Topolino 3644

Sono due storie a spiccare in questo Topolino 3644, segnatamente le prime del numero.
Apre le letture Zio Paperone e la maschera di Sberleff, cui è dedicata anche la copertina ad opera di Ivan Bigarella, segno inequivocabile che la redazione ben aveva compreso il potenziale narrativo di questa storia. E le aspettative ingenerate nel lettore sono più che ripagate da una trama intrigante e complessa nella sua apparente semplicità. Vito Stabile si conferma perfetto cantore delle vicende che scavano anche psicologicamente nel microcosmo paperoniano, e quel che sembrava destinato ad essere una tradizionale caccia al tesoro si trasforma in un viaggio, a volte anche inquietante, nel modo di pensare paperonesco, dandoci al contempo molto da riflettere sulle nostre superstizioni quotidiane e su come esse troppe volte incidano sulle nostre scelte, senza averne però motivo o ragione alcuna.
Se la trama è un gioiellino incontestabile, merita fare qualche riflessione in più sui disegni. Negli sfondi e nei personaggi “umani”, come anche nelle scene dinamiche, rintracciamo infatti l’abituale abilità di Casty che ben conosciamo e che abbiamo potuto celebrare ancora nel suo ultimo kolossal, pubblicato nelle scorse settimane. Vedere però l’artista goriziano raffigurare i paperi anziché i consueti topi – si contano sulle dita di una mano le occasioni nelle quali è stato chiamato a questo compito – produce invero un effetto straniante, rivelando però, appunto, buoni spunti nelle scene dinamiche, piuttosto che in quelle statiche. A noi lettori resta la curiosità di sapere se tale incursione nel campo paperopolese resterà isolata, oppure se seguiranno nuove prove che ci riveleranno un disegno ancora più sicuro anche in questo diverso contesto urbano.

Paperina e il vicino scomodo vede invece Corrado Mastantuono, come ormai d’abitudine nelle vesti di autore completo, riproporci una Daisy Duck intraprendente e dinamica alle prese con la quotidianità, quasi a seguito ideale di un’altra sua recente storia. Dopo aver dato, ormai da tempo, nuova linfa al ciclo del Papersera, sembra che l’artista abbia deciso di dare una buona mano di vernice anche a Paperina, e con ottimo successo, oseremmo dire. L’avere posto il personaggio alle prese con una sorta di giallo da vita vissuta, da quartiere ove si abita tutti i giorni e dove la gente si conosce proprio per questo, permette di far risaltare le capacità deduttive e la voglia di non arrendersi di Paperina, nascondendone almeno temporaneamente i cliché più stereotipati e ormai sterili, riscoprendone un potenziale forse non dimenticato, ma sicuramente sopito da troppo tempo.
La storia è un altro piccolo gioiello nella sua linearità e nella sua semplicità, destinata a dare al lettore più attento notevoli spunti di riflessione su pregiudizi e calunnie troppo facili a diffondersi e ad essere ascoltati. I disegni non tradiscono le attese: nessun personaggio esce mai sminuito, mentre ogni emozione, a chiunque appartenga, è resa con maestria immediatamente percepita dal lettore.

Superate queste due brillanti avventure, il resto del numero si barcamena senza guizzi particolari.
In Science we trust – La minaccia di Grogantus è una simpatica breve (non brevissima) che prosegue il ciclo nel quale Marlin e Zapotec interagiscono con Enigm e Atomino, anche dopo che la Macchina del Tempo è stata riparata. La storia – scritta come sempre da Giovanni Barbieri – si lascia leggere chiudendo una questione ripresa dal precedente episodio, strappa qualche risata e si fa ammirare per un Cristian Canfailla in forma strepitosa, ma poco lascia al lettore per essere ricordata nei tempi a venire.
Stessi pregi e difetti ha sostanzialmente Zio Paperone e l’ingiallimento autunnale di Tito Faraci e Ottavio Panaro: svolge più che dignitosamente il suo ruolo di riempitiva, regala qualche battuta fulminante e un paio di gag davvero divertenti, ma non dà spunti al lettore per ricordarla particolarmente, una volta che il numero sarà stato riposto sullo scaffale.
A conclusione del lotto di storie ad ampio respiro, troviamo infine un nuovo episodio dei Mercoledì di Pippo, intitolato per l’occasione I racconti del tremore (rimandiamo per l’occasione al blog dello sceneggiatore, che ci rivela che questo sarà l’ultimo della serie, ndr).
Rompendo un po’ il tradizionale schema della serie, stavolta Rudy Salvagnini propone un Pippo autore non di una trama lunga, ma una serie di racconti, che sottopone, al solito, al sempre sin troppo paziente Topolino. Purtroppo, però, la trovata non basta da sola a riportare il ciclo ai suoi antichi fasti. Sicuramente ci sono alcune gag meritevoli, ma a fine lettura sembra sempre di essere lontani da quegli autentici fuochi di fila ininterrotti che erano le vicende degli anni passati, quando si iniziava a ridere sin dal titolo e non si smetteva sino alla fine. La storia non è da buttare, sia chiaro, ma anche questa non si rivela in effetti memorabile. Quanto al comparto grafico, Libero Ermetti non tradisce: vignette chiare, dinamiche dove serve, sempre espressive e dalla perfetta leggibilità.

In chiusura estrema, gradevole è la one-page PP8 Mondi fantastici – Il Cosmo Divoratore, mentre l’attuale Che aria tira a… Topolinia di apertura è un fantastico esempio delle straordinarie capacità di pensiero laterale di Pippo, che si rivela più meritevole di riflessione di quanto non appaia superficialmente.
Sotto il profilo dei redazionali, l’editoriale del direttore Bertani si sofferma integralmente sull’imminente ritorno di Superpippo sul settimanale, cui è dedicata una doppia intervista agli autori della storia del personaggio che sarà pubblicata sul prossimo numero (Andrea Malgeri e Andrea Maccarini), mentre meritano segnalazione un nuovo capitolo del Vocabolario del futuro (con annessa striscia di Gagnor/Sciarrone) e la seconda scheda su come disegnare Nonna Papera, stavolta di profilo, a cura di Mattia Surroz.
Questo, come accennavamo, è un numero diviso davvero in due metà, dove le prime due storie la fanno da padrone e svettano sul resto, che si caratterizza comunque di buona qualità, pur senza avere un vero e proprio picco. Ragione per cui, se questa formula fosse identificabile come la routine minima che il settimanale fornisce, lamentarsene sarebbe davvero da stupidi: non resta pertanto che dare un voto piuttosto alto al numero.

