Topolino 3619

06 APR 2025
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Assalto alle edicole. Questo ha provocato l’operazione dialetti-bis di Topolino, ovviamente in senso positivo. Undici settimane dopo il milanese, il fiorentino, il napoletano e il catanese, che avevano contraddistinto il numero 3608, ecco che su Topolino 3619 è apparsa una storia in torinese, veneziano, romanesco o barese, a seconda della regione di pertinenza (in italiano nelle restanti). Inutile aggiungere come anche stavolta, nelle zone interessate, i libretti siano andati subito a ruba: pressoché impossibile, dal pomeriggio del mercoledì, accaparrarsene una copia per chi non avesse proceduto per tempo a prenotarla dal benemerito giornalaio di fiducia.

Un’iniziativa rivelatasi di grande successo, persino oltre le più rosee aspettative, è stata dunque replicata a stretto giro di posta, confermando l’eccellente resa, grazie anche alla meticolosità degli adattamenti, eseguiti da rinomati esperti di linguistica. E nell’editoriale il direttore Alex Bertani assicura che si provvederà presto ad allargare gli orizzonti, coinvolgendo altri territori. Bene così, nell’auspicio che questo fortunato progetto possa fare da trampolino per avvicinare il maggior numero di lettori al settimanale anche in occasione delle uscite più canoniche.

La copertina del numero ricalca quella di metà gennaio, sempre realizzata da Andrea Freccero. Allora vi avevamo trovato un elegante Zio Paperone, che ammiccava da sotto una speciale tuba con fascia tricolore: stavolta, anch’egli in abito da cerimonia, c’è Topolino, con un papillon bianco, rosso e verde.

Se lo Zione era stato il protagonista della prima storia in dialetto, Zio Paperone e il PDP 6000 (di Niccolò Testi e Alessandro Perina), ora tocca a Mickey prendersi la scena in Topolino e il ponte sull’oceano. In verità, colui che, come spesso accade, ha l’onore di comparire nel titolo, divide più o meno equamente lo spazio con Minni, Clarabella, Pippo e Orazio.

Alessandro Sisti, sempre una garanzia, ci regala un’avventura spassosa e rocambolesca, nella quale una banda di malviventi viene sgominata con modalità inusuali, sullo sfondo di una ridente località vacanziera che si affaccia sul Pacifico. A ognuno dei personaggi è assegnato un ruolo specifico, caratterizzato con sapienza e ironia, nonché funzionale allo scorrimento della trama, e il meccanismo a orologeria tramite cui le varie situazioni si concatenano è inappuntabile. Le due ragazze si muovono in contesti che di solito sono prerogativa dei rispettivi fidanzati (e viceversa), mentre Pippo è il jolly, la scheggia impazzita, che, in qualche modo, fa saltare il banco.

Attenzione alle spalle…

Si ride parecchio già nella versione “nazionale”, ma il dialetto – chi scrive ha gustato la storia anche in romanesco, ma vale senz’altro per tutte le varianti – dona una marcia in più a certe battute, suscitando, non di rado, un effetto esilarante.

Nel rimarcare la gradevolissima leggerezza della vicenda fanno la loro parte gli efficaci disegni di Marco Gervasio, cavazzaniani al punto giusto grazie anche alle chine di Alessandro Zemolin, e non va dimenticata la colorazione fresca di Manuel Giarolli.

Introdotte da un recap di Marco Travaglini sulle origini del personaggio, seguono le due parti di Paperino Paperotto e la spia che venne dal cielo. Qui, ancora con le matite di Nicola Tosolini, Bruno Enna torna a occuparsi sul libretto delle vicissitudini di Quack Town, a tre anni esatti dalla bellissima Paperino Paperotto e il volo dell’albatro, e lo fa con un nuovo gioiello, curato nei minimi dettagli.

Fin dal titolo, e dalla quadrupla d’apertura, respiriamo un clima in stile James Bond, stemperato dai bambini che lo ricreano a propria immagine e somiglianza. Abbiamo un enigma da risolvere alla loro maniera, un misterioso aviatore in avaria da identificare e un MacGuffin tipicamente hitchcockiano (i documenti top secret). Il tutto nel consueto genuino clima bucolico, finemente riprodotto, tra feste di paese, piccoli disastri in fattoria e monopattini sequestrati.

Giovani intercettatori all’opera

Le tenere e briose dinamiche tra Paperino e i suoi amici sono impagabili, e non è da meno la rappresentazione degli adulti. Tra questi, rivediamo con piacere il papà di Louis, in un ruolo secondario ma cruciale, e facciamo la conoscenza con il miliardario misantropo Harold Duckes (palese il riferimento alla discussa figura di Howard Hughes), probabilmente destinato a entrare nel cast in pianta stabile.

L’autore sardo miscela ogni elemento da par suo, tessendo con abilità le varie sottotrame, divertendo ed emozionando con superlativo senso della misura. Paperino Paperotto è una sua creatura, ne conosce l’universo narrativo come le proprie tasche, e ciò traspare nitidamente da ogni pagina.

Lo stesso discorso vale per Tosolini, pienamente a suo agio nel ritrarre il mondo di Quack Town, che padroneggia con la sicurezza del veterano. L’espressività, la spontaneità, la vivacità che l’artista veronese instilla in Donald & Co. valorizzano una sceneggiatura già di per sé calibrata alla perfezione.

Le sei tavole di Pippo a torto nell’orto, al contrario, scorrono rapide senza lasciare traccia. Tito Faraci delinea una gag allungata non molto originale, con l’ennesima tentata invasione aliena, che nemmeno il sempre affidabile Valerio Held può far brillare più di tanto.

Pluto in stile Peanuts

Più riuscita Saggezza canina, per la serie Vita da Pluto. Qui Francesco Pelosi, coadiuvato ai disegni da un ottimo Mattia Surroz, ci permette di entrare nella mente del cane di Topolino, facendoci osservare la realtà che lo circonda attraverso i suoi occhi. A differenza dei non-cani, Pluto pare davvero aver compreso quali siano le priorità dell’esistenza. Simpatica anche la citazione alla tradizionale posa di Snoopy, sdraiato sul tetto della cuccia.

Infine, Zio Paperone sull’isola del lupo mannaro rappresenta una sorta di sintesi, se non di Bignami, della classica avventura di Scrooge e nipoti a caccia di tesori in luoghi ignoti. Lo è fin troppo, considerato che Marco Nucci procede a un ritmo vertiginoso, esponendo in poche vignette ciò che d’abitudine è trattato su più pagine. Ben pochi aspetti vengono approfonditi e i personaggi appaiono piatti, stereotipati, dando l’idea di provenire da certa produzione minore nordeuropea.

Visto l’epilogo, resta il dubbio se la cosa sia voluta, se magari si tratti di un semplice divertissement, pur fine a se stesso. In ogni caso, nonostante le valide matite di Mario Ferracina, il risultato lascia perplessi, come se il soggetto non fosse stato adeguatamente sviluppato, bensì completato in fretta e senza eccessiva convinzione.

Detto del quanto mai affollato Che aria tira di Silvia Ziche e della tavola autoconclusiva Il più grande… giornalista!, in cui il Paperoga di Enrico Faccini ci strappa un ultimo sorriso, restano da ricordare la rubrica Fumettando, con Andrea Maccarini che continua a istruirci su come disegnare Newton, e l’anteprima del nuovo kolossal in cinque capitoli Terravento, al via la prossima settimana.

Riepilogando, il numero parte bene, raggiunge l’apice con un ispirato Paperino Paperotto, ma poi, escludendo la breve di Pluto (che assolve il proprio compito), patisce un sensibile calo. La qualità iniziale gli vale, comunque, una valutazione complessiva di tre stelle e mezza.



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Autore dell'articolo: Fabrizio Fidecaro

A cinque anni cominciai a leggere Topolino, a sette fui travolto dal vento del sud. Da allora il fumetto Disney ha sempre fatto parte della mia vita. Amo lo sport (da spettatore), i libri di John Fante e Simenon, i film di Hitchcock e Wes Anderson. Il Papersera mi ha dato l'opportunità di incontrare grandi autori e nuovi amici.