Disney Special Events 24 – Hemingway raccontato da Topolino

27 GIU 2021
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Adattare Hemingway a fumetti su Topolino. L’idea che otto giovani autori guidati da un grande maestro siano riusciti a mettere in opera un progetto così platealmente antidisneyano ha dell’incredibile. Eppure, in occasione del sessantesimo anniversario della scomparsa di uno degli scrittori simbolo della letteratura americana del Novecento, siamo di nuovo qui a contemplare la piccola rivoluzione guidata da Giorgio Cavazzano ventuno anni fa.

L’occasione è data dal nono Topolibro che, rispetto ai suoi predecessori, si caratterizza per una certa unicità che lo rende il miglior numero della collana. In primo luogo, a differenza degli altri volumetti, quest’albo non è una semplice antologia su un tema ampio (lo spazio, i libri, la scienza…), ma è dedicato all’opera di un singolo protagonista della letteratura contemporanea. Secondariamente, con l’occasione della ricorrenza viene ripubblicata per la prima volta per intero la miniserie ideata da Cavazzano, con l’aggiunta di due ulteriori storie italiane legate a Hemingway.

Non abbiamo, insomma, un albo inconcluso. Rispetto a quelli dedicati al cinema, all’arte e alla musica lirica, finita la lettura si avverte un soddisfacente senso di completezza. Il fascino delle diverse ambientazioni, la sperimentazione che come marchio di fabbrica unisce le prime otto avventure, la presenza di un classico di Scala e di una storia “testamento” in chiusura sono gli ingredienti per un volume pensato bene e realizzato meglio: a conti fatti, è un piccolo e imperdibile omnibus hemingwayano.

Hemingway e i personaggi Disney si conoscono da un bel po’, anche al di fuori della produzione italiana raccolta nel Topolibro

Venendo al contenuto principale del Topolibro, nel 2021 possiamo valutare con il dovuto distacco e la giusta oggettività il valore della serie omaggio 8×8… quarantanove. «Non doveva essere una parodia, ma una reinterpretazione originale», così il maestro veneziano nella prefazione. E fu indubbiamente un’operazione coraggiosa che risentiva ancora, nel 2000, dei benefici influssi della florida stagione dell’Accademia Disney, la fucina di molti talenti che in quegli anni stavano rinnovando sensibilmente il fumetto Disney italiano.

Un bel colpo, dato che i giovani autori trovarono lo spunto necessario dai Quarantanove racconti. Difficile, difficilissimo individuare qualcosa di pseudodisneyano nell’opera narrativa di Hemingway, almeno di primo acchito. La celebre raccolta da cui Cavazzano chiese di attingere si dimostrò tuttavia una miniera d’oro per trarre la giusta ispirazione, anche dalle trame in assoluto più lontane dall’idea stessa di disneyanitas. Si pensi in particolare al primo racconto, forse tra i più famosi della produzione dello scrittore americano: ne La breve vita felice di Francis Macomber, il cui titolo è di per sé un manifesto, si parla di safari e tradimento, di tre persone che agiscono nell’esotismo soffocante della pervasiva calura africana; in più, il tema della morte è onnipresente e ci si sofferma sulla vitale necessità di superare i propri limiti… per poi finire molto male.

Mai sottovalutare la natura

Non a caso, nell’articoletto di presentazione di Sahara, la storia che si rifà a quella vicenda, agli allora giovani lettori di Topolino si suggeriva di convincere «papà o mamma a leggervela»; ancora oggi, l’introduzione sul Topolibro a questa breve avventura si limita a poche informazioni, è molto sfumata e poco allusiva. Fortunatamente, la forza del soggetto di Nicola Tosolini si regge essenzialmente su un’intuizione quanto mai azzeccata in cui i personaggi coinvolti – Topolino, Minni, Gambadilegno – sono tutti perfettamente in parte, sebbene la similitudine con la triste storia di Macomber sia solo un pretesto per raccontare altro. Dalla savana ci si sposta nel deserto, in una spedizione sulle tracce di una piramide. La lettura è portata avanti dall’atmosfera che l’autore è riuscito a dare alle sole dieci tavole a disposizione, giocando con la volubilità dell’ambiente sahariano e con un interrogativo onirico. Un esperimento riuscito.

Tanta carne al fuoco, ognuna di queste storie offre al lettore numerosi spunti di riflessione e lo invita ad approfondire recuperando i racconti originali. Ciò che si nota subito, comunque, è che la libertà con la quale gli autori si sono approcciati alla materia ha dato vita a un caleidoscopio di situazioni a volte del tutto diverse rispetto alla materia di partenza.

Si pensi a Il papero che volle farsi re di Marco Forcelloni e a Cow Boy Blues di Stefano Turconi. In entrambi i casi si tratta di storie tratte da racconti che hanno la corrida come fulcro, uno dei temi più iconici di Hemingway: La capitale del mondo e L’invitto. Naturalmente lo scontro tra uomo e toro, in Disney, non può non far venire in mente Il toro Ferdinando, ma Turconi e Forcelloni preferirono evidentemente abbandonare soluzioni troppo semplici facendosi rapire dalla propria ispirazione.

Tra le due è probabilmente Cow Boy Blues a spiccare per il suo mix di malinconia e comicità e per la perfetta ricostruzione del mondo dei rodei: Pippo è ottimo nel ruolo dello stralunato suonatore blues costretto dalla logica di mercato a darsi al country; Pietro è a sua volta perfetto nella parte dell’irascibile talent scout, a suo agio in abiti texani.

Dalla corrida al rodeo, lo scontro tra il pippide e il toro

Il papero che volle farsi re è invece una rivisitazione della storia di Paco, il ragazzino proveniente dall’Estremadura bunueliana che sogna il successo nella Plaza de Toros di Madrid. Al suo posto, un Paperino che veste i panni di Artù nell’Inghilterra medievale: un’associazione di idee che, per assurdo, ricorda quasi la stranezza delle balene volanti accostate alla musica monumentale di Respighi. Parliamo in entrambi i casi di intuizioni completamente lontane dai propositi originali e comunque interessanti nei loro sviluppi.

Le restanti storie sono quelle in cui in effetti c’è una maggiore aderenza rispetto ai racconti di Hemingway. Naturalmente è il tono ad adattarsi alla poetica dei personaggi Disney e non il contrario, a partire dalla vicenda in assoluto più classica del lotto: Zio Paperone e l’equivoco scottante di Andrea Freccero riporta a Un giorno di attesa, basandosi su una frenetica invasione di Brigitta nella relativa quiete del deposito, con il padrone di casa allettato con l’influenza. L’energia della spasimante di Paperone si riflette nella velocità con cui si passa da una vignetta all’altra, in perfetta antitesi rispetto al clima malato e infantilmente angosciato del racconto del piccolo Schatz e del suo premuroso padre: funziona, rimanendo nel solco della tradizione dei fumetti Disney.

Sogni di gloria

Nelle acque di Manuela Razzi e Un giorno perfetto di Marco Palazzi: in entrambi i casi, i due autori romani si rifanno a temi prevalentemente riflessivi, riprendendo la vena esistenzialista di Hemingway e la sua anima contemplativa. Sono storie in cui l’acqua è padrona, che si tratti di recuperi sottomarini in Dopo la tempesta o del Grande fiume dai due cuori. Anche qui, ispirazioni simili con risultati diversi: il Paperino di Razzi è intraprendente e particolarmente attivo nell’esplorazione di un relitto, affascinato dall’idea della ricchezza; sarà la realtà a presentare il conto e ad offuscare la convincente atmosfera marinaresca con un malcelato rimpianto.

Al contrario, in Un giorno perfetto, Topolino/Nick Adams agisce in una storia intrisa di spiccato intimismo, per di più muta: è la natura a parlare per il protagonista, che è in cerca di quella serenità data dal silenzio e dalla pesca. Una mera illusione, sembra ammonire Palazzi in un finale inaspettatamente amarissimo.

Le vette più alte raggiunte dalla miniserie sono però i due contributi di Alessandro Perina e Giuseppe Zironi. Mickey e i due cuochi, realizzata da quest’ultimo, è un gioiello. Torna anche qui il Topolino/Nick Adams, protagonista di un flashback ambientato negli anni della Grande Depressione. Tra tutte, questa è forse la storia più matura, tratta da Il lottatore. C’è davvero di tutto in queste quindici pagine, una piccola epopea nel pieno della crisi: un trauma, la fuga, il conflitto, la condizione di miseria cruda dei senzatetto, il sospetto nei confronti dei due sconosciuti comprimari, per i quali la figura del Presidente degli Stati Uniti rappresenta una sorta di sacro e inviolabile totem. Alle difficoltà del passato si contrappone la cornice borghese ambientata in un tempo successivo, con Topolino che ha superato la sua condizione di homeless. Il tutto è infine arricchito da una cura maniacale da parte di Zironi nella riproduzione di pose e atteggiamenti di evidente ispirazione gottfredsoniana.

Senzatetto in fuga

Infine, Bad Boys. Perina riprende l’atmosfera hard boiled de I due sicari, un inquietante racconto ambientato nei sobborghi della Chicago di un secolo fa, utilizzando Gambadilegno e il suo antico complice Lupo. Le atmosfere, che richiamano l’epoca del gangsterismo, sono esattamente sovrapponibili a quelle evocate da Hemingway. È lo stesso Perina a dichiarare, nell’introduzione, che tutto nel racconto originale ha «il ritmo naturale del fumetto», portando così il contenuto di Bad Boys a un livello ragguardevole di mimesi (disneyana) con I due sicari, similmente al lavoro svolto in parallelo da Zironi. Tutto in questa breve storia rasenta la perfezione stilistica, considerando sempre la capacità di gestire un ritmo carico di tensione in poco spazio e senza perdere di vista l’essenza più profonda dei personaggi Disney, cattivi compresi.

Il destino è ineluttabile?

Certo, qualcuno troverà motivo di dispiacere nella mancanza del famigerato sigaro di Gambadilegno e dell’immagine del mitra nella seconda tavola, sostituita da un balloon di Orazio. È un po’, forse, l’unica rimostranza che si può pensare di fare nei confronti di questo Topolibro, evidentemente una conseguenza della ristampa su Topolino 3421 della medesima storia e del suo aggiornamento agli standard odierni tarati dalla Disney. Ma la domanda che dobbiamo porci è, tutto sommato, più semplice di quanto si possa ritenere: parliamo davvero di una “censura” che danneggia irrimediabilmente la qualità e le atmosfere, o il significato stesso, di questa storia particolarmente ispirata?

La risposta è ancor più immediata: no. Con o senza fumo e armi, Bad Boys funziona ugualmente; il senso di tensione che monta sin dalla prima tavola non si arresta fino alla fine. Certo, è legittimo e comprensibile storcere il naso davanti ai cambiamenti grafici, piccoli o grandi, che sconfessano ancora una volta il disclaimer iniziale sulla riproposizione delle storie come apparse all’epoca della loro prima pubblicazione, ma il lettore accorto dovrebbe avere tutti gli strumenti per discernere tra i diversi contesti e capire i motivi – anche i più assurdi – che stanno dietro qualsiasi modifica.

Necessario l’intermezzo tra le storie più recenti e la chiosa finale: Zio Paperone e… il vecchio e il mare di Guido Scala è la prima manifestazione d’interesse da parte dei Disney italiani per l’opera di Hemingway. Risalente al 1987, presenta tutti gli elementi tipici della rilettura, e non della parodia, disneyana: i Paperi sono convocati dai loro amici di Tuba, Acciuga e il capitano Seagull, per porre fine alla minaccia di un pericoloso squalo nei mari della placida isola caraibica.

«But man is not made for defeat. A man can be destroyed but not defeated»

Naturalmente il richiamo è all’omonimo romanzo del 1952, forse l’opera più nota dello scrittore americano, ma al posto dell’iconico marlin abbiamo qui un minaccioso pescecane. Colpisce semmai, in un’avventura così classica e rassicurante, il flashback in cui Paperone si scontra effettivamente con l’elemento marino negli anni in cui girava il mondo per accumulare ricchezze; è qui che passa l’unica vera similitudine con Il vecchio e il mare. Per il resto, è una piacevole storia di Scala con i suoi personaggi, piena di intuizioni azzeccate e particolarmente felice nelle sperimentazioni dell’autore ligure nella costruzione delle tavole.

Per chi suona il campanello è, infine, la perla scientemente posta in chiusura. Si tratta di una storia atipica, specie se ci si aspetta un qualche adattamento del grande romanzo che ne ha ispirato il titolo. Nel 1999 Alessandro Sisti e Graziano Barbaro confezionano per il centenario della nascita di Hemingway una vicenda che esplora in maniera quanto mai introspettiva la passione che più alberga nel cuore di Topolino: quella per l’Avventura. Lanciarsi, ovunque nel globo terracqueo, nelle situazioni più rischiose o nei grandi viaggi è qualcosa che fa parte dell’anima di questo personaggio sin dagli albori.

D’accordo, Mickey Mouse nacque come un campagnolo scavezzacollo che mandava avanti le giornate in un’anonima fattoria del Midwest, ma già nella sua prima storia a fumetti si trovò a dover sopravvivere su un’isola misteriosa. Parecchi anni dopo, dunque, a un Topolino che appare stanco e al quale gli amici di sempre consigliano di sistemarsi trovando un’occupazione stabile, si manifesta la presenza fantasmatica di un’entità, una sorta di nume tutelare. È il vecchio Ernest a convincere man mano il protagonista a tornare sui suoi passi dando meno ascolto alle sirene della tranquilla vita della middle class. Le verdi colline d’Africa, la caccia al marlin, i boschi del Nord-Est con tanto di ricordi risalenti agli anni Quaranta: la memoria e la prospettiva di nuove imprese sono le molle dell’Avventura più autentica. Hemingway, nella sua turbolenta esistenza, ne è stato cultore, custode e testimone. Non poteva esserci, tutto sommato, un incontro così naturale come quello con il fumetto Disney più ispirato.

Autore dell'articolo: Davide Del Gusto

Sono cresciuto a pane, letteratura, storia e fumetti. Paperseriano dal remoto 2004, colleziono, leggo, recensisco e mi diverto con l'editing di questo sito. I miei indiscussi numi tutelari tra i fumettari sono Carl Barks, René Goscinny e Albert Uderzo, Floyd Gottfredson, Hergé, Vittorio Giardino, in rigoroso ordine sparso.