Paperino e l’albero di Natale d’oro

07 DIC 2021

Per Carl Barks quello del 1948 è un Natale sui generis. Paperino e i nipotini si ritrovano infatti da un lato ad aiutare Babbo Natale nella sua fabbrica di giocattoli e, dall’altro, nel pieno di una fiaba stravagante e del tutto atipica all’interno del Barksverse.

Con Paperino e l’albero di Natale d’oro l’autore si ritrova a dover scrivere una vicenda ammantata di buoni sentimenti e di melassa per celebrare una festa che, altrove, percepirà invece come un paravento del consumismo più sfrenato.

C’è anche qui un pizzico di satira sui costumi, specie se pensiamo al desiderio (costoso) dei nipotini e ai loro capricci che mettono in moto l’azione. Ben presto però questa lettura viene derubricata a mera cornice per far spazio a una storia favolistica e moraleggiante.

Nelle opere di Barks c’è spesso un proficuo rapporto con tematiche legate al soprannaturale e al macabro, intuizioni alla base di storie memorabili dei Paperi alle prese con zombi, fattucchiere, scienziati pazzi, fantasmi. In questo caso c’è un inaspettato crossover dietro l’angolo: il villain di turno è una versione barksiana della strega «che aveva avvelenato Biancaneve», ora intenzionata a distruggere tutti gli alberi di Natale del mondo – e annientare con essi la felicità delle persone.

Commistioni del genere avrebbero trovato un terreno sicuramente più fertile nelle mani di altri autori e, pur con tutta la buona volontà, qui la presenza e il piano della Pseudogrimilde suonano stonati. Fu proprio Barks, del resto, a raccontare come la sceneggiatura avesse subito una lavorazione travagliata: l’editore, infatti, lo spinse a modificare pesantemente vari passaggi della storia, inserendo un finale mieloso. Il risultato? Una fiaba nel vero senso della parola, che in gran parte sembra rifarsi più ad Hänsel e Gretel che a una classica storia di Paperi.

Ciononostante, Barks sceneggia con guizzo un Paperino particolarmente eroico che però, dopo aver salvato i ragazzi dalle grinfie della megera, si lascia andare alla fine alle voluttà più superficiali: ottenuta la scopa magica e messa fuori gioco la strega, il papero desidera diventare alto e bello, una brutta copia impomatata dell’odiato cugino Gastone.

I nipotini chiedono invece l’agognato albero di Natale e… sorpresa: il tutto si conclude con l’intervento di un ulteriore elemento fatato, l’abete dorato del titolo, incarnazione dello spirito delle feste. «La ricchezza non dà la felicità!», tuona moralisticamente il prodigioso sempreverde.

Tutto è bene quel che finisce bene, dunque. La storia si chiude in maniera circolare riallacciandosi alla prima tavola: la cattiva è sconfitta, una valanga di alberi di Natale dorati vengono regalati dai paperopolesi riconoscenti ai nostri eroi, la festa è alle porte pronta per essere celebrata… ma con il retrogusto di una paternale decisamente insolita per l’Uomo dei Paperi!

Autore dell'articolo: Davide Del Gusto

Sono cresciuto a pane, letteratura, storia e fumetti. Paperseriano dal remoto 2004, colleziono, leggo, recensisco e mi diverto con l'editing di questo sito. I miei indiscussi numi tutelari tra i fumettari sono Carl Barks, René Goscinny e Albert Uderzo, Floyd Gottfredson, Hergé, Vittorio Giardino, in rigoroso ordine sparso.