Recensione Topolino 3575 Topolino 3575 si caratterizza come uno dei numeri meno riusciti dell’ultimo periodo. La copertina, disegnata da
Ivan Bigarella e colorata da
Andrea Cagol, è comunque ottima, dedicata a quella che ritengo essere la storia migliore dell’albo.
Zio Paperone e l’oro trasmigrante ci offre una classica caccia al tesoro con i paperi protagonisti.
Bruno Enna dimostra come
si possano ancora scrivere storie da inserire in questo filone, ultimamente un po’ trascurato, senza risultare banali e ripetitivi. Il tutto in sole ventidue tavole, illustrate da un buon
Giampaolo Soldati.
Quando si parla di caccia al tesoro nell’ambito della produzione fumettistica disneyana, soprattutto in Italia, il pensiero non può che andare a Rodolfo Cimino. Le sue sceneggiature presentavano degli stilemi caratteristici: i romiti, i mezzi speciali, le strane popolazioni in cui si imbattevano i personaggi. Per molto tempo, prima e dopo la sua scomparsa, si è fatto l’errore di sovrapporre il suo modo di intendere e proporre questo genere di storie con il genere stesso.
C’era davvero bisogno di spiegarlo?[/size][/i]
Intendiamoci: sono un grande estimatore di Cimino, lo ritengo uno dei più grandi Maestri della scuola italiana, e adoro le sue cacce al tesoro,
tuttavia credo che Enna abbia fatto bene a distaccarsi dalle caratteristiche tipiche sopra citate. Questa nuova avventura non è una storia dal sapore ciminiano: ha qualche elemento in parte debitore di quella poetica, specialmente l’azzeccatissimo finale portatore di un importante messaggio fortunatamente non espresso con pedanteria, ma in generale se ne allontana abbastanza, svelando l’esistenza di potenzialità che il genere potrà ancora esprimere in futuro.
Il resto del numero, purtroppo, non offre spunti altrettanto interessanti.
La storia d’apertura, la terza della serie
Cavezza di
Giuseppe Zironi, non brilla rispetto alle già non riuscitissime due precedenti. Innanzitutto, permangono delle perplessità di fondo, già riscontrate nei precedenti episodi. Perché ambientare ai giorni nostri, tra
smartphone e dirette
streaming, storie che dovrebbero raccontare la giovinezza di un personaggio come Orazio, saldamente inserito nel contesto di Topolinia da molti decenni?
Tuttavia, il problema principale della vicenda risiede in alcuni passaggi di trama che proprio non funzionano.
Diventa praticamente impossibile per me, infatti, mantenere la sospensione dell’incredulità nel momento in cui ben tre personaggi mettono a repentaglio la propria vita per salvare un piccione, svilendo anche alcuni picchi di tensione ben rappresentati fino a quel momento. Ed è un peccato.
È un peccato soprattutto perché ci sarebbero anche dei pregi da evidenziare. Per esempio, il personaggio di Sam Donnoletti, nuovo collaboratore di Orazio: in poche tavole Zironi riesce a tratteggiare una caratterizzazione per nulla banale come quella di una brava persona, ora in difficoltà, che vuole riscattarsi da alcune cattive azioni commesse in passato. Ma è un elemento che passa un po’ in secondo piano rispetto ad alcune illogiche sequenze narrate.
Un pregevole esperimento di regia, come questa bella soggettiva[/size][/i]
La storia successiva vede invece la prosecuzione della collaborazione di
Topolino con l’Archivio di Stato di Napoli. Stavolta è la fattucchiera partenopea a vestire i panni della protagonista in
Amelia e la città della seta, scritta da
Marco Bosco e disegnata dal sempre ottimo
Blasco Pisapia.
La trama è incentrata su di un viaggio nel tempo, nella Napoli del XVIII secolo per l’esattezza, che la strega campana compie per recuperare un abito dorato da indossare in occasione del prossimo galà delle fattucchiere. Lo spunto, pur piuttosto labile, si risolve con un paradosso spazio-temporale che ho trovato riuscito.
Non c’è tanto altro da segnalare, se non che la caratterizzazione positiva di un’Amelia completamente disinteressata alla Numero Uno sembra percorrere il solco tracciato da Enna con la sua biologia sulle streghe vulcaniche.
Superando l’innocua riempitiva calcistica di
Bosco/Panaro, si arriva infine all’ultima storia dell’albo, la terza puntata di
Area 15:
La corona di Tirnan.
Anche in questo conclusivo episodio traspare l’amore dello sceneggiatore
Giovanni De Feo per il mondo dei giochi di ruolo: tuttavia, non è forse abbastanza per evitare il disinteresse e la sensazione di noia che si viene a ingenerare a chi, come me, non sia particolarmente appassionato a questo passatempo. Ho apprezzato molto, in compenso, la gestione della sottotrama di Mooz, con il suo allontanamento e riavvicinamento ai tre nipotini e ai loro amici.
Il comparto grafico è inoltre più che valido.
È davvero un piacere ritrovare ormai stabilmente sul settimanale i disegni di Alessandro Pastrovicchio, e per quanto questa storia non raggiunga le vette creative e le sperimentazioni di alcune sue prove passate, abbiamo la fortuna di ammirare anche in questa occasione, per esempio, alcune
splash page davvero d’impatto.
Voto del recensore:
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