Intervista ad Augusto Macchetto
Il 20 marzo 2025, prima di Lucca Collezionando, ci troviamo a Bologna, in particolare alla Trattoria del Rosso, ottimo ristorante di cucina tradizionale, tra crescentine e squaquarone. Augusto Macchetto, sceneggiatore disneyano dal 1996, si racconta, tra fumetti, narrativa e altro ancora.

Una recente foto gentilmente condivisa dall’autore
Partiamo subito con una bella domanda facile: allora, che con cosa è iniziato la tua carriera?
La prima cosa che ho provato a fare è stata un videogioco, per la Simulmondo. Si trattava di videogiochi per computer che andavano sceneggiati, in particolare Simulman. Avevo anche incontrato il fondatore, Francesco Carlà, con il sigaro in bocca. La risposta fu incoraggiante, anche se non completamente positiva. Mi avevano consigliato di sistemare alcuni punti. Al ritorno a casa, alla fermata dell’autobus, ho pensato a come mi fosse piaciuto scrivere e risolvere il problema in una narrazione schematica in cui ogni snodo narrativo deve essere giustificato e credibile. Ero giovane, e la sensazione della scrittura mi era piaciuta. Prima di approdare in Disney, ho fatto il pubblicista per un giornale locale di Biella, per il quale realizzavo articoli su tutti gli argomenti, soprattutto culturali. Mi ricordo che uno sul giorno dei morti era piaciuto molto al direttore.
Quindi con i videogiochi non ha funzionato?
No, allora feci un tentativo in Bonelli, e ricevetti una telefonata da Mauro Boselli (ndr, attuale curatore di Tex), insieme ad un altro mio collega. Ci tenne al telefono per mezz’ora per dirci di no, che andava rivisto. Tanta era la mia ingenuità che presi quel no per un vero e secco no. Invece, era una mezz’ora di Boselli che parlava della nostra scrittura! Difficilmente avrebbe speso tanto tempo con noi se non avesse avuto un minimo di interesse. Ma rimase solo una delusione. Da giovane mi sembrava tutto più difficile ed ero facile a scoraggiarmi. Mi ricordo quegli anni in cui si era parecchio ingenui, mentre invece bisogna provare e riprovare, come è stato con l’Accademia.
Esatto, come è stato il periodo dell’Accademia Disney?
Prima di entrare, feci qualche giro a vuoto. Non ho sfruttato un fortuito incontro in ascensore, come era successo a Pazienza insieme a Pratt che, al vedere i suoi disegni nella redazione di Alter, disse che avrebbe fatto strada. Ho incontrato Massimo Marconi in ascensore, l’ho riconosciuto ma non ho spiccicato parola. Ero timido. Impacciato. E anche un bel po’ scemo.

Un toccante flashback di MMMM
Non hai seguito Pazienza…
No, assolutamente. Ma mi diedero il nome di Alessandro Sisti (ndr, Premio Papersera 2024 con un contributo dello stesso Macchetto) e cominciai a tampinarlo. Tampina, tampina, stavo quasi per smettere, quando feci ancora una telefonata, l’ultima. E Sisti mi dice che stanno per cominciare il corso all’Accademia e che vuole prendermi a bordo. Alla mia sottolineatura che stavo quasi per non chiamarlo più, Sisti mi diede la prima delle tante utili indicazioni che mi arrivarono da lui: “Mai mollare, mai arrendersi”.
Questo consiglio mi è poi davvero servito nell’essere costante.
Com’era l’ambiente dell’Accademia Disney? Una vera e propria scuola con corsi, esami, lezioni, test?
Da Biella prendevo il treno per Milano per due lezioni a settimana. Era molto operativa, con Sisti che metteva a disposizione i ferri del mestiere e dava dei consigli pratici ed efficaci. “Appena puoi, porta i personaggi in esterna”. “Non stare in casa, portali nel giardino. Il parco è meglio del giardino, e se è un luogo magico meglio ancora”.
Anche le battute corte sono meglio, un concetto che avevo fatto mio dopo aver saputo di come si faceva un tempo al Corriere della Sera: ai novizi veniva fatto dimezzare l’articolo che avevano appena scritto, fino a quando ne restava l’anima, diciamo.
Anche Oriana Fallaci, prima di arrivare all’articolo finito, scriveva e riscriveva, fino alla fine.
Esatto, anche Buzzati diceva che, se avesse avuto il tempo di rifinire all’infinito, avrebbe scritto solo capolavori.
Ora ti faccio una domanda difficile: riguardo a Disney In Cucina (una serie di fascicoli con brevi storie disegnate da Stefano Turconi e scritte da Macchetto, con allegate stoviglie a tema Disney), che cosa ci puoi raccontare?
Era molto divertente e, preparandomi, ho scoperto che troppe delle ricette dei libri e dei siti di cucina non vengono provate. Mi sono quindi fatto un punto d’onore nel provare e preparare tutte le ricette. È il solo modo per essere sicuro dei tempi, delle proporzioni e dei dettagli.

Inquietanti metamorfosi sotterranee…
Ti piace cucinare? Qual è il tuo piatto forte?
Sì, mi diverte. Me la cavo con i risotti, la polenta, la sfoglia da tirare. Mia moglie è valtellinese, quindi mischiamo tutto insieme alle mie origini piemontesi e alle influenze emiliane. Anche i pizzoccheri vengono bene.
Non sono molti gli sceneggiatori Disney che si occupano di personaggi diversi dagli standard characters. Tu invece hai curato svariati progetti, tra cui Fairies. Quali sono le differenze?
Non ricordo bene… il mio ideale è avere tre o quattro lavori in contemporanea, ma diversi tra di loro. E, anche sul piano dei personaggi, mi piace frequentarne il più possibile. Sono fatto così. Fin da subito ho frequentato anche l’area libri Disney, e mi piace scrivere cose diverse. Apprezzo molto anche la traduzione, che ritengo sia un buon motore creativo: non sei tu il papà del testo, ma un po’… il nonno, con meno responsabilità ma comunque presente. Il libro è nato ma lo devi accudire tu, lo devi far suonare nel migliore dei modi.
Che lingua traduci?
In genere l’inglese, sono quasi sempre testi brevi per bambini.. Si fa grande attenzione ad ogni sonorità, perché ogni parola è importante. I libri più difficili sono quelli da 30 parole! Ad esempio, il Bruco Maisazio di Eric Carle.
MMMM – Mickey Mouse Mistery Magazine: hai scritto una sola storia, Victoria. Come ti sei approcciato al progetto, in cui quasi tutto venne sceneggiato da Faraci e Artibani?
Mi hanno chiamato dentro il progetto quando era già avviato. Sono una persona da storie autoconclusive. Non ho mai amato la continuity e mi piace che la storia si risolva in sé stessa, piena di gusto, chiusa e senza riferimenti ad altro. Victoria è calata nel mondo di MMMM ma è pienamente completa, approccio che ho perseguito anche in PKNA, trilogia di Xadhoom a parte. Victoria è piena anche… di mio papà. Era geometra e lavorava in Africa per la Trenco, una societa di costruzioni (il nome del coprotagonista della storia è, appunto, Victor Trenco). Avevo fatto un errore inserendo una macchina movimento terra, il grader, ma sbagliandomi e scrivendo “greder”. Me ne accorsi anni dopo, mentre traducevo i libri di Richard Scarry, pieni di macchinari, per Mondadori. Oltre a mio papà, nella storia si trova anche una mia fobia personale: ho terrore per le statue grosse. Mi spaventano, e proporre un soggetto in cui far esplodere un grande monumento è stato fantastico.
Come mai ne hai paura?
Da piccolo ero alle isole Canarie, e mio padre mi ha raccontato che avevo avuto paura di fronte a delle grosse statue nere, i Guanches. Se sono preparato, non ho problemi – ho visitato il Sancarlone… – ma trovare una grande statua all’improvviso, come in chiesa, mi intimorisce.
Almeno hai fatto esplodere la Victoria Atlantica. Possiamo passare a PKNA, partendo prima dalle storie brevi, ovvero Vedi alla voce Evron. Come ti approcci ad una storia fatta di gag brillanti (chi si ricorda i proverbi dell’imperatore)?
È abbastanza facile, perché c’è una traccia ben precisa, e su quella si possono inserire le battute. Cerco di far ridere, ma mi accontento di far sorridere. Inoltre, lì c’è un po’ di Filippo Scozzari, che disegnava storie che si basavano sull’esplorazione di pianeti e mondi lontani. Inoltre, su Frigidaire, erano usciti in formato poster certi proverbi afghani, che sicuramente mi hanno suggestionato. La rivista e i suoi autori mi hanno fortemente influenzato nell’avvicinarmi al fumetto. Mia madre me li comprava, evitando quelli con le copertine troppo spinte, come per Il Male. Frigidaire era assolutamente fenomenale!

Una sceneggiatura ritmica
Passiamo alle storie lunghe di PKNA, quasi tutte autoconclusive. In Agdy days, ad esempio, troviamo il tema della finanza, parzialmente presente anche in Victoria. Che rapporto hai con l’economia? Giochi in borsa?
La finanza mi affascina, ma non gioco in borsa. Sono un investitore prudente, specie in questi anni. Inoltre, il mio personaggio preferito Disney è Paperon de’ Paperoni, non certo un caso. Per quanto riguardo la trama, avevo letto qualcosa dell’evento di Tunguska, ma ricordo che sui forum dell’epoca alcuni lettori pensavano avessi approfondito su altri testi. Come vedi, pur partendo dallo stesso albo, ogni lettore trova qualcosa di personale.
La mia storia preferita di PKNA tra le tue è Nell’ombra. I suoi dialoghi sono brillanti e memorabili. Il “riposa adesso” è iconico perfino nelle gif su Telegram. Puoi raccontarci qualcosa a riguardo?
Ho lavorato con grande trasporto a questa storia, e me lo confermi dal fatto che i dialoghi sono ancora forti e ricchi di significato. Inoltre, questa storia, così come PKNA, è il trionfo del punto fermo. Rispetto alle storie su Topolino, non c’è l’obbligo di chiudere ogni frase con il punto esclamativo o con i puntini di sospensione. Una vera liberazione, che apre tutta una serie di potenzialità e spalanca miniere di espressività. Me la ricordo proprio come una goduria, poter usare il punto fermo. E anche questo aspetto è stata una parte della grande forza del progetto PK.
Riguardo a Nell’ombra, non mi sono ispirato ad altri soggetti per il ragno “cuorediferro divoratrice” (un’efficace litania), ma questa idea di una forza sotterranea che si espande in maniera parassitaria l’ho usata in altri contesti. Mi incuriosisce l’underground, non a caso un’altra storia di Pkna (con una vaga ispirazione dal film di Kusturica che, nonostante non l’abbia mai visto fino alla fine – sempre incontrato a tarda notte… – , mi ha ispirato nel tratteggiare una comunità che vive nelle fogne).
Nella storia c’è una inquietante vignetta con il cattivo che diventa un ratto di fogna.
Gramash (ndr, Rosto Gramash, il personaggio in questione), in piemontese, almeno nella zona di Biella, significa “cattivo” anzi, “cattivone”… dovrei andare a cercarmi la sceneggiatura originale…
Passiamo a Pk², serie fantastica ma non molto apprezzata. In Ancora un giorno, abbiamo di nuovo un tema economico, con un personaggio licenziato e che decide di fare causa all’azienda, senza successo. Inoltre, tra una scena di finto accoltellamento e antenne forse dannose per la salute con rivolta popolare, si tratta di una vicenda decisamente attuale.
Mi dispiace ma purtroppo ho un vuoto totale di memoria riguardo a questa storia. Devo andarla a cercare nella mia cassapanca, dove conservo i vari albi. Non sono collezionista e sono un po’ disordinato.
E riguardo a Nel fuoco, la tua seconda e ultima storia per Pk², hai qualche memoria? Hai dovuto fare qualche cambiamento alla trama a causa della repentina chiusura della testata, avvenuta con il numero successivo?
Anche qui non ricordo molto, spesso sono un po’ quello fuori dai giochi, casco sempre dalle nuvole. Mi ricordo la fase operativa nei sotterranei di Via Sandro Sandri, sia per PKNA che per Pk². Andavamo nell’aula “Orazio e Clarabella”, in maniera un po’ carbonara, ed ero molto contento di far parte del gruppo creativo, tra brainstorming e suggestioni.

Il fiabesco Mago Ciccio
Chiudendo l’area spillati, hai realizzato parecchie storie di Witch soprattutto nella seconda parte della vita editoriale, tra cui la storia finale. Com’è scrivere storie con un target molto preciso, in questo caso quello femminile?
A me piace, appena posso mi lancio in progetti simili. Per Rizzoli, ho scritto un romanzo, Un bacio che non si stacca più, in cui si racconta un rapporto epistolare tra una madre e una figlia. Il lavoro di un autore è in fondo anche immedesimarsi nei personaggi che si scrive. Mi piace calarmi anche in contesti lontani. Su Witch avevo curato la macrotrama per un anno o due, e il lavoro è stato molto bello, come con PK, un lavoro di squadra molto soddisfacente. All’epoca collaboravo con Veronica Di Lisio, con cui lavoro oggi in Giunti. Ci vedevamo a Milano, e poi tante mail, telefonate e fax.
A proposito di personaggi femminili, tu hai creato Martina Ubersetzen, un’archeologa amica di Indiana Pipps. Che libertà avete per creare personaggi in Disney?
Il cognome significa “tradurre” in tedesco. Era il periodo dei nomi famigliari. Martina è il nome di mia madre, Clementina (che è diventata Clementina de Paperis) è mia moglie, mentre in Fairies ero riuscito a inserire Costanza, mia figlia. In genere, con personaggi episodici non ci sono particolari difficoltà. Martina Ubersetzen era un ideale contraltare femminile di Indiana Pipps.
E con il commissario Topet?
Lui nasceva come parodia di Maigret, ma con molte libertà. Rispetto a Topolino, poi, si distanziava parecchio: è distratto, si veste male, riceve molto aiuto dalla fidanzata, l’assistente Pipotte si trasformava in qualsiasi cosa. Dopo alcune storie, mi hanno chiesto di limitare le trasformazioni, perchè era impossibile che Pippo si trasformasse in un idrante senza alcuna spiegazione plausibile. Con i lavori per Giunti, tra PaperDante o PaperPuccini, la costruzione del personaggio è delicata e il rapporto tra componente Disney e storica deve essere equilibrato, esaltando entrambe le parti.
I gialli di Topet erano molto particolari, tra foglie d’autunno e case che scompaiono…
Da Simenon ho cercato di catturare l’atmosfera, gli odori, i suoni. Nei suoi libri la storia spesso è in secondo piano, il giallo può essere persino banale. Ho poi voluto presentare un Topolino meno perfettino, cercare di indebolirlo un poco, liberandolo dai suoi punti forti, che a volte diventano limiti (ndr, un trend all’epoca presente anche in Ziche e Faraci).

Le melanconiche indagini di Topet
A proposito di serie, c’era anche Mago Ciccio, in cui la trama conta relativamente, mentre assume carattere prevalente il ritmo, con un clima cadenzato, fiabesco e fatto di leitmotiv che si ripetono con costanza.
A me piace molto la fiaba classica, e trasporre la magia in una storia di Topolino permette ampia libertà. Anche Ciccio si rivela molto duttile, uscendo dallo stereotipo della pigrizia per fare altro.
Hai curato la sceneggiatura di due storie il cui soggetto era di Sergio Asteriti. Come hai lavorato con lui?
Non ho avuto modo di incontrarlo molto, ma era un vero signore, mite, gentile, ma capace di mettere soggezione. Il suo tratto particolare mi piaceva fin da piccolo, perchè apprezzo i disegnatori eterodossi, che violano il canone. Asteriti proponeva un certo tipo di storie, e io facevo in modo di soddisfare le sue richieste. Non so come mai la redazione mi fece proposte, se per spunto di Asteriti o con una scelta loro.
Passiamo alle storie per Giunti. Avevi già realizzato la parodia a fumetti di un personaggio storico con Galileo Galilei. Lavorare invece su un racconto illustrato come PaperDante o Paper Puccini quali sfide ha presentato?
PaperDante è stato un successo clamoroso, e l’idea di mostrare l’autore da piccolo è risultata vincente. Veronica Di Lisio mi propose di fare qualcosa su Dante, un’impresa da far “tremare le vene e i polsi”. Studiandone la vita, ho scoperto che dell’infanzia dantesca si sa poco o nulla, e quindi mi è parso un ottimo scenario in cui calare la storia, che mi permetteva ampia libertà e facile immedesimazione con il giovane lettore. Ovviamente, andava trovata anche qualche somiglianza storica: con Google Maps, durante il Covid, ho scoperto che da villa Alighieri si poteva raggiungere facilmente la cava etrusca di Monte Ceceri. Era la perfetta conferma per ambientare la storia di un piccolo Dante che trova l’ispirazione per il viaggio negli inferi con un’esplorazione della grotta della cava.

Il piccolo PaperDante sulle soglia oscura…
Il successo di PaperDante vi ha spinto a proseguire inseguendo i vari anniversari.
Esatto, con PaperManzoni ho scoperto che Alessandro Manzoni andava in vacanza in una villa sul lago di Como. Mentre con Puccini, grazie alla Macchina del tempo di Topolino, l’approccio è leggermente diverso.
Ti piace l’opera lirica?
Non sono un esperto ma la ascolto volentieri. Mi piace Wagner (con voce più bassa, ndr)…
Non bisogna vergognarsi, piace anche a me. Sono un grande estimatore della prima parte della tetralogia dell’anello: l’Oro del Reno!
Tornando a Giunti, hai scritto il Topo Principe, opera che io ricollego a Francesco Gerbaldo. Da anni monitorava l’uscita del volume, tra annunci Amazon e continui rimandi, finendo in un limbo, dato che non c’erano alcune informazioni a riguardo.
Come sempre, cado sempre dal pero. Non so bene, a spanne, suppongo ci sia stata la necessità di controllare molti dettagli dell’operazione più e più volte. Succede, quando ci si misura con i pesi massimi della letteratura. La cosa positiva è che siamo potuti tornare a piacimento sul testo, e ragionare sulla singola virgola (non sto esagerando). In editoria non capita praticamente mai. Anch’io aspettavo con curiosità l’uscita. Il piccolo principe sembra un libro per bambini, ma in verità è anche per adulti che si sentono bambini. Ieri andavo alla ricerca di fossili in un torrente e mi sono “sbragato” i pantaloni. Mi sono sentito un cretino ma anche un po’ bambino.
Anche questa idea era una richiesta di Giunti, e con Veronica e Susanna Carboni e Manuela Fecchio si crea molto bene, un ottimo lavoro di squadra. Il clima è fantastico.

Un libro per Mondadori scritto da Macchetto
Fai anche altre cose per altre case editrici, giusto? Mi ricordo di un bel volume su Fantasia, illustrato da Marco Rota e scritto da Bianca Pitzorno.
Qualcosa per Mondadori, ad esempio Amico libro, Il libro dei bacini e Mostri degli abissi.
Se non sbaglio vivi nella natura, giusto?
Sì, a Monte San Pietro, 20 minuti da Bologna, nel Basso Appennino. A volte si resta senza corrente elettrica. A Biella ho una casa proprio immersa nel bosco.
Hai realizzato degli adattamenti di alcuni lungometraggi Disney. Qual è il tuo film di animazione preferito? E serie TV?
Ho adattato praticamente tutti i classici Disney, incluso materiale Pixar come Luca o Inside Out. La bella addormentata nel bosco, Bambi, Toy Story, li adoro. La mia serie preferita è sicuramente Better call Saul.
E il tuo libro del cuore?
Facile: Lo Straniero di Albert Camus.
Io sono del team La peste.
Sto leggendo il suo epistolario d’amore con Maria Casares e, anche se sei Camus, lo stile è piuttosto svenevole e pesante. Sono meglio le lettere d’amore della Casares. Ma invece, chi ha inventato sul forum il termine “macchettate”?
Non saprei, ma sicuramente hai uno stile ben preciso che diventa riconoscibile. Grazie mille per questa chiacchierata!
Grazie a voi! Quack!
06 GIU 2025