I Grandi Classici Disney 34

25 OTT 2018
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Copertina di un inedito colore bianco, di bella presenza, forse funestata dai sorrisoni troppo plateali e da un Atomino insolitamente smagrito. Ma è pur sempre Giorgio Cavazzano, che Gott ce lo conservi. (Non fu detto con blasfemi intenti.) La copertina è dedicata alla storia più celebre contenuta nel numero, Topolino e la collana Chirikawa, pietra miliare della storia del fumetto Disney per miriadi di motivi. Ingiustamente ricordata solo per le hitchcockiane vertigini, la storia si presenta al lettore con una eccezionale fluidità e freschezza di ispirazione. Il ritmo anomalo, rispetto ad altre scarpiane, e perciò tanto più affascinante, ci conduce dalla casa di Zia Topolinda ai peggiori ambienti della malavita, il tutto con un costante senso di scoperta, di starsi avvicinando per giri (e non per stadî) alla verità e alla conclusione. Una dinamica dunque nettamente diversa tanto dalla sorpresa martellante e intrappolatrice dell'Unghia di Kalì, inventivamente ma fermamente tesa sino alla fine, quanto dalla imprevedibilità disarmante della Dimensione Delta, giocata sulla continua apertura di possibilità tradotta anche fisicamente nel trascolorare verso il non-luogo della Dimensione Delta stessa. Qui invece il movimento è circolare, magnetico, per gorghi, non dissimili appunto da quelli, psichici, che affannano Topolino. Si può dire che questa storia somigli, per certi aspetti, ad alcune di Bill Walsh, ad esempio la Banda della Morte o l'Orfanello Riformato; in un ideale parallelo che associa alle Sorgenti Mongole il Tesoro di Mook e al Bip-Bip 15, forse, La spia Poeta. Qui del resto Atomino Bip-Bip (tocco di genio la zia Topolinda che chiede: “Siate più chiaro! Si sente un bip bip sulla linea”) abdica tanto alla funzione di figura fantascientifica (insinuata nelle bizzarrie della sua quotidianità) quanto a quella di compagno di scoperte delle Sorgenti Mongole. Egli è il fiducioso e vigile compagno di Topolino nella soluzione di quegli inanellati vortici, ma non gli è un passo avanti. Non è un “bizzarro” (in ciò differendo da Eta Beta – annosa questione, la loro parziale sovrapponibilità!), ma solo uno straniero, uno straniero curioso e inventivo.
Ma se ampio spazio merita la storia centrale di cui si è appena detto, non perciò sfigura la storia d'apertura. La sindrome di Pippo è un vero capolavoro, una maniera di intendere il fumetto Disney che trascende molti confini, superando paletti e convenzioni in una girandola di cortesi audacie che fanno del Bottaro anni Novanta un grande e misconosciuto miracolo; pesantemente anacronistico, se confrontato con lo spirito dell'epoca; ma anacronistico non verso il passato, bensì verso un futuro, un futuro che ancora non vediamo perché troppo avanti, fatto di leggerezza e delirio, semplicità e orologeria, dosaggio dei ritmi e voli pindarici. Un vero capolavoro, pertanto, che fa da pendant alla Collana per ricchezza d'ispirazione, audacia e memorabilità, pur essendo le due storie quanto mai distinte per toni, respiro e suggestioni grafiche. Dire di più è inutile, quand'anche non dannoso: lettura consigliata, e capace, anche per via della minore dose di ristampe, di pesare sulla decisione d'acquisto.

Quanto a Paperino e la colletta benefica, non si può non ricorrere alla definizione abusata di “piccola perla”. Paperino sta rimproverando i nipoti sull'amaca, quando viene interpellato da due membri del comitato di beneficenza del quartiere, che lo costringono a immergersi in una disavventura più comica dell'altra per portare a casa qualche obolo dai poco collaborativi vicini. Processo compositivo di una storia questo che, come è noto, può essere rovinoso o miracoloso. Nel caso presente siamo nella seconda situazione, cosicché se ne ottiene la piccola perla di cui sopra. Da notare una cosa: nelle storie d'oggi un incipit del genere è possibile; tuttavia con una differenza: per (giustificato) gusto di saturazione, gli autori d'oggi tenderebbero a presentare l'imprevisto (il duo di rompiscatole) come una bizzarria: non di comitato di beneficenza si tratterebbe, bensì di confraternita del muflone d'epoca, o simili facezie; anche in un certo senso per salutare contrasto al manierismo perniciosissimo che dei comitati di beneficenza o spunti banali simili aveva fatto, negli anni Novanta e Duemila, prassi, regola e soporifera norma. Ecco, Chendi sta fra i due estremi: realistica banalità e devastante assurdo si presentano insieme, a spiazzante braccetto, cosicché non si respira né la scontatezza della prima senza il secondo né l'artificiosità del secondo senza la prima.

Prosegue il ciclo del West, con C'era una volta nel west… Zio Paperone e il pomo della discordia, altra convincente prova dello strano Martina western, che in questo ciclo più che altrove mette in campo il seguente, rischiosissimo esperimento: riprodurre ex novo, ma con la rete di sicurezza dei consumati personaggi, l'idea per cui lo stesso microcosmo, saturato a forza di storie, possa produrre comicità per forza di esasperazione controllata.

Meno soddisfacente è invece Topolino e il gas energetico, thriller in cui Giangiacomo Dalmasso attribuisce a Topolino poteri radioattivi che per il fatto di non far ridere risultano in certo qual modo insipidi e di prevedibile sviluppo. Il dottor Enigm che accusa Minni di insensibilità rimane tuttavia un'interazione inedita e da ricordare.

Meno divertente del solito il povero Orso Onofrio, sul quale ci permettiamo di sorvolare, mentre sono pienamente all'altezza (imbarazzante) della loro media le storielline di Nonna Papera e le avventure in fattoria (sulle quali eccetera).

Presenta un caso non da poco Topolino pellerossa onorario (Chendi/Asteriti): Topolino deve salvare una tribù indiana dal trasferimento (e si sa che significasse trasferimento in quegli ameni frangenti…) cui la sottoporrà l'esercito per via di ricchezze minerarie individuate da un'industria nel sottosuolo. Topolino che fa? Cerca un giacimento altrove, cosicché l'industria sia soddisfatta e lasci in pace gli indiani. Che dire? Da una parte, Topolino difensore degli indiani per principio, senza soluzioni di comodo, sarebbe stato più accattivante. Dall'altra, però, la soluzione proposta è più realistica (e non priva pur essa di una certa tensione) quantunque non si fatichi ad immaginare che detta industria non tarderà a mirare di nuovo ai giacimenti originari; e inoltre fa respirare una povertà di mezzi ben più avvilente e pertanto più storicamente istruttiva. Impossibile e inutile conoscere le intenzioni dell'autore. Rimane, ci sia concesso congetturarlo, il caso.

Si chiude con Topolino e il diario segreto di zia Topolinda, opera di Claudia Salvatori e illustrata, ancora, da Romano Scarpa. Personalmente ignoro cosa pensasse il grande Maestro di questo seguito nell'illustrarlo, ma personalmente ammetto che non cessa di deludermi. Da Gambadilegno a Zia Topolinda, da Topolino ai personaggi nuovi, tutto perde quella luce e quella sorgività cesellata che la storia originale aveva. In buona sostanza, perde (quanto meno) una dimensione. Da qui ai recentissimi gialli di Zia Topolinda il passo è breve.

In sunto, crediamo che il giudizio più equanime per questo numero siano tre stelle, con ciò volendo esprimere un equilibrio ragionato fra i sommi vertici e le occasioni mancate, piuttosto che un salomonismo di sicurezza (ché in fondo è un voto comodo…). La pubblicazione dei deliri bottariani fa ben sperare; come sempre, attendiamo con curiosità il prossimo numero!

Autore dell'articolo: Guglielmo Nocera

Oggi espatriato nel paese di Astérix, mi sono formato su I Grandi Classici Disney, che acquisto tuttora, e Topolino Story prima serie. Venero la scuola Disney classica, dagli ineguagliabili vertici come Carl Barks e Guido Martina ai suoi meandri più riposti come Attilio Mazzanti e Roberto Catalano (l'inventore della macchina talassaurigena). Dallo sconfinato affetto per le storie di Casty sin dagli esordi (quando lo confondevo con Giorgio Pezzin) deriva il mio antico nome d'arte, Dominatore delle Nuvole. Scarso fan della rete, resto però affezionato al mondo del Papersera, nella convinzione che la distinzione tra esegesi e nerdismo sia salutare e perseguibile. Attendo sempre con imperterrita fiducia la nomina di Andrea Fanton a senatore a vita.