A proposito di Davis, neanche un oscar alle sole due piccole categorie tecniche in cui era candidato è riuscito a strappare, Gravity ha fatto il pieno anche qui.
Eppure questo film qualcosa si merita. Certo più al botteghino, visto che non mi pare stia andando particolarmente bene, essendo uscito già da un po’ per giunta.
Che fosse un film deprimente, lo avevo capito già prima di entrare in sala, e diciamo che le note di “Hang me” che aprono il film, con la loro “allegria” fugano ogni possibile dubbio..
Film particolare, forse c’è del vero nelle critiche che ho letto qua e là, che gli rimproverano un “non succede praticamente niente!..”..perché in effetti tutto ciò che possiamo fare, è seguire un piccolo pezzetto di vita dell’aspirante artista fallito più sfigato del mondo. (Giuro, quanto ho pensato a Paperino durante la visione...un’incidenza di sfighe così alta e concentrata non ha eguali! 8-))
La sua personale odissea, con tanto di Ulisse al seguito, è senza speranza. Questo cantante folk, che nel Greenwich Village del freddo inverno ‘61 vaga, povero in canna e senza cappotto, in cerca di un successo improbabile, vive passando da un divano all’altro, ospite di amici, conoscenti..e quasi sconosciuti pure..
Difficile forse empatizzare per Llewyn, fa troppi errori, è troppo scostante, sembra che non gli importi di nulla e nessuno, e forse davvero, come gli urla dietro un’altra protagonista, distrugge tutto quello che tocca.
Eppure a me questo anti-eroe fallito e sfigatissimo fa tanta tenerezza. Sarò io che ho un debole malsano verso i perdenti. Eppure no, lui se la merita, è un puro, un romantico, nonostante tutto. E’ bravo, e crede nella sua musica. Al diavolo i compromessi, i soldi..non è un tipo che si vende.
Certo non è uno stinco di santo. E non fa nemmeno nulla per aiutarsi però, sembra anche che se le cerchi, e ci mette decisamente del suo per complicarsi la vita, come se non avesse già abbastanza problemi.
Ed è un continuo rimpiangere il suo ex compare suicida. Pochi cenni in realtà, ma forse è questo lutto, questo infinito dolore che si avverte sottotraccia, la vera nuvola nera che incombe inesorabile per tutto il tempo. Una perdita forse insuperabile, irreparabile.
E ci ritroviamo verso la fine ancora con “Hang me”, e qui il cerchio si chiude. Si chiude perché tutto ricominci ancora identico a prima. Una paralisi da cui pare impossibile uscire, svicolarsi, muoversi, cambiare, fare qualsiasi cosa. Bloccati in un limbo, crogiolati nell’immobilità e nel ripetersi di sfortune sempre uguali, nella stasi di una vita in fondo vuota, che scorre via, senza possibilità o capacità di prenderne in mano le redini..
Questo commento è forse più deprimente del film, che comunque merita per parecchie cose, per me. Oltre all’avermi lasciato una grande insoddisfazione, e quindi più domande che risposte. Anzi zero risposte. E senso poco. E ironia tanta. Parecchio tempo addirittura per chiarire a me stessa se mi fosse piaciuto o meno, quindi di sicuro tanta riflessione. Una insoddisfazione finale che è sensazione dolce e amara allo stesso tempo, ma in fondo bellissima e che non mi capitava da parecchio, al cinema.
Dicevo, oltre a questo, una bellissima ambientazione, fotografia malinconica e struggente, colonna sonora perfetta, come pure l’attore protagonista, che non conoscevo, che come cantante è sorprendente.
Ah, si. E poi c’è l’adorabile e indimenticabile gattone fulvo, un amore. Lo voglio.