Intervista a Mauro Boselli (prima parte)

11 OTT 2025

Redazione Papersera: Ciao Mauro, buon pomeriggio e grazie per avere accettato di parlare con il Papersera! Partiamo dal Mauro Boselli lettore di fumetti. Che influenze indicheresti nella tua carriera di sceneggiatore fra le cose che hai letto, magari anche da piccolo?

Mauro Boselli: Per qualsiasi autore di fiction, non solo di fumetti, l’influenza della lettura è fondamentale. Bisogna leggere molto e in questo modo ti crei un archivio mentale, una miriade di possibilità narrative che affiorano quando ne hai bisogno. E non parlo ovviamente di scene o di scopiazzature, ma di stili, effetti, trucchi del mestiere.

Per quanto mi riguarda, da piccolissimo, ben prima di andare a scuola, ho imparato a leggere sui fumetti, su quelli di Topolino in particolare, per esempio quelli di Guido Martina, Chendi & Bottaro, e Romano Scarpa, che uscivano negli anni Cinquanta. E avevo soprattutto un debole per le storie complesse e intrecciate di Scarpa, come Topolino e la collana Chirikawa o Topolino e l’unghia di Kalì. Non avevo ancora compiuto cinque anni che già leggevo fumetti, perché grazie a un mio cugino che me li leggeva ad alta voce, io seguivo i balloons, e così ho imparato a leggere senza neanche rendermene conto. Inoltre mio padre era già un lettore assiduo di Tex e il primo albo di Tex che ricordo era una raccoltina di strisce con la storia completa Le terre dell’abisso1, che mi affascinò perché trattava di dinosauri.

Da lì poi sono passato a leggere libri, leggendo di tutto e di più: Verne, Salgari, romanzi d’avventura, ero talmente affamato di libri che li andavo a prendere in biblioteca, me li facevo prestare e non li restituivo. Fantascienza, gialli, enciclopedie, qualsiasi cosa. Ho letto per la prima volta l’Orlando furioso di Ariosto e I Fratelli Karamazov di Dostoevskij a 13 anni. E leggevo tutti i fumetti, che all’epoca erano tantissimi nelle edicole. Uno adesso non se lo può neanche immaginare, c’era una scelta vastissima e, oltre ai fumetti italiani, che erano tanti, sia quelli comici che quelli avventurosi, erano a disposizione le ristampe dei vecchi fumetti americani delle strip, come Phantom (l’Uomo mascherato), Mandrake, Flash Gordon, il Principe Valiant… c’erano i primi supereroi della DC Comics: Batman e Superman (che all’epoca si chiamava Nembo Kid). E quando io avevo 11 anni, la Mondadori pubblicò i classici del fumetto franco-belga: per cui, oltre ad Asterix, che ebbe enorme successo in libreria, in edicola si trovavano Blueberry, Blake & Mortimer, Michel Vaillant, Dan Cooper, Tanguy e Laverdure

I fumetti francesi dell’epoca avevano balloon sterminati! E anche quelli di Tex non scherzavano. Mi fa ridere che i lettori pigri di oggi mi accusino di essere troppo verboso, forse guardano solo le figure! Davanti a un albo del Professor Mortimer, con gli enormi, ricchi, balloons tipici del fumetto franco-belga di allora, rischierebbero immagino l’esplosione del cervello! E poi uscì Linus, dove scoprii i Peanuts, Popeye, Li’l Abner, Jeff Hawke… Tra gli italiani, l’unico che firmava allora le sue opere era Bonelli, sugli albi a striscia c’era scritto all’inizio “Text by G.L. Bonelli”.

A proposito di dialoghi. Che “dialoghista” ti senti rispetto a G.L. Bonelli, Claudio Nizzi e Guido Nolitta? Citiamo questi tre…  Nolitta anche lui scriveva un po’ di più. Certamente più di Nizzi, forse anche di Bonelli. Io ho questa memoria di Nolitta che faceva più aprire i personaggi, erano più emotivi…

Mah, non credere che Nolitta facesse parlare i personaggi più di quanto non facesse Bonelli. Se tu vai a vedere, c’è una famosa storia di Ken Parker, Uomini, bestie ed eroi2, in cui qualcuno (un avventore, ndr) fa vedere a Pat O’Shane e Ken, in un saloon, i vari personaggi del West: vediamo tutti i personaggi western dei fumetti italiani, quindi c’è anche Zagor, e c’è Tex. E quando arriva Tex con i suoi pards, seduti al tavolo, c’è una battuta bellissima, che non so citare completamente a memoria, che dice “e quelli vanno avanti a parlare fino a domani mattina”.

Per cui Ken Parker di Giancarlo Berardi – che infatti è della generazione successiva e scriveva con un linguaggio più cinematografico, anche se i suoi dialoghi sono intensi e pregnanti – in quel punto prende un po’ in giro bonariamente l’abitudine di Bonelli di fare dialoghi lunghissimi.

Ma nei dialoghi di Bonelli padre non c’è niente di superfluo o fuori posto. Mentre Sergio Bonelli era un po’ retorico e un po’ ripetitivo, non amo molto il suo dialogo. Anche se mi piacevano le sue storie, specialmente quelle di Mister No e Zagor. Quando realizzai “Tex & Company”, una serie di fumetti adattati per la TV, insieme a Giorgio Bonelli, tanti anni fa, per la Fono Roma Milano, dovetti cambiare sempre i dialoghi di Sergio, perché erano impossibili da recitare. E invece quelli di Berardi e Bonelli andavano quasi sempre bene così com’erano. Questa fu un’interessante lezione: bisogna provare a sentire i dialoghi ad alta voce per capire se funzionano.

Riguardo alle tue influenze, hai già citato Salgari di cui è uscita l’anno scorso la tua storia, La Tigre colpisce ancora3.

Ho anche scritto un Dampyr con Sandokan dal titolo I vampiri di Mompracem4! Come sai, quando dovevo prendere qualcuno per scrivere Zagor, chiedevo sempre se aveva letto Salgari. Se non lo aveva letto, lo mandavo via. [ride]

Passiamo però a una delle tue influenze principali, Giovanni Luigi Bonelli. Crea Tex nel 1948, e oggettivamente “sfonda”. Cosa pensi che abbia scatenato questo successo, in termini di fortuna e di longevità? Secondo te qual è stato il fattore decisivo, visto che negli anni Cinquanta di western in Italia oltre a Tex c’era anche Pecos Bill ad esempio, scritto dal disneyano Guido Martina, che ebbe un buon successo; però, per dire, Tex ha oggettivamente sfondato! Ed è l’unico di quegli anni ad essere ancora attivo, cioè si rivela proprio di un’altra caratura.

Siccome io leggevo di tutto, non posso dire che Tex fosse in assoluto il mio preferito. Sicuramente era uno dei primi che avevo letto, ma apprezzavo anche Pecos Bill, Il grande Blek, Capitan Miki… all’epoca non avevo un elevato discernimento critico, quindi leggevo tutto quello che trovavo. E chiaramente ero affascinato da Blek, Miki e da tutti gli altri eroi, che, se riletti adesso, sono ingenui e inverosimili. Storie appassionanti per un bambino, ma se le leggi oggi, con l’occhio dell’adulto, fai un po’ fatica ad avere la cosiddetta “sospensione dell’incredulità”. Invece, in Tex, anche le storie semplici dei primi anni sembravano storie per adulti. Ed erano semplici e veloci perché GLB aveva meno spazio per esprimersi: doveva scrivere sulle strisce e far accadere molte cose in poco spazio, quindi aveva lo stile rapido della narrativa pulp, il che le rende tuttora molto appassionanti.

E, come ho detto, erano già più adulte. Per le motivazioni, i personaggi, il dialogo, anche un certo tipo di violenza realistica, seppure stilizzata. Bonelli si ispirava ai film di Ford e Hawks, Tex sparava per eliminare l’avversario, mentre Pecos Bill trionfava col lasso, senza uccidere nessuno, non era credibile. Credo che sia questo il motivo della longevità di Tex, che non solo lo leggevano i ragazzi, ma lo leggevano gli adulti, tra cui mio padre, per esempio. I ragazzi diventati adulti potevano continuare a leggerlo, mentre avrebbero smesso di leggere Topolino, Miki, Pecos Bill e il Piccolo Sceriffo.

Sempre a proposito di G.L. Bonelli, come è andata la vostra collaborazione, attorno alla prima storia del Maestro? Puoi raccontarci qualcosa?

Beh, io ho lavorato per un paio d’anni come assistente di Gianluigi Bonelli, anche se è stato più che altro un atto di generosità da parte sua. In quel periodo avevo qualche problema, lavoravo come bibliotecario e traduttore, ma non a tempo pieno. Avevo bisogno di soldi, mio padre era morto e lui è stato veramente generoso, mi ha preso come segretario. Non servivo a molto se non ad ascoltarlo quando raccontava le sue avventure di vita, ma gli portavo dei soggetti.

A tempo perso, io e suo figlio Giorgio, il figlio minore, il fratellastro di Sergio Bonelli, ci siamo messi a lavorare su una nostra sceneggiatura, anche se la maggior parte del lavoro l’ho fatta io – questa storia diventerà poi La minaccia invisibile5 – e la portammo alla Casa editrice. A quei tempi mi avevano preso come collaboratore per due riviste in formato francese, Pilot e Orient Express.

Quando feci leggere le prime cento pagine di sceneggiatura a Decio Canzio, il direttore di allora, a lui piacque, ma Sergio Bonelli disse: “No, assolutamente, deve fare prima gavetta, non può mettersi subito a scrivere fumetti“. Qualche anno dopo, Gianluigi Bonelli, non dico a corto di idee, ma sicuramente invecchiato, mi ha chiesto un favore e mi ha acquistato questa sceneggiatura per una somma, diciamo, modica, perché io volevo regalargliela. Mi ha detto: “Dai, la finisco io, la faccio passare come fosse mia“. L’ha finita. Ha scritto 60/80 pagine, completandola un po’ frettolosamente senza recuperare il mio soggetto, che probabilmente aveva perso. E quando Tiziano Sclavi, che all’epoca insieme a Canzio era il redattore in Bonelli, mi ha detto che secondo lui c’era qualcosa che mancava sul finale, sapendo che la storia era mia, io l’ho aggiustato un po’: ho aggiunto qualcosa, ho tagliato qualcos’altro. E quindi ecco, la collaborazione è nata così, non è stata proprio una collaborazione diretta.

In qualche altro caso ci sono stati soggetti che lui ha poi a sua volta molto modificato, ma ha anche scritto basandosi su soggetti miei o di Giorgio: ce ne sono un paio famosi come la storia del disco volante e dell’astronave nei ghiacci, Un mondo perduto6.

Che poi hai ripreso di recente, nella storia: Il mistero del Monte Rainier7.

Sì, l’ho ripresa semplicemente perché siccome era nata da un’idea mia e di Giorgio, volevo dargli un seguito più attinente a quello che avevamo scritto allora.

Ho citato il Maestro: parliamo degli antagonisti. Quanto è importante un buon antagonista in un fumetto di avventura? Secondo te, un antagonista è pensato in anticipo per “bilanciare” in qualche modo il protagonista o invece funziona meglio se nascono con la loro identità autonoma, che poi solo a posteriori va a scontrarsi con quella del protagonista?

Innanzitutto, esiste l’antagonista “tipico”, il Cobra di Phantom o Xabaras di Dylan Dog oppure il Pinguino di Batman, oppure Orlik per il Professor Mortimer: l’antagonista che ritorna è un po’ un luogo comune nel fumetto, si deve fare perché un personaggio seriale deve avere il suo antagonista tipico. Per Tex è Mefisto, Zagor ha Hellingen, ma non è che li incontrano sempre, solo di tanto in tanto. Per fortuna ci sono anche altri personaggi! Poi ci sono fumetti che richiedono antagonisti “coloriti”, perché loro stessi sono personaggi coloriti, tipo Zagor, oppure Batman, o Dick Tracy. E altri invece che sono personaggi più realistici, che vogliono essere tali, per cui hanno dei nemici normali, addirittura banali…

Quindi gli antagonisti in Tex, specialmente nei Tex di Gianluigi Bonelli, a parte qualche raro caso, a parte appunto Mefisto, sono sempre persone normali, dei cattivi comuni, la banalità del male, niente di eccezionale. Lui li sconfigge ed è questo forse che colpisce il lettore di mentalità adulta, che invece di vedere un giustiziere e un cattivo mascherati, con costumi variopinti, vede cattivi veri, che possono essere banchieri, generali, dittatori, signori della guerra, insomma, cattivi che esistono ahimè nella realtà. E ovviamente fuorilegge, banditi, rapinatori: ci sono diverse gradazioni in Tex ed è un dettaglio fondamentale, questo. Il bandito, il supercriminale è sempre l’intrigante, il prepotente, il padrone, il ricco. Mentre il bandito di mezza tacca spesso Tex lo perdona, perché vede in lui le debolezze umane, quindi chi pensa che Tex sia un giustiziere senza senso, uno sbirro, un Clint Eastwood stile ispettore Callaghan, si sbaglia alla grande.

Ci sono solo un paio di mie storie che fanno eccezione a questa regola, come per esempio la storia di Jack Thunder8 che esce di nuovo adesso in volume. Sono dei cattivi coloriti, alla Dick Tracy e alla Batman, che però non sono classici dello stile di Tex.

Tex è un personaggio realistico, perfino quando rasenta l’inverosimile, perché, nelle sue storie horror o fantastiche, Tex non frequenta mai la magia con naturalezza. Lui anzi non ci crede affatto, si serve della sua solita pistola, perché è una persona molto molto pratica, molto concreta e razionale.

E invece passando dagli antagonisti ai personaggi secondari che nelle tue storie sono spesso molto importanti, forse un po’ più che secondari: sono più difficili loro da gestire o quelli principali? O, nel caso di Tex, è difficile la gestione di una cosa intermedia come i pards, che non sono secondari, non sono principali, se vogliamo.

Allora, non posso dire che Tex costituisca per me una difficoltà perché ormai da anni so a memoria come gestirlo, però penso che per chi vi si accosta presenti enormi difficoltà, se vuole scrivere il “vero” Tex, ovviamente. Per scrivere Tex bisogna avere estrapolato la natura e le caratteristiche del personaggio a partire dal “canone”, ossia dalle storie scritte da G.L. Bonelli. Lì si vede quale sia il rapporto di Tex con la legge, che per Tex è cosa ben diversa dalla Giustizia, con l’autorità ecc… Oppure conoscere la relazione che intercorre tra Tex e gli altri cosiddetti “pards”, ossia Kit Carson, Tiger Jack e il figlio Kit, e come si comportano tra loro. Può essere un grande aiuto per l’autore avere un gruppetto di personaggi con caratteristiche diverse da poter gestire, se si è in grado ovviamente di saper dare a ciascuno la sua parte, di farli agire anche separatamente, per poi farli reincontrare: è la tecnica dell’intreccio di fili narrativi, usata da Bonelli in storie classiche come La cella della morte9Tecnica che vale naturalmente anche non solo per il quartetto di protagonisti, ma anche per gli altri personaggi delle storie: storie che quasi mai, in G.L. Bonelli, si concentrano solo sull’eroe, ma seguono anche i personaggi collaterali. 

Nizzi, con la sua gestione, aveva scelto di semplificare al massimo.  Io, non potendo fare la stessa cosa, sarebbe sembrata una minestra riscaldata, ho invece aggiunto più ingredienti. Seguendo questo modo di sceneggiare, ho ideato a volte delle storie più complesse della media del Tex classico, con intrecci ricchi di colpi di scena e personaggi che potessero far breccia nei lettori, come per esempio il vendicatore che vendica il padre ucciso, nel Texone Gli assassini10, disegnato da Alfonso Font, oppure Gli invincibili11, la banda degli irlandesi ribelli ed esuli dalla loro patria, oppure i forzati dal cuore d’oro, de La grande invasione12. Questi personaggi, che, a differenza dei quattro pards, possono anche morire, mi sembrava potessero dare più pathos e imprevedibilità alle vicende.

Chiarissimo, sto pensando al sergente Torrance e alla storia Cercatori di piste13.

Sì, che tra l’altro muore alla fine e all’epoca fu uno shock. Anche Shane degli invincibili muore, in un tragico colpo di scena finale.

Certo, ricordo benissimo la scena con la vecchia che gli si avvicina e lui sogna di vedere la fata irlandese che accompagna gli eroi.

Quello è il momento del “tirate fuori i fazzoletti”!


  1. Ripubblicata molti anni dopo nella serie Gigante di Tex, 47/48. ↩︎
  2. Ken Parker 15. ↩︎
  3. Tex 756/759. ↩︎
  4. Speciale Dampyr 16. ↩︎
  5. Tex 309/310. ↩︎
  6. Tex 282/283. ↩︎
  7. Tex 762/764. ↩︎
  8. Tex 463/465. ↩︎
  9. Tex 141/145. ↩︎
  10. Speciale Tex 12. ↩︎
  11. Tex 438/440. ↩︎
  12. Tex 497/499. ↩︎
  13. Tex 416/418. ↩︎

Autore dell'articolo: Guglielmo Nocera

Oggi espatriato nel paese di Astérix, mi sono formato su I Grandi Classici Disney, che acquisto tuttora saltuariamente, e Topolino Story prima serie. Venero la scuola Disney classica, dagli ineguagliabili vertici come Carl Barks e Guido Martina ai suoi meandri più riposti come Attilio Mazzanti e Roberto Catalano (l'inventore della macchina talassaurigena). Dallo sconfinato affetto per le storie di Casty sin dagli esordi (quando lo confondevo con Giorgio Pezzin) deriva il mio antico nome d'arte, Dominatore delle Nuvole. Scarso fan della rete, resto però affezionato al mondo del Papersera, nella convinzione che la distinzione tra esegesi e nerdismo sia salutare e perseguibile. Attendo sempre con imperterrita fiducia la nomina di Andrea Fanton a senatore a vita.