Topolino 3455

13 FEB 2022
Voti del fascicolo: Recensore: Medio: (41 voti) Esegui il login per votare!

Topolino 3455

Un ritorno e un… nuovo esordio.

È tornata Silvia Ziche, anzitutto: ce n’eravamo accorti già poche settimane fa, e questa storia, Paperina e il più bel regalo di San Valentino, rincara la dose.

È una Ziche matura, addolcita nei toni di fondo (si confronti il messaggio al miele di questa storia con casi passati), ma sempre capace di infierire improvvisamente su questo o quel tratto del personaggio che ha per le mani, portarlo alla più efficace ed esilarante delle esasperazioni. Il crescendo di nervosismo di cui è vittima Paperina è deliziosamente da manuale, e vale da solo tutta la storia.

Una storia, appunto, che funziona pur non avendo niente da dire, questa: certo la Silvia Ziche a cui siamo abituati qualcosa da dire ce l’ha. Ma è pur sempre una storia a tema; e forse – in fondo – la prima grande stagione umoristica dell’autrice vicentina è giunta alla sua naturale evoluzione.

Del resto, la concentrazione su sentimenti sinceri e naturali è una delle bandiere della nuova gestione, e alcune ispirazioni più genuinamente caotiche avrebbero pagato, forse, la loro gioiosa disorganizzazione emotiva.

Quanto al “nuovo” esordio, stiamo parlando di Francesco Vacca con la prima puntata di Topolino e l’anomalia concentrica: alla sua prima prova di una certa lunghezza, l’autore dimostra anzitutto il proprio grande debito verso Casty, a partire dal titolo. Ed è forse il primo vero autore di Topolino a muoversi dichiaratamente e quasi ostentatamente sulle orme del grande goriziano, escluse le recenti prove di Marco Nucci con Macchia Nera (però lì l’aura castyana è… presa in prestito per l’occasione).

La prima parte di Topolino e l’anomalia concentrica apparecchia la tavola con i personaggi scelti per l’occasione, che sono peraltro molti e usualmente disgiunti. Basta elencarli (attenzione, SPOILER): Uma, Zapotec, Marlin, la Spia Poeta. Schierare un cast del genere appare un po’ come l’eccesso tipico della fan fiction, ma non è il caso di essere troppo duri con così pochi elementi. Anzi. Di certo la storia funziona, non si incarta in intoppi di trama o di retorica (dato più sensibile di quel che si creda, in un lavoro del genere), e svela le sue carte senza inutile riserbo.

Non di solo Casty

Totalmente incapace di osservare il minimo rigore metrico (non di sola rima vive l’aedo!), la Spia Poeta si muove comunque agilmente nella trama, fornendone in realtà il vero collante. Per fortuna, è ben servita dalla caratterizzazione, un poco atipica ma di effetto, di Marco Mazzarello, autore invece di una trascuratissima Uma. Topolino e Pippo, attori incuriositi ma non decisivi nella vicenda, hanno trattamento analogo nei disegni: la “cura Freccero” li rende fluidi e li incastra con inusuale eleganza nella tavola, ma non supera del tutto un certo anonimato d’impianto.

Snodo significativo del numero Zio Paperone e l’aiuto quantistico, di Marco Bosco e Giampaolo Soldati. Lavoro asciutto nell’ispirazione e un poco più brioso nei disegni, è però il frutto di una scrupolosa documentazione da parte dell’autore. Un buon equilibrio tra verità tecnica e fruibilità narrativa, la storia si inserisce nel ciclo Comics&Science, e nasce dall’impulso di due giovani redattori di Nature, Giulia Pacchioni e Andrea Taroni. Virtuosa iniziativa che ci si augura possa strutturarsi magari su trame più ambiziose e rivelare ispirazioni innovative per il panorama narrativo topolinesco.

È Enrico Faccini ad alzare ancora l’asticella umoristica, con Chi bello vuole apparire…, storia completamente vacua e che però, complice l’apparentemente inesauribile meccanismo dell’iperbole grafica e caratteriale in cui Faccini è maestro, funziona, convince e segna un’altra pagina di funambolismo fumettistico.

“Si… può… fare!”

Segue Paperino e gli astri nefasti, di Paul Halas e Marco Rota. Una storia che definire classica è un eufemismo: Paperino alle prese con sfortune infinite dopo aver letto l’oroscopo. La sequela di disavventure è troppo breve e troppo poco iperbolica per dirsi davvero azzeccata, dopo quasi un secolo di gag simili, il carattere di Paperino non emerge come elemento portante (a differenza che in eccellenti storie di Rota autore completo), e appaiono meno ispirati del solito anche i disegni.

La storia di Topolino le origini, L’avventura più grande, è l’ultima del ciclo. Un esperimento forse non felicissimo, non tanto per la natura dell’operazione, ma proprio per la poca ispirazione che è trasparsa nella gestione delle vicende: un eterno ritorno di personaggi che – spesso – fanno davvero poco più che i testimoni di se stessi. Quest’ultima puntata si dedica esplicitamente alla celebrazione dell’avventura più grande, la dichiarazione d’amore fra Topolino e Minni. Di nuovo una vicenda a tema sanvalentinesco, dunque.

Che trio

Non guardare noi, Minni

Ma, a differenza della storia di apertura, non fa poi molto ridere (esclusa una proverbiale stramberia pippesca), né comunica a dovere forse quella spontaneità che avrebbe voluto, complice uno svolgimento volutamente affannato e interrotto (addirittura nel momento culminante) da un imprevisto debito narrativo al sistema dei personaggi (la telefonata… medianico-maieutica di Paperino).

È più dura di quello che si penserebbe, a conti fatti, parlare di sentimenti in casa Disney. Qualcosa si inceppa con frequenza quasi inesplicabile. E non si tratta di fantomatici diktat o paletti della casa madre, che pure ci sono ma riguardano ben altro. È la retorica – questa bestia famelica invitata puntualmente ad ogni banchetto non si sa da chi e non si sa da dove – che asserve spesso a sé i momenti più genuini ed intimi, dedicando tavole e tavole alla costruzione di un clima tanto più inefficace quanto vorrebbe essere intenso, quasi come se ci fosse un bizzarro pudore di fondo a prevenire la schietta brevitas con cui il tema potrebbe essere trattato.

Una storia, almeno al giorno d’oggi, non ce la fa a reggersi sul sentimento così come non poteva, vent’anni fa, reggersi sul cliché del sale sulla bombetta. Paragone impietoso e forse scorretto, ma reso sincero e accorato – mi si creda – dal fatto che a cibarsi del sentimento come di un materiale narrativo autosufficiente ed inesauribile gli si fa torto e lo si snatura. Ed è quindi forse più saggia Silvia Ziche nella storia di apertura a risolvere la questione in poche, ironiche, tavole finali (sebbene pure meno ne sarebbero bastate).

Ma una nota luminosissima arriva dall’anteprima del numero della prossima settimana: Corrado Mastantuono, il più imprevedibile e raffinato degli sceneggiatori oggi in forza a Topolino, sta per tornare con un nuovo lavoro del ciclo del Papersera… un “conflitto d’interessi” da parte nostra che non potrebbe ricevere processo migliore. Buona lettura, e alla prossima settimana!



Autenticati per poter votare le storie del Topolino!

Autore dell'articolo: Guglielmo Nocera

Oggi espatriato nel paese di Astérix, mi sono formato su I Grandi Classici Disney, che acquisto tuttora, e Topolino Story prima serie. Venero la scuola Disney classica, dagli ineguagliabili vertici come Carl Barks e Guido Martina ai suoi meandri più riposti come Attilio Mazzanti e Roberto Catalano (l'inventore della macchina talassaurigena). Dallo sconfinato affetto per le storie di Casty sin dagli esordi (quando lo confondevo con Giorgio Pezzin) deriva il mio antico nome d'arte, Dominatore delle Nuvole. Scarso fan della rete, resto però affezionato al mondo del Papersera, nella convinzione che la distinzione tra esegesi e nerdismo sia salutare e perseguibile. Attendo sempre con imperterrita fiducia la nomina di Andrea Fanton a senatore a vita.