Intervista a Caterina Mognato

30 AGO 2021

Caterina Mognato nel 1988

Caterina Mognato, scrittrice e sceneggiatrice, nata a Venezia nel 1954, sin da giovane è appassionata di letteratura e scrittura. L’approccio ai fumetti, in particolare a quelli Disney, arriverà alla fine degli anni Settanta grazie al marito Giuseppe Dalla Santa, indimenticato disegnatore di Topolino scomparso prematuramente nel 2011, che sarà per lei insostituibile compagno di lavoro, oltre che di vita. Grazie alla loro collaborazione hanno visto la luce storie indimenticabili come Paperino in: “La storia (in)finita” e il ciclo delle Fantaleggende.

Ciao Caterina, è per noi un grandissimo piacere averti sulle nostre pagine e ti ringraziamo per questa intervista che ci concedi, nonostante siano passati tanti anni dall’uscita della tua ultima storia. Hai scritto numerose avventure nel corso degli anni Ottanta e Novanta. Come hai cominciato? Era un tuo sogno scrivere fumetti? E scrivere in particolare per Topolino e Disney?

Sono una divoratrice di libri e fin da bambina sognavo di scrivere, ma non fumetti. Per un motivo molto semplice: non li conoscevo, o quasi. I miei genitori non facevano distinzione tra fumetti e fotoromanzi, per loro erano la stessa cosa: da non prendere in considerazione. Fino ai diciotto anni ho avuto tra le mani pochissimi fumetti. Ricordo alcuni Diabolik e Satanik che trovai un’estate in capanna e che lessi quasi di nascosto, affascinata.

Il fumetto è entrato nella mia vita assieme a Giuseppe Dalla Santa nel 1972. Io ero all’ultimo anno di liceo classico, lui frequentava l’Accademia di Belle Arti ed ancora non avevamo idee precise su che cosa avremmo fatto in futuro. Il mio battesimo fumettistico l’ho avuto nella soffitta/studio di Giuseppe (mooolto bohémien) dove, assieme ai libri d’arte, c’erano fumetti d’ogni tipo dalle raccolte d’annata del Vittorioso a Linus a Eureka ai fumetti bonelliani. Mi immersi nel meglio del meglio del fumetto d’avventura: Hugo Pratt, Dino Battaglia, Alberto Breccia, Moebius, Toppi, Crepax, D’Antonio… Invece, Topolino e la Disney per me restarono ancora per anni solo cartoni animati (che amavo moltissimo!).

Nel 1976 Giuseppe iniziò a collaborare con il disegnatore Vladimiro Missaglia, prima come inchiostratore, poi come disegnatore completo. Io frequentavo la facoltà di Lettere. Leggevo le sceneggiature che lui doveva disegnare e di cui spesso si lamentava. Cominciai a scrivere soggetti per venire incontro ai suoi desideri: ambientazioni più accattivanti, meno testo e maggior spazio al disegno. Non era un vero lavoro, ma mi servì da gavetta. Nel 1978 ci siamo sposati.

Meeting Disney del 1991: da sinistra, Caterina Mognato, Giuseppe Dalla Santa, Maurizio Amendola, Bruno Concina

Qui devo aprire una parentesi e introdurre Maurizio Amendola, ex compagno di liceo di Giuseppe e suo amico fraterno. Maurizio collaborava già da anni con Romano Scarpa come inchiostratore. Disegnava anche in proprio per varie testate non solo Disney, ma sempre disegno comico. Nel 1980 (anno della mia laurea) Gaudenzio Capelli divenne direttore di Topolino. C’era aria di rinnovamento e di apertura a nuovi collaboratori, perciò Maurizio mi spinse a farmi avanti e a propormi come soggettista-sceneggiatrice.

Prima di fare un simile passo, mi buttai a capofitto nella lettura di Topolino e cominciai da Io Topolino. Le storie di Gottfredson mi conquistarono subito per la loro dinamicità e perché pur restando comiche si rivolgevano a tutti, bambini ed adulti. Subito dopo Gottfredson passai ai due massimi autori italiani di allora: Scarpa e Carpi. Una vera full immersion. Alla fine dell’anno, inviai a Franco Fossati quattro soggetti e me ne approvò tre. Uno di questi era Topolino e la fossa delle Susanne.

Topolino e la fossa delle Susanne è stata infatti la prima storia che hai pubblicato su Topolino. Cosa ricordi di quella sceneggiatura? E come mai la collaborazione si è poi interrotta nel corso di quegli anni? A parte altre tre storie pubblicate tra il 1981 e il 1983 non risulta altro fino al 1990…

Di quelle prime tre storie ricordo molto poco, a dire il vero. Sono molto influenzate dalle mie letture di Gottfredson che, come ho detto, mi avevano affascinata. Poi la collaborazione con Topolino si interruppe. I perché furono molteplici, ma uno fu quello decisivo: il 9 febbraio 1983 è nato mio figlio Ruggero. Non rinunciai al mio lavoro, ma dovetti ridurlo di molto e mi fu più facile limitarlo al solo fumetto d’avventura. Per i nove anni successivi ho scritto quasi esclusivamente per Lanciostory e Skorpio, una media di tre storie al mese. 

Autocaricatura di Giuseppe Dalla Santa, compagno nel lavoro e nella vita di Caterina Mognato

Dopo queste prime avventure, ritorni su Topolino agli inizi degli anni Novanta in coppia con Giuseppe Dalla Santa. È lui che ti ha spinto a tornare?

Il 1989 è stato l’anno della svolta sia per me che per Giuseppe. Una svolta a dir poco traumatica, ma che poi si risolse in un colpo di fortuna. Cosa successe? Come ho detto prima, io lavoravo esclusivamente per l’editrice EURA ed anche metà della produzione di Giuseppe dipendeva da loro.

Un giorno ci telefonarono dalla redazione dicendo che sospendessimo tutti i lavori in corso: avevano acquistato un’enorme quantità di fumetti dall’Argentina e per un bel pezzo non avrebbero più comperato nuove storie italiane. Vi lascio immaginare quale “tegola” ci cadde sulla testa quel giorno.

Bisognava rimboccarsi le maniche. Io trovai dei piccoli lavori sempre con case editrici romane, in particolare la PlayPress per la quale, in anni successivi, scrissi una settantina di numeri delle serie Balboa e Sonny Stern (ma agli inizi per loro facevo giochi enigmistici e raccontini gialli!). Giuseppe, invece, cambiò completamente rotta.

Di nuovo fu il nostro angelo custode Maurizio Amendola a dare l’input giusto. Proprio nel 1988 Topolino era passato dalla Mondadori alla The Walt Disney Company Italia, c’erano grandi iniziative di ampliamento delle testate e servivano nuovi disegnatori. Giuseppe non era un disegnatore comico, men che meno un disneyano.

Decise di diventarlo. Per metà giornata lavorava per guadagnare, per l’altra metà provava e riprovava a disegnare paperi e topi. Sospese ogni attività ginnica e per mesi rimase incatenato al tavolo da disegno, dall’alba a dopo cena.

La prima storia in coppia di Mognato & Dalla Santa su Topolino 1831

Quando si sentì pronto, fece vedere i suoi disegni a Romano Scarpa. Questi fu da subito gentilissimo con lui, premuroso nell’aggiustare le sue ultime incertezze e nel presentarlo, quindi, a Gaudenzio Capelli. Con Zio Paperone e la scatola del tempo per Giuseppe iniziò il periodo migliore della sua vita lavorativa. Lui era un perfezionista, terribilmente autocritico, il suo lavoro precedente non lo aveva mai soddisfatto appieno, adesso finalmente si sentiva nel suo elemento. Come scrisse lui alla fine: “Mi diverto e mi pagano pure”.

Nostro figlio allora aveva sei anni, viveva tra fumetti e cartoni animati, suo padre disegnava per Topolino, in pratica casa nostra era diventata una succursale della Disney. Potevo io restarne al di fuori? Ho ricominciato a scrivere soggetti per Topolino, ma questa volta con una maturità e un’esperienza che non avevo di certo agli inizi. Col senno di poi posso dire che fu un colpo di fortuna avere il mio primo impatto di lavoro nientemeno che con Topolino, ma nel 1981 non ne ero all’altezza, nel 1990 sì.

Siete stati una coppia nel lavoro e nella vita, cosa puoi raccontarci della vostra collaborazione?

Mi pare si evinca da quello che ho detto finora: il nostro è stato un progetto di vita totale, fatto di famiglia e di lavoro in modo inestricabile. Entrambi avevamo anche lavori indipendenti l’uno dall’altro (in trent’anni di lavoro ho pubblicato all’incirca settecentocinquanta storie, da quelle di poche pagine agli albi speciali di più di cento; lui di certo non avrebbe potuto disegnarle tutte).

Io, però, leggevo tutte le sceneggiature che gli mandavano e provvedevo a trovare la documentazione necessaria. Allora non c’era internet e per le ambientazioni e i costumi bisognava cercare nelle enciclopedie e nelle riviste specializzate. Avevo decine di schedari! Giuseppe a sua volta ascoltava i miei soggetti, specie quando mi bloccavo in qualche snodo difficile della trama. Dicevamo sempre che lui mi faceva da sponda, come nel biliardo: mi rispediva la pallina con un’angolazione diversa per aiutarmi a metterla in buca. A volte mi bastava anche solo leggergli il soggetto a voce alta per capire che cosa non andasse bene.

La storia (in)finita viene doppiamente premiata nel 1991

Insieme a lui hai dato vita a delle storie che sono rimaste nel cuore dei lettori, in particolare Paperino in: “La storia (in)finita”, parodia del famoso romanzo di Ende. Ti va di raccontarcene la genesi, le eventuali conseguenze, le soluzioni adottate per renderla una storia Disney a tutti gli effetti?

Tutte le sere leggevo dei libri a mio figlio Ruggero. Ne abbiamo letto davvero tanti! Uno dei più amati è stato La storia infinita di Ende. Poi abbiamo visto e rivisto il film.

Durante i miei anni lavorativi, in tutti i momenti della giornata, c’era sempre un angolo del mio cervello attivo che captava stimoli per nuovi soggetti, qualsiasi altra cosa stessi facendo (non ho la patente, perciò non ho corso seri pericoli). Mentre leggevo il libro di Ende, cominciai a riflettere che il mondo Disney (tutto il mondo, quello di Topolino e quello dei cartoni animati insieme) era altrettanto ricco del mondo di Fantàsia.

Un po’ alla volta sono stata presa da questa fascinazione: mettere insieme tutto: il pianeta dei topi, il pianeta dei paperi, il pianeta di Biancaneve, quello di Peter Pan, di Pinocchio, di Dumbo, di Alice, e così via, in un unico grande Universo della Fantasia, minacciato di estinzione. I due protagonisti erano già lì, perfetti: Topolino che lotta e Paperino che legge le sue avventure. Non ho fatto alcuna fatica a scrivere né il soggetto né la sceneggiatura, è stato puro piacere. Un piacere anche un pochino sadico, perché poi è toccato a Giuseppe dover disegnare le folle di personaggi che nella sceneggiatura io avevo minuziosamente elencato.

Paperino in: “La storia (in)finita” è stata pubblicata nell’ultimo numero di Topolino del 1991. L’anno successivo ci fu una grossa novità: indissero un premio interno al giornalino per la storia più bella pubblicata nell’anno precedente, distinguendo il premio per il miglior disegno e il premio per la migliore sceneggiatura. Raccolsero i voti, se ricordo bene anonimi, di tutti i collaboratori interni ed esterni alla redazione.

Durante il meeting Disney che quell’anno si tenne a Disneyland Paris, da poco inaugurato, Paperino in: “La storia (in)finita” ottenne il primo premio per la migliore sceneggiatura e il primo premio ex aequo per il miglior disegno. Inutile dire che quello fu il momento più emozionante della nostra carriera. In particolare, ricordo con orgoglio che sia Romano Scarpa che Giovan Battista Carpi mi si avvicinarono e mi dissero di aver votato per me. I maestri sulle cui storie avevo imparato il mestiere quella sera mi diplomarono sceneggiatrice.

Un meritato ex aequo per una storia memorabile

Nel corso degli anni hai dimostrato una predilezione per le parodie, producendone di memorabili come ad esempio Zio Paperone Pigmalione e Il ritratto di Zio Paperone. Ti va di parlarcene? Cosa ti affascinava di questo genere? C’è stata una parodia che avresti voluto fare e che invece poi è rimasta nei cassetti?

Ho iniziato dicendo che sono una divoratrice di libri. Leggere le parodie Disney (L’Inferno di Topolino, Il Dottor Paperus, Paperino fornaretto di Venezia, I promessi paperi…) è stata pura libidine per me! Scriverle, poi, aveva un fascino particolare, una sorta di gioco: far muovere paperi e topi come se fossero attori ed io la regista. Il gioco aveva inizio già dalla distribuzione delle parti in cui sceglievo il mio cast tra gli innumerevoli character Disney. A modo loro, anche le Fantaleggende sono parodia.

A proposito delle Fantaleggende. Come nascono? C’era già all’inizio l’idea di farne una trilogia oppure fu una cosa giunta strada facendo? Avete avuto ai tempi la consapevolezza del successo ottenuto da queste storie? La saga si è conclusa definitivamente al termine di Ser Paperino e il genio del cannolo?

Succedono cose strane e preoccupanti sulla Luna…

Le Fantaleggende nascono dai miei studi universitari. Ho fatto una tesi di laurea in Filologia romanza, ovvero poesia cortese e poemi cavallereschi medievali. Ho adorato l’Orlando furioso di Ariosto e mi sono divertita da morire con la Trilogia degli antenati di Italo Calvino, specialmente con Il cavaliere inesistente. Dopo il premio per Paperino in: “La storia (in)finita” ho trovato la forza per dare sfogo a tutto questo materiale che era sedimentato dentro di me e, poi, ho trovato il coraggio per proporlo a Massimo Marconi.

Già nella parodia della Storia infinita avevo osato mettere insieme paperi e topi (cosa vietatissima!), ma nelle Fantaleggende i due mondi si mescolavano davvero, ci voleva un direttore della levatura di Gaudenzio Capelli per correre un simile rischio. Realizzare le Fantaleggende per me e per Giuseppe è stato bellissimo. Ricordo le risate che ci siamo fatti mentre le sceneggiavo e come si divertiva Giuseppe ad aggiungere sempre nuovi particolari mentre le disegnava. E ricordo anche che quando Giuseppe portava le tavole in redazione, il direttore le guardava una per una con vero piacere. Amava soprattutto il personaggio del menestrello che richiamava il cantante Angelo Branduardi.

Per quanto riguarda la consapevolezza del successo ottenuto da queste o da altre storie, ebbene allora non ne abbiamo saputo nulla. Nessuno ci ha mai detto di come venissero recepite le nostre storie dal pubblico dei lettori, né nel bene né nel male. Il premio di cui ho parlato è stato l’unico riscontro di apprezzamento del mio lavoro, ma veniva dai miei colleghi non dal pubblico. Se ci siano state delle lettere o dei sondaggi di gradimento non me l’hanno mai detto. Per noi liberi professionisti, pagati a cottimo, senza alcuna garanzia sindacale e senza diritti d’autore, il riscontro era ed è uno solo: se continuano ad accettare il mio lavoro, vuole dire che va bene.

Paperetta anticipa di qualche anno la necessità di ribellione delle nuove eroine Disney

Ser Paperino e il genio del cannolo è stata l’ultima storia, perché il direttore di Topolino era cambiato e mi hanno proibito di mescolare ancora paperi e topi, il che equivaleva a snaturare l’idea base della serie. Infatti l’ultimo episodio (con solo i paperi perché la parte dei topi è stata soppressa) è molto più debole degli altri ed ho deciso di metterci una pietra sopra.

Hai sempre avuto un occhio di riguardo nel recupero di personaggi poco utilizzati, pensiamo ad esempio a Setter e Orango nell’Isola dei sogni fuggenti, oppure a Paperetta, grande coprotagonista nelle Fantaleggende. Ti piaceva variare con i personaggi?

Mi piaceva moltissimo! Inoltre, perché inventare nuovi personaggi quando ce ne sono di bellissimi tra le storie del passato? Paperetta, in special modo, la considero un’invenzione geniale di Romano Scarpa, che ha colmato un vuoto importante nella famiglia dei paperi ed ero felice di usarla.

Molte delle tue storie hanno un’ambientazione fantasy, è un tema che prediligi particolarmente?

Mi piace evadere dalla realtà e il fantasy è un’evasione al quadrato. L’ho utilizzato molto sia nella mia produzione di fumetti d’avventura che in quella di fumetti comici, ad esempio in Prezzemolo con cui sia io che Giuseppe abbiamo collaborato per dieci anni, dal 1996 al 2006.

All’inizio degli anni Duemila smetti di collaborare con Topolino. Cosa è cambiato o cosa ti ha spinto a questa separazione? Le tue ultime storie furono indirizzate per lo più su Paperino Mese e su Minni & Company, scelta redazionale o frutto di un tuo interesse per i personaggi o i tipi di storie? Hai mai pensato di tornare a sceneggiare per il settimanale?

È stata una scelta redazionale. Noi collaboratori esterni non avevamo voce in capitolo, potevamo solo proporre delle storie e vederle accettate o meno.

L’omaggio al Maestro di Cannaregio

Nel 2003 la storia Topolino, Pippo e il puzzle d’autore presenta un omaggio a Romano Scarpa con il personaggio di Scarpazio Veneziano: è stata una tua idea o di Giuseppe? Che rapporti hai avuto con la scuola veneziana del fumetto Disney o con gli altri autori in generale? Sei rimasta in contatto con qualcuno tra gli autori o redattori? Leggi ancora il settimanale?

L’idea dell’omaggio a Scarpa è stata mia, anche se Giuseppe l’ha condivisa in pieno. Quando ho scritto Topolino, Pippo e il puzzle d’autore mi sono messa a sfogliare alcuni libri sui pittori veneziani del Quattro-Cinquecento. Nel volume dei Classici dell’arte Rizzoli dedicato a Vittore Carpaccio lessi che a volte si firmava Carpatio o anche Scarpazo. Lì è scattata la scintilla: Scarpazo-Scarpa-Scarpazio!

Non ho più rapporti con il mondo dei fumetti né con i miei ex colleghi, tranne che con Maurizio Amendola, Valerio Held e Lucio Michieli che sono cari amici. Non ho più letto Topolino né altri fumetti di alcun genere. Il giorno in cui ho saputo della malattia di Giuseppe non sono più riuscita a scrivere. Ero a metà della stesura di un libro delle Tea Sisters per Piemme, non ho potuto finirlo, è stato l’unico lavoro che non ho portato a termine.

A differenza di me, Giuseppe ha continuato a disegnare anche durante la chemioterapia, con l’amore e la meticolosità di sempre. Il lavoro lo ha aiutato ad affrontare con serenità i venti mesi di malattia. Sarò sempre grata a Topolino per questo.

Nel 2021 ricorrono ormai i dieci anni dalla scomparsa di tuo marito Giuseppe. Che eredità pensi abbia lasciato al fumetto Disney?

Un esempio di professionalità e grande rispetto verso l’idea disneyana di Topolino, che da decenni si evolve e si rinnova grazie alle tante personalità di coloro che lo realizzano, ma che resta sempre coerente a sé stesso, perché le singole personalità non devono mai prevalere. Quando Giuseppe non era soddisfatto di una vignetta la rifaceva ed era estremamente critico verso il suo lavoro. Ciononostante, non ha mai consegnato una storia in ritardo, nemmeno quando gliele commissionavano con tempi di lavorazione molto brevi.

Per finire, desidero ricordare tutte le volte che l’ho sentito scoppiare in una risata mentre disegnava. La mia scrivania e il suo tavolo da disegno erano affrontati. Una volta mi indicò Paperoga sghignazzando: “Guarda che cosa combina questo imbranato!”.

Autore dell'articolo: Paolo Castagno

Sono appassionato lettore e collezionista di fumetti Disney sin da quando ho imparato a... guardare le figure. Il Papersera - sia il sito sia l'associazione - sono per me motivo d'orgoglio!

Autore dell'articolo: Matteo Gumiero

Costretto a scrivere qualcosa in questo spazio, sono ingegnere, non amo scrivere ma in compenso mi piace leggere. Fumetti, soprattutto.