Non posso che dar ragione a coloro che hanno definito Topolino in: Che fine ha fatto Peter Quarky? un omaggio poco riuscito ad una personalità importante come Piero Angela.
La storia in sé non sarebbe nemmeno malvagia, soprattutto perché Vitaliano riesce a contenere quella sfumatura di comicità eccessivamente fine a se stessa che ha caratterizzato, per esempio, la sua precedente prova, tuttavia si perde in una serie di soluzioni piuttosto risibili, prima fra tutte la presenza dei marziani che cozzano con le premesse fissate in partenza, ovverosia l'importanza del pensiero scientifico, quello stesso pensiero messo in secondo piano da una macchina in grado di stabilire se una data congettura sia vera o falsa.
Fa sorridere come ormai Topolino non riesca a parlare di cultura se non attraverso poche vignette didascaliche che dicono poco e niente sull'argomento, un po' come ha fatto Gagnor con le sue recenti storie sull'arte: sembra proprio che narrazione ed informazione non siano in grado di coesistere senza che la prima venga messa da parte per la seconda, e viceversa, confezionando, quindi, dei prodotti di qualità piuttosto altalenante. Da parte mia, queste sono occasioni sprecate per informare con leggerezza un vasto pubblico su questioni che dovrebbero far riflettere: La scienza non propone dogmi, ma ipotesi che possono essere smentite da nuove scoperte. è una constatazione sacrosanta che non trova alcuna collocazione negli sviluppi successivi della storia, che sceglie piuttosto di immaginare un piumato Piero Angela attorniato da extraterrestri, o di parlare di misteriosi test di intelligenza vincolati da contratti intergalattici. Magari sacrificando questa componente alquanto demenziale e concentrandosi piuttosto sul pensiero di Piero Angela, si sarebbe potuto ottenere un omaggio più convincente, e, soprattutto, più interessante per il lettore che mai come oggi ha necessità di relazionarsi col pensiero scientifico: non è facendo diventare i topolinesi un'improvvisa manica di pecoroni ignoranti a spingere il lettore all'informazione, e, soprattutto, alla comprensione ragionata di determinati argomenti.
Forse bisognerebbe prendere in considerazione l'idea di affiancare a storie di questo genere degli esperti, un po' come è accaduto con Artibani e Saracco, in modo da cercare un equilibrio tra una narrazione gradevole e leggera nello stile di Topolino e un'informazione tanto essenziale quanto completa e non banale, altrimenti ci si limiterebbe a richiamare giusto quelle due o tre cose che bene o male tutti potrebbero conoscere sull'argomento senza offrire un motivo di approfondimento: a riguardo, so di essermi ripetuto più di una volta, tuttavia è una questione che mi è molto vicina per svariate ragioni, sicché mi dispiace che quando ci sia la possibilità di aprire degli squarci su determinate questioni si scelga di farle passare in secondo piano a favore, piuttosto, di una comicità che si ripiega su se stessa.
Piacevole, invece, Zio Paperone e i misfatti nell'oscurità, che al di là del titolo da thriller non ne ha l'atmosfera, un elemento che secondo me l'avrebbe resa più interessante. Questa volta devo dire che mi è piaciuto il modo in cui Panaro si è mosso, regalando, soprattutto, un duo Paperone-Paperino bello frizzante e senza troppi fronzoli sentimentalistici, anche se il giallo in sé è piuttosto debole e poco convincente per certi versi - ad esempio, al di là dell'insistenza con cui si è cercato di far apparire Bud come il colpevole dei furti, mi è difficile credere che il cuoco in mensa potesse aver appreso del cacciavite di quest'ultimo. Tuttavia ripagano delle spiegazioni conclusive meno forzate del solito e dei bei disegni espressivi della Castellani. Di degna menzione, infine, la quarta vignetta di pagina 79, che conferisce un minimo di profondità ad un villain lontano dai soliti schemi panariani.
Per quanto riguarda le brevi, in ultimo luogo, ho trovato molto simpatica quella di Paperoga, talché mi sarebbe piaciuto se tutte le altre del ciclo avessero avuto un po' di gag come è accaduto in questa.
Paperino e l'app da un milione di dollari, invece, ha uno spunto da storia ben più lunga delle otto pagine che le sono dedicate, soprattutto è confusa dal punto di vista narrativo: credo che Deninotti debba puntare piuttosto sulle storie lunghe, poiché nelle brevi gli riesce difficile costruire una situazione che riesca a risolversi senza avere l'impressione che qualcosa non funzioni. Se non altro, i disegni di Verzì sono carini, ma non possono nascondere quella carenza di sostanza che mi è parso di percepire.
Non posso, purtroppo, esprimermi sulle altre due storie: quella di Artibani la leggerò a ciclo completato, mentre PK non riscuote proprio il mio interesse salvo qualche rara eccezione.