura, che è per me un mezzo di espressione importantissimo.

FdC: Ci racconti i suoi inizi e i suoi lavori.
GBo: Dopo il Liceo Artistico mi sono iscritto all’Accademia (ho un’educazione prevalentemente pittorica) ed ero compagno di scuola e molto amico di Scarpa. Lui aveva interrotto gli studi per preparare un disegno animato, poi aveva ripreso e ci ritrovammo compagni. Aveva il pallino dell’animazione e quindi con un gruppetto di compagni ci trovammo a lavorare assieme (erano gli anni ’50). A me, che a scuola facevo soggetti di argomento fantastico, venne assegnato il compito di scenografo. Cominciammo così a fare degli short pubblicitari. Poi ci fu un colpo di fortuna: ci commissionarono un cartone di dieci minuti e Scarpa scelse come argomento “La piccola fiammiferaia“. Tra mille difficoltà, dovute anche a un’attrezzatura antidiluviana, il film uscì ed ebbe un certo successo.
Avevamo moltissimo problemi tecnici, inoltre ignoravamo molti dei procedimenti che in America erano noti da decenni.

Un fumetto pubblicitario realizzato per il Sud America.

FdC: Insomma, un’esperienza pionieristica…
GBo: È così. Tra gli altri c’era il grosso problema del colore da dare sugli acetati: qualche macchia sfuggiva sempre, per cui nell’animazione, anche questa veniva animata. Quando andai in Sud America trovai finalmente i colori che usava anche la Disney: duecentoquaranta tonalità, di una perfezione incredibile!
In seguito Scarpa cominciò a lavorare con la Mondadori, mentre io, nel ’55, partii per il Venezuela, un po’ per spirito di avventura, un po’ per cercare la possibilità di realizzarmi come autore. Là ho dipinto, ho fatto delle esposizioni, e poi ho avuto modo di lavorare per la televisione. Era molto più avanzata che da noi, le compagnie pubblicitarie erano le grandi agenzie americane…
Per entrare dovetti fare una prova di disegno animato: cinque ragazzi in una barca in un mare mosso! Io avevo curato soprattutto le scenografie! Allora scrissi subito una lettera a Scarpa (le poste funzionavano, allora) in cui gli spiegavo la situazione e gli chiedevo come impostare il lavoro. In base ai suoi consigli preparai questa prova e alla fine la produzione mi fece addirittura i complimenti: “Non abbiamo mai visto un’animazione così morbida“. Io non avevo la minima idea di cosa fosse uscito, non potevo certo permettermi di stampare il lavoro.
Comunque mi assunsero come aiutante del direttore. Poi la dirigenza fu assegnata ad un americano e questi mi passò a condurre il reparto d’animazione.

FdC: Che tipo di cartoni realizzava?

Un disegno realizzato da Bordini per una campagna pubblicitaria con protagonista il “Professor Ananas”.

GBo: Pubblicitari, per varie grosse compagnie come la Creole Corporation, la Esso, la Winston… La Creole mi fece i complimenti per l’adattamento di una pellicola statunitense. Poi passai a una compagnia pubblicitaria, che aveva una fantastica macchina per l’animazione: faceva tutto, tutte quelle cose che noi, a Venezia, eravamo impazziti per cercar di inventarle.

FdC: Ci sembra che parli con piacere di questa sua esperienza.
GBo: Sì, mi sono trovato bene, sarà quindi un fatto nostalgico, o altro, ma fu un bel periodo. Superato comunque dalla convenienza, infatti appena ebbi un po’ di soldi, ai primi anni ’60, tornai. Mi rimisi in contatto con Scarpa e gli chiesi consiglio e lui mi propose di lavorare per la Mondadori. Fu anche il mio maestro per il disegno.

FdC: Lei esordì, nel ’63, con Topolino: il soggetto però non era suo.
GBo: È così, purtroppo.

FdC: Come, purtroppo?
GBo: Sì perché i soggettisti sono spesso un problema. Per esempio, io sono un carissimo amico di Cimino e realizzo volentieri i suoi soggetti, perché lui fornisce una sorta di sceneggiatura disegnata.
Altri sceneggiatori non hanno ben presente i problemi del disegno. Per esempio nella storia che sto facendo, ho delle indicazioni per cui, in una vignetta, devo far vedere l’elicottero di Paperone che arriva e lui che scende, accolto da un ingegnere! Si può fare una vignetta così, ma risulta troppo condensata. Quando il disegno viene ridotto alle proporzioni di stampa, si “impasta” tutto. Allora ho dovuto rimaneggiare e farla in due vignette: questo comporta un allungamento, per cui da trenta tavole di partenza, diventano trentuno, o trentadue. Altri che hanno una conoscenza più approfondita sanno distribuire meglio il lavoro.

Una tipica situazione Ciminiana rappresentata da Bordini.

FdC: Insomma, lei vorrebbe scegliersi lo sceneggiatore?
GBo: Mi basterebbe che lo sceneggiatore tenesse maggior conto di tutto lo svolgimento della storia.

FdC: Abbiamo notato che lei preferisce disegnare i paperi…
GBo: Effettivamente. Mi sembrano più vicini agli esseri umani, sono più ricchi di contenuti, di difetti e di pregi. Topolino non mi piace molto come personaggio: da disegnare sì, ma come personaggio…

FdC: Nemmeno nelle storie degli anni ’30 e ’40?
GBo: Quelle sì.

FdC: Allora si tratta dell’impostazione delle storie, non del personaggio.
GBo: È così, certo.

Paperino alle prese con l’usuale giudice gufo.

FdC: Nel realizzare i personaggi ci sono delle proporzioni da rispettare: le hanno dato dei model sheet, all’epoca dei suoi inizi?
GBo: No. Mi sono rifatto ai modelli grafici di Scarpa: mi sembrano più “veri”, più umani. Per i paperi ho un modello basato su un cerchio per la parte inferiore del corpo, il torace è un cerchio grande circa la metà del precedente, e lo stesso per la testa, magari leggermente più piccola. Il resto viene da sé.

FdC: E per Topolino?
GBo: Attualmente è molto che non lo faccio, tuttavia la base è sempre la testa, parto sempre da lì. Il corpo ha circa la stessa superficie della testa, però allungata.

FdC: Quali doti pensa che occorrano per disegnare i personaggi Disney?
GBo: Riguardo al comic (al genere umoristico), penso che il fumetto sia una trasposizione del cartone animato. Naturalmente la cosa non è così letterale e meccanica, ma trovo che chi ha fatto dell’animazione abbia opportunità maggiori rispetto agli altri. Naturalmente c’è anche chi ha grandi capacità nel disegno “puro”, ma penso che avere esperienza nell’animazione favorisca soprattutto nel movimento dei personaggi. Noto, in alcuni che non hanno fatto questa esperienza, una certa staticità nel disegno, certe forzature nel movimento. Pensate a Romano Scarpa, che è bravissimo (e che, per me, è il migliore in assoluto): a parte le sue qualità intrinseche, si vede che certe cose gli derivano direttamente dall’animazione.

FdC: Cosa pensa allora degli autori più giovani che danno un’immagine più moderna del personaggi, come Cavazzano, Massimo De Vita…
GBo: Consideri che Cavazzano è stato anche lui allievo di Scarpa. Lo trovo un bravissimo disegnatore, di incredibili capacità. Però si è scostato molto da quello che è, secondo me, lo spirito disneyano. I suoi personaggi non sono quelli tipici del mondo Disney, è troppo personale. Il vecchio direttore di Topolino, Gentilini, ci diceva: “Cercate di non scostarvi molto dal modello tradizionale. Capisco l’esigenza di essere personali, ma dobbiamo cercare di vivere in questo mondo” e devo dargli ragione.

FdC: Saprà però che oggi, a parte i molti tradimenti del mondo Disney operati dalla passata gestione Mondadori, la linea più apprezzata tra i ragazzi è senz’altro quella di Cavazzano e De Vita. E poi ancora: esiste davvero un “mondo Disney”? Come lo si può definire? Se andiamo a vedere con attenzione, ci sono stati vari autori che hanno dato un’impostazione abbastanza potente ai personaggi, a questo tipo di produzione. Ma non sono molti, e sono abbastanza diversi l’uno dall’altro.
GBo: C’è un clima, un’atmosfera, un particolare “colore”, che è disneyano. Il resto comprende anche il personaggio Disney, ma non vive in questa atmosfera, che io definirei come una sorta di “poesia Disney”. Per fare un esempio, è la poesia di “Biancaneve”, di “Pinocchio”: all’interno di queste atmosfere siamo nell’universo disneyano. Purtroppo la necessità di pubblicare storie nuove ogni settimana costringe a produrre molto e quindi anche ad accettare storie non pienamente “in linea”.
Pensate che si cerca di lavorare sulla base di una scorta di storie sufficienti per un anno intero.
Recentemente tuttavia si è parlato anche di dare un incremento alla “qualità” delle storie, non solo come disegno, ma anche nel senso di renderle più “disneyane” . Solo che ciò richiede tempo. Spesso chiedono a noi autori in attività da più tempo di “fare di più”. Io però non sono un disegnatore veloce perché curo molto i dettagli. Le mie matite devono essere molto finite perché poi devono essere completate dal mio inchiostratore, Emmanuele Barison, molto bravo, ma che nonostante tutto un po’ le deforma: un minimo cambiamento nel becco altera un’espressione e quindi devo stare molto attento ai particolari.

FdC: Dunque anche lei ha un inchiostratore…
GBo: Sì, da cinque o sei anni. Adesso si sta cimentando per diventare disegnatore. È bravo, ma ha ancora qualche problema di inquadrature, di ambientazione…

FdC: Lo ha cresciuto lei, praticamente. Ne ha avuti altri?
GBo: No. Ho cercato per anni, ma trovavo solo ragazzi che avrebbero richiesto di essere seguiti troppo, senza che vi fosse la certezza di un successivo miglioramento. Barison si è impegnato molto e in poco tempo ha cominciato a inchiostrare bene.
L’inchiostratore è un mestiere difficile, perché il suo compito sarebbe quello di non deformare niente, anzi di sottolineare certe caratteristiche del disegno.

FdC: Quanto impiega per realizzare una tavola?
GBo: A volte mi riesce di farne due in un giorno, a volte una sola: dipende dalla complessità del soggetto. E anche dalla voglia di lavorare.

Da “Topolino e i pigmei bitorzoluti”, una delle due storie con Topolino sceneggiate da Bordini.

FdC: Lei scrive soggetti?
GBo: Nei primi tempi no, ma da un po’ ho cominciato anch’io. Lo avrei voluto fin dall’inizio, ma il direttore non voleva, lo staff aveva già i suoi sceneggiatori. Accettava solo le storie di Scarpa. Aumentando in seguito l’esigenza di storie, hanno accettato anche le mie. Io mi preparo praticamente una sceneggiatura disegnata, che mi richiede più tempo, ma questo tempo che perdo prima mi viene ripagato nel piacere successivo quando disegno la storia. Però un soggetto è pagato poco e quindi molti preferiscono non farne.

FdC: Che fumetti leggeva da giovane, e quali legge oggi?
GBo: Noi vedevamo il Topolino ante-guerra, stupendo, e anche i classici come Gordon … Oggi ne leggo qualcuno, Tex, soprattutto. Mi piace molto Hugo Pratt.

FdC: Ha mai fatto niente come fumetto al di fuori del mondo Disney?
GBo: Come fumetto, quasi nulla. Ho lavorato un po’ per Fix und Foxy, per la Germania, ma ho smesso presto. Ho fatto qualcosa per delle edizioni inglesi sulla Barbie (la famosa bambolina, ndr). Sempre senza scostarmi dal genere umoristico. Ho fatto anche qualche illustrazione.

FdC: Anche sul disneyano? (a questo punto Bordini ci mostra varie illustrazioni con soggetti Disney, mai pubblicate).
GBo: Erano per vari progetti allo studio alla Mondadori, ancora dei tempi di Gentilini, che però non andarono in porto.

FdC: Ha mai fatto qualche copertina?
GBo: No, solo storie normali.

FdC: Quali lavori sta facendo adesso? Per quale testata lavora?
GBo: Soprattutto per l’Almanacco Paperino. Il direttore, Capelli, voleva aumentare le storie di produzione italiana, per risollevare la testata, così negli ultimi tempi ho lavorato di preferenza per l’Almanacco.

FdC: Cambierebbe qualcosa nel Topolino, così com’è oggi?
GBo: Lo preferirei meno “tascabile”, ho sempre avuto una preferenza per l’Almanacco, con le pagine a colori alternate a quelle in bianco e nero. D’altro canto la formula tascabile è quella che va per la maggiore…

FdC: Veniamo al “fatto tecnico”: quello che riesce a disegnare sul foglio, quanto si avvicina a quello che aveva pensato?
GBo: Se lavoro su soggetto mio, si avvicina al 92 per cento. Se lavoro su soggetto di altri, faccio fatica a mantenere la stessa qualità. Se sono storie stimolanti e piene di brio, allora…

FdC: Le sceneggiatore le vengono inviate senza discuterne, oppure lei può scegliere tra quelle disponibili? In altre parole: è lei a decidere certe ambientazioni, certe situazioni…
GBo: Di solito no. Chiedo, al massimo, se ce ne sono di Cimino, solo perché so che si tratta di sceneggiature ragionate, che non necessitano di ritocchi. Anche perché quando sono costretto a fare delle variazioni ho sempre il timore di stravolgere qualcosa, di non interpretare correttamente il pensiero dello sceneggiatore. Con Cimino non ho questi problemi.

FdC: Altri sceneggiatori con cui si e trovato bene?
GBo: Ho lavorato con tanti, non li ricordo tutti. Martina era bravo, almeno tempo fa, e anche Chendi è un buon sceneggiatore. E anche Barosso, che ormai ha smesso.

FdC: Come procede nella realizzazione di una storia?
GBo: Di solito ho tre o quattro spunti in testa, cui lavoro mentalmente prima di trascriverli. Poi devo trovate il tempo di batterli a macchina, ma a volte preferisco schizzare le parti salienti, anche per favorirne una lettura più immediata. Facendo un canovaccio può succedere che chi lo legge non lo capisca appieno, se invece gli si sottopongono sette o otto tavole già disegnate, si rende conto molto meglio di cosa si tratta. E poi servono anche a me, naturalmente, per il disegno successivo.

“Zio Paperone e lo scaldapiedi a candela”, storia d’atmosfera natalizia sceneggiata e disegnata da Bordini.

FdC: Che tipo di ambientazioni preferisce per le sue storie?
GBo: Io vedrei l’ambientazione più come era in passato. Oggi c’è troppo la tendenza a modernizzare esageratamente l’ambiente: manca la “poesia” della casa disneyana, dell’albero disneyano. L’auto di Paperino non deve essere troppo diversa da quella degli altri, che devono essere caricaturate in modo da non farla sembrare un catorcio antidiluviano. I macchinari realizzati da Archimede devono essere fasulli, non devono avere attinenza con la realtà. Proprio perché siamo in un mondo di caricatura, di invenzione, di possibilità infinite. Topolino che estrae dalla tasca della giacca un grosso martello, è un’esagerazione evidente. Perché fingere di avere una cultura di tipo scientifico con macchine che si avvicinano alla realtà? I macchinari devono essere fasulli, caricaturati … Certo, con un’impostazione più moderna, viviamo in un’epoca che lo esige, però salvaguardando quel tanto di spirito, di poesia, in linea con quanto fatto in passato. A volte succede che i personaggi, che fino alla vignetta prima vivono a Paperopoli, o Topolinia, vengano sbalzati di colpo in un mondo moderno, del quale sono al di fuori, facendo la figura dei trogloditi.

FdC: Forse si tratta del tentativo di agganciare i giovani tramite queste modernizzazioni
GBo: È possibile mostrare tutte le componenti del mondo di oggi, ma tenendo presente che devono appartenere al mondo di Topolinia e quindi devono essere opportunamente mediate.
Occorre sempre far riferimento a quei valori universali, meno legati all’attualità a tutti i costi, che fanno parte del mondo Disney.

FdC: Non trova che certe storie che vengono fatte oggi siano un po’ troppo infantili, rispetto al grosso pubblico cui Topolino si rivolge (che comprende anche le mamme ed i papà)?
GBo: Le storie, anche quando hanno una struttura semplice, sono adatte a tutti. Quel che è infantile sono le battute: se in una storia ci fossero delle battute moderne, andrebbe benissimo anche per gli adulti

FdC: In conclusione, quali sono i suoi programmi?
GBo: Continuare sulla linea attuale: fare delle storie che mi piacciano, ogni tanto anche come soggetto. Poi continuare ad occuparmi di pittura, che è un grande amore.


Notizie Biografiche

Giorgio Bordini è nato a Pordenone il 7 ottobre 1927. Dopo una parentesi nell’animazione in gioventù, durante la quale lavorò dapprima con Romano Scarpa, e poi come direttore del reparto pubblicitario di una televisione venezuelana, iniziò la sua collaborazione con Mondadori nel 1963 con la storia “Topolino e il faro della Tortuga” (I TL 379-B). Amico d’infanzia di Scarpa, si è formato sullo stile di quest’ultimo.
Autore della scuola “tradizionale” Bordini ha interpretato lo spirito Disney come una filosofia dei buoni sentimenti, legata alla tradizione delle grandi storie del periodo d’oro. Ha anche realizzato qualche soggetto, con apprezzabili risultati.
È stato anche un quotato pittore (ci sembra di poterlo inserire nella corrente dell’astrattismo, ma la nostra cultura pittorica è decisamente insufficiente per dare un giudizio competente) ed ha al suo attivo la partecipazione ad una trentina di Mostre, tra collettive e personali.

Autore dell'articolo: Paolo Castagno

Sono appassionato lettore e collezionista di fumetti Disney sin da quando ho imparato a... guardare le figure. Il Papersera - sia il sito sia l'associazione - sono per me motivo d'orgoglio!