Grandi Autori 88 – Topolino Writers Edition: Guido Martina

07 OTT 2020
Voti del fascicolo: Recensore: Medio: (14 voti) Esegui il login per votare!

È il 1948 e siamo in piena ricostruzione. Il primo gennaio è entrata in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana, in aprile la Democrazia Cristiana ha vinto le elezioni e in luglio Antonio Pallante ha sparato al segretario del PCI Palmiro Togliatti. Si arriva a sfiorare la guerra civile. In settembre le Edizioni Audace danno alle stampe la prima striscia di Tex, mentre il 16 ottobre esce il numero 713 di Topolino, periodico che si avvia verso un clamoroso restyling. Inizialmente edito da Nerbini con le storie di Giove Toppi e il nipote di Carlo Collodi come direttore, Topolino era passato nel 1935 a Mondadori per la cifra di trecentomila lire (secondo alcuni anche grazie all’intercessione del regime fascista); da allora fino al 1988, escludendo soltanto un’interruzione dal 1943 al 1945 per ragioni belliche, l’editore milanese avrebbe rilasciato settimanalmente in edicola tutti i fumetti a firma Walt Disney.

Alla fine degli anni Quaranta, in un’Italia ancora in miseria, Mondadori si apprestava dunque a inaugurare un fatidico cambio di formato per minimizzare i costi e meglio sfruttare una stampatrice già utilizzata per il mensile Selezione dal Reader’s Digest. L’idea del direttore Mario Gentilini è quella di accompagnare il passaggio con una lunga avventura di produzione italiana: a occuparsi di questa storia sono, ai testi, il traduttore e redattore Guido Martina e, ai disegni, il suo coetaneo e amico Angelo Bioletto. Il cobra bianco si concluderà sul primo numero di Topolino “libretto”, edito nell’aprile 1949, dando avvio definitivamente alla pluridecennale produzione Disney italiana.

Il Professore nella sua posa iconica

Il Professore nella sua posa iconica

Guido Martina, il protagonista della nostra storia, era un ex ufficiale di cavalleria laureato in Lettere a Torino. Fatto prigioniero in Polonia sul finire del conflitto, era sopravvissuto a un campo di concentramento austriaco. Professionalmente veniva dai documentari per la MGM e dal varietà radiofonico e nel secondo dopoguerra aveva già dato una forte impronta personale al mondo Disney ideando il nome italiano di Scrooge McDuck e tramutando i kumquat di cui è ghiotto Eta Beta in palline di naftalina. Nel corso di un quarantennio di carriera, Martina, soprannominato il Professore, sceneggerà diverse centinaia di storie (alcune delle quali rimaste inedite), inventerà personaggi tuttora sulla cresta dell’onda come Paperinik e Fantomius, creerà le celebri Parodie Disney, offrirà un’interpretazione dei caratteri dei personaggi principali decisamente riconoscibile e ancora rimpianta da molti appassionati.

È un fatto che nell’ultima fase della propria carriera Martina sia stato gradualmente messo da parte da supervisori come Fossati e Marconi, le sue sceneggiature rivedute e corrette o addirittura rifiutate dai disegnatori assegnati e, quando ormai mancavano pochi anni alla morte, sia finito estromesso da Topolino, con storie che, seppur pagate, non sono state mai disegnate e pubblicate. I tempi erano cambiati: lo stile del Professore non era più adatto a una realtà fumettistica che negli anni Ottanta era, come l’universo, in continua espansione.

Banditi il turpiloquio, le punizioni corporali, la satira dei costumi borghesi – tutti elementi fondamentali del “teatro a fumetti” di Martina – l’autore di origini piemontesi è stato a lungo relegato su pubblicazioni-miscellanee come Disney BIG e I Classici Disney, oppure in collane di maggior prestigio come I Grandi Classici Disney dove ha per la verità spesso goduto di considerazione critica ma sempre un po’ nascostamente, lontano dalla deliziosa fanfara di un Le grandi storie Disney o l’opulenza di una Don Rosa Library.

Se eccettuiamo un numero dei Maestri Disney del 2003, il necessario tributo al decano degli sceneggiatori italiani giunge soltanto ora e solo come ventiduesimo volume nella collana che possiamo chiamare Topolino Special Edition, dopo Faraci, Casty, Artibani, Marconi, Faccini, Bosco, Pezzin, Enna, Cimino, Asteriti, Carpi, Scarpa, Chendi, Secchi, Mastantuono, Vitaliano, Pastrovicchio, Freccero, Sciarrone, Intini e Pezzin (di nuovo).

Una normalissima situazione martiniana

Il secondo volume della Writers Edition, che è la miniserie dedicata espressamente agli sceneggiatori che hanno fatto grande il Topolino italiano, conta 288 pagine e ha per copertina un disegno riciclato da Paperin di Tarascona, avventura contenuta all’interno; si noti come l’illustrazione mantenga l’antiestetico elemento delle monete calciate dal Paperone disegnato da Luciano Bottaro. Il volume si apre con una prefazione di Alex Bertani che possiamo suddividere in due parti: nella prima il Direttore rievoca gran parte degli eventi che avete appena letto in questa recensione; nella seconda offre una serie di riflessioni sulle difficoltà intrinseche, per un tomo come quello in questione, di rappresentare in modo più o meno completo la sterminata opera di un pioniere del fumetto popolare. Saggiamente Bertani definisce il volume «un assaggio di alcune perle della sua ragguardevole opera, qualche significativa istantanea del suo lavoro».

Paperi marziani, paperi marziani dappertutto

Paperi marziani, paperi marziani dappertutto

Chiude il tomo una postfazione scritta da Carlo Chendi, anch’essa divisibile in due sezioni, una biografica che cita grosso modo gli eventi già visti e una seconda più personale in cui racconta il loro rapporto professionale, i consigli di scrittura e in parte anche l’uomo, con la sua cultura, la visione artistica e le idiosincrasie.

La prima storia ristampata è Paperino “3D”, pubblicata originariamente su Topolino 97-99, nel 1954. Ai disegni vediamo Romano Scarpa, giovanissimo, alle prese per la prima volta con i paperi. La sconclusionata avventura “spaziale” di Paperino presenta, specie nella sua seconda sezione, un vago sapore favolistico, che fa pensare alle storie di Biancaneve e i Sette Nani che gli stessi Martina e Scarpa stavano realizzando assieme proprio in quegli anni. La versione proposta è interamente a colori, provenendo quindi da una delle varie ristampe più recenti.

Segue Paperino e la spina di Zio Paperone del 1956, disegnata da un Luciano Bottaro venticinquenne, una magnifica avventura esotica che riprende alcuni elementi formali barksiani – il Paperino lavoratore volenteroso, il viaggio in terre sconosciute – per rovesciarli all’interno della peculiare poetica martiniana. Paperone è già l’antagonista puro che diverrà tipico delle sceneggiature del Professore, e Bottaro non esita a mostrarci morte e pericoli fatali. In questo caso ritroviamo l’originale alternanza fra tavole colorate e in bianco e nero; questa storia non veniva ristampata da circa otto anni.

A seguire un altro capolavoro del duo Martina & Bottaro, la già citata Paperin di Tarascona del 1957, pseudoparodia del Tartarino di Tarascona di Daudet, all’epoca molto popolare. Questa avventura, resa graficamente in maniera eccelsa dal disegnatore ligure, vede Paperino ripercorrere alcune gesta di Tartarino (il viaggio in Africa, la caccia al leone) a causa di un intrigo di Paperone, che lo ha indotto ad assumere delle medicine che ne amplificano il coraggio. Si tratta di una delle storie più amate del Martina degli anni Cinquanta e non a caso è stata ristampata già in una decina di occasioni.  

Topolino Kid è uno che va dritto al punto

Topolino Kid è uno che va dritto al punto

Dopodiché il volume fa un salto circa un ventennio nella produzione del Professore, proponendo la prima (meravigliosa) avventura dell’alter ego western di Topolino: Topolino Kid e Pippo Sei-Colpi del 1974, per i disegni di un dinamico Giovan Battista Carpi. Torna qui la sgradevole abitudine, ormai tipica della Writers Edition, di proporre il primo episodio di una saga. Poco male, comunque: la storia è probabilmente la migliore del lotto.

Qui il volume fa un ulteriore salto in avanti: siamo negli anni Ottanta, decennio di stanchezza creativa per Martina. Le storie, di lunghezza medio-breve, sono l’irriverente Paperino e i pesci d’aprile (Perego), Topolino e la mappa misteriosa (Carpi), Topolino e il pozzo di San Patrizio (Scarpa) e l’astrusa Topolino e l’eredità del bis-bis-bis (Perego e Peirano), tutte pubblicate tra il 1980 e il 1982. Su queste avventure un po’ sgangherate non c’è in realtà molto da dire se non che mantengono una certa freschezza narrativa pur con il malus della struttura teatrale ormai ripetitiva nell’opera del Professore.

Una volta chiuso il volume ci troviamo nuovamente a domandarci il senso ultimo, la finalità di una serie come Writers Edition. La foliazione esigua, di cui l’abile Bertani sembra quasi scusarsi in apertura, non riesce a contenere una rappresentanza adeguata della produzione del Professore. Otto storie su un patrimonio di centinaia di sceneggiature sembrano davvero un po’ poco e la selezione è lacunosa sotto vari punti di vista: mancano i suoi primi successi (tra gli altri, Il cobra bianco e il pur sempre straristampato Inferno) e si fa sentire l’assenza di storie del periodo compreso fra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Settanta, probabilmente la sua fase artisticamente più felice. Al contrario, quattro delle otto storie proposte appartengono alla fase che molti, e Bertani e Chendi sembrano implicitamente concordare nei loro brevi scritti a corredo del volume, considerano la peggiore. Si è già detto, poi, di Topolino Kid, prima di dieci storie in continuity.

Due domande sorgono spontanee: questo numero della Writers Edition celebra adeguatamente il decano degli autori italiani, creatore di molti personaggi amati e ancor oggi utilizzati, inimitabile e imitatissimo, lo sceneggiatore di ferro che riuscì a farsi riconoscere per primo come autore di una storia Disney? E la seconda: un singolo volume potrebbe davvero riuscirci?

Martina e Perego anni Ottanta, entrambi sul viale del tramonto

L’impressione generale su questo tomo, di qualità globale inferiore alla media di un qualunque numero dei Grandi Classici, è che si tratti un contentino proposto agli appassionati che da anni storcono il naso per quella che può essere vista come una damnatio memoriae “a singhiozzo”. L’assordante assenza di Martina dalle testate celebrative maggiormente pubblicizzate è probabilmente da inquadrarsi all’interno della delicata situazione nella quale versa il fumetto Disney contemporaneo, strangolato dalle censure e alla ricerca di una impossibile modernità.

Se sulla testata ammiraglia è proibito parlare di caccia e pesca e possiamo vedere cuoche intente ad affettare carote usando altre carote, come si può onorare e studiare criticamente un autore celebre anche per i propri eccessi? Eppure la collana cronologica Paperinik le origini del mito (i cui primi undici volumi contengono quasi solo storie di Guido Martina) ha avuto un notevole successo. Eppure Giunti ha proposto di recente Storia e Gloria della dinastia dei paperi e Topolino Kid in volumi da libreria. Eppure, senza le sue scorrettissime sceneggiature, intere testate di ristampe potrebbero chiudere i battenti.

Guido Martina, che nel massimo della propria maturità artistica ha saputo essere sceneggiatore migliore della gran parte dei contemporanei, che ha saputo “tradire” i caratteri originari dei personaggi Disney generando maschere comiche di dirompente potenza espressiva, che ha avuto uno stile unico, ricordato con affetto dai lettori di diverse generazioni, è ancor oggi il pilastro su cui si reggono remunerative saghe odierne (impossibile non citare il Fantomius di Marco Gervasio) e testate come I Grandi Classici. Mentre in Giappone si aprono parchi a tema dedicati a Osamu Tezuka e in Francia le opere di Hergé vengono ristampate in edizioni di pregio prive di censure, nel nostro Paese si sceglie di celebrare un grande artista del passato con un volume di meno di trecento pagine, apparato critico inesistente, interi decenni della sua produzione del tutto ignorati.

Personalmente, sogno una Guido Martina Library.

Autore dell'articolo: Manuel Crispo

Medico con la passione per la scrittura, pker di vecchia data, come tanti ho iniziato a leggere con Topolino. Col tempo ho divorato voracemente manga, manhwa, historietas, BD e tutto ciò che è targato Sergio Bonelli, ma l'incredibile mondo Disney resta il mio primo amore.