Questa è per me la seconda miglior storia pre-walshana, seconda solo alla lampada di Aladino.
Già l'inizio è uno dei più affascinanti che ricordi.
Mi ha fatto pensare che, nonostante le varie avventure del passato, mai Topolino si era ritrovato ad affrontare belve feroci (se non per brevissimi siparietti) come invece succede qui. Comunque, anche questa volta la minaccia principale è costituita dai selvaggi.
La sequenza più emozionante comincia con il terremoto, per poi spostarsi sulla distruzione del campo base e per finire con l'inseguimento, in cui Topolino dà veramente fondo a tutte le sue forze. Mai, nei duelli e scene d'azione passate, si era visto in uno stato del genere: senza fiato, pieno di lividi e coi vestiti laceri. Ad un certo punto, privo di ogni energia, non può far altro che accasciarsi a terra. In seguito, tagliando la fune che il cavernicolo usa per scendere, la fa precipitare e probabilmente uccidere. Completamente rimasto senza forze, si abbandona addormentandosi su dure pietre, in una vignetta molto bella.
Dopo queste scene piuttosto forti, la sceneggiatura alleggerisce l'atmosfera con una gag: troppo bello quando ruba i vestiti ad un primitivo che passava di lì.
Fra l'altro Pippo e il professore non compaiono per un bel po', tanto che il lettore non può non chiedersi che ne sia stato di loro.
Il finale è strano: sicuramente inusuale rispetto a quelli a cui Gottfredson ci aveva abituato.
Il finale non è aperto (suggerisce che nessuno troverà più l'isola) tuttavia sembra quasi che la storia manchi di una conclusione.
Comunque io l'ho apprezzato.
Si tratta della prima vicenda inchiostrata dal solo Wright e secondo ha svolto il proprio lavoro ottimamente.
La storia ha un che di onirico e surreale a cominciare dall'apparizione del professor Ossivecchi ma questa iniziale mancanza di realismo viene tranquillamente accantonata da un soggetto bellissimo e a mio parere indimenticabile.
Per quanto mi riguarda l'inizio onirico e non del tutto spiegato contribuisce a dare fascino all'avventura.