Rodolfo carissimo,
questa volta è difficile scriverti. Comincio, butto via, ricomincio tante volte. Allora ti penso, ti ricordo e ti vedo, sorridente, seduto al tavolo del tinello. Stai colorando una fotocopia di una tua sceneggiatura. Tutto concentrato e diligente, scegli il colore giusto da quel pacco di vecchie matite colorate e ti dai da fare, con la spontaneità e il gusto di un allegro bambino di ottant'anni. Sei tutto concentrato e, come nei tuoi fumetti, la punta della lingua ti fa capolino dall'angolo della bocca. Ti ha scritto uno dei tuoi lettori. Tu rispondi a tutti ma questo era speciale e hai deciso di mandargli una tua sceneggiatura. Liliana o Vittorio sono andati al negozio a farne le fotocopie e tu ora, prima di spedirla, ne colori la pagina iniziale e magari anche una pagina interna o due. Perché la fotocopia nuda e cruda non basta: vuoi che il regalo al tuo ammiratore sia più personale, che sia un po' un originale. Quindi colori la sceneggiatura, e la firmi. Naturalmente per il destinatario il solo fatto di ricevere una tua sceneggiatura, di poter ammirare i tuoi essenziali schizzi pieni di espressività, di poter godere le tue geniali battute in originale prima dell'editing redazionale ("Non vi sapevo un tracanna!") sarebbe già il più bello dei doni. Ma tu vuoi comunque dare di più. In quello che fai traspare la tua natura sensibile e generosa.
Ricordo una volta che venni a trovarti e mi caricasti letteralmente di squisitezze. Prendi questo formaggio! E questa bottiglia di olio buono! Prendi questo pezzo di speck! Questo è buonissimo, prendi anche un pezzo di questo! Aspetta che ti faccio un bel pacchettino chiuso bene per il ragù di Liliana che ti piace tanto! Da quel vecchio frigo delle meraviglie, sempre pieno come un uovo tanto da dover essere tenuto chiuso con un gancetto, estraevi ed elargivi tesori gastronomici come dalla caverna di Aladino, con l'incondizionata generosità di un Babbo Natale. Eri un buongustaio e poche cose ti davano soddisfazione come il vedere i tuoi ospiti mangiare volentieri alla tua tavola. "Quello sempre in maglietta, Manuel, che viene spesso a trovarmi, lui sì che è una buona forchetta! È venuto, la settimana scorsa, e ci siamo fatti un bel piattone di pasta!", mi dicevi al telefono. E così in occasione della "fagiolata sociale" del 2009 o del premio Papersera del 2007: tu e la tua famiglia ci faceste trovare un desco imbandito con una portata dietro l'altra di prelibatezze. Che mangiare bene fosse uno dei piaceri da condividere con le persone care lo si capiva anche dalle tue storie, in cui i pranzi a casa di Paperino o i bivacchi attorno al falò facevano davvero venire l'acquolina in bocca. E che privilegio, per lettori cresciuti su quelle pagine, giungere un giorno a entrare letteralmente in quella scena, invitati a pranzo da te.
Ricordo una volta che eravamo in cucina a preparare la cena, in quella cucina-corridoio stretta e lunga, seduti a pelare patate mentre tenevamo d'occhio i fornelli, e intanto parlavamo delle vicende della vita. Ce ne erano successe, in quel periodo, e più gravi a te che a me, e mi davi coraggio dicendomi che ero ancora giovane e che avevo tutto il futuro davanti. A dirlo così suona banale, invece eri saggio e profondo, come i romiti dalla lunga barba che popolavano le tue storie.
Le tue storie più belle, quasi sempre accompagnate dalle ispirate matite di Giorgio che le interpretava magistralmente, ci hanno fatto viaggiare in mille mondi affascinanti, dalle montagne trasparenti alle isole del Pacifico, dal fondo della baia di Paperopoli al medioevo siderale. Erano divertenti, con quei mezzi di locomozione strampalati, con gli autoctoni dal linguaggio primitivo, ma erano anche... spaziose, come dire, aprivano interi mondi, grandi orizzonti, distese infinite, dai deserti alle foreste ai ghiacci agli oceani. E in ognuno di questi mondi, oltre al divertimento, alle battute, all'avventura, tu sapevi mettere qualcosa di più, qualcosa di magico e di esclusivamente tuo.
Si osserva spesso che i lettori riuscivano a riconoscere quelle storie come tue anche prima che Topolino pubblicasse i nomi degli autori; e si citano come segni distintivi appunto i marchingegni, gli autoctoni, i tapiri, il linguaggio forbito, la quadrupla iniziale eccetera. Ma questi sono gli aspetti esterni, formali, che altri avrebbero potuto copiare e a volte l'hanno anche fatto, con dubbi risultati. Ma quello che davvero era soltanto tuo era quel pizzico di saggezza e magia, e soprattutto sentimento, tutto dosato con delicata moderazione, che riusciva a toccare il lettore nel profondo. Nessun altro, io credo, sulle pagine di Topolino, ha avuto la tua capacità di raccontare così intensamente, eppure con tale sensibilità, i sentimenti più profondi, come l'amore filiale nella intensa e bellissima storia del tamburino. Mi raccontò Giorgio che, quando gli telefonasti per raccontargli la storia che avrebbe disegnato, quando arrivasti a quel punto in cui il figlio e la madre finalmente si riabbracciano, ti commuovesti tu stesso e dovesti interrompere la telefonata; e lui, quando arrivò a disegnare quella scena così intensa, al culmine di quella tensione emotiva si sentiva la pelle d'oca. Una scena capace di far scendere le lacrime, sinceramente. Non di dolore ma di commozione, di intensità, di profondità umana.
Te lo scrissi anche ultimamente: sei tu che hai scritto la più bella storia a fumetti che abbia mai letto. Quella prima storia dei racconti attorno al fuoco, col bel cavaliere che, dopo una vita di successi che non gli avevano dato la felicità, torna da solo a cavallo sulle rive del lago scomparso dove sente il richiamo della regina che aveva amato. "Gloria? Denaro? Mi sento un fallito, nonostante tutto! Non ho avuto ciò che ho sempre desiderato!" Nel mondo magico di cui tu sei il demiurgo, i due cuori si parlano attraverso lo spazio e il tempo e Johnny, ormai incanutito, sente il richiamo della sirena che anni prima gli aveva promesso "ti chiamerò quando sarà il momento". L'ultima volta che venni a trovarti mi raccontasti che la storia aveva originariamente un altro finale: Johnny arrivava sul bordo del lago asciutto, suonava la chitarra un'ultima volta, il lago risorgeva, ribollendo, e Johnny vi si immergeva, abbandonando questo mondo per andare a raggiungere la sua regina. Ma poi decidesti invece di modificare questa fine tragica e invece di farli riincontrare e permettere loro di concludere i loro giorni insieme. Te ne sono stato grato, perché ho tanto amato questi due innamorati; fra i miliardi di mondi alternativi di fantasia in cui si dipanano le vicende dei personaggi immaginari, mi piace che il bel cavaliere e la regina del lago siano ancora insieme, finalmente felici, dopo anni di privazioni e lontananza eppure di mai dimenticato amore.
Ciao, Rodolfo. Lo sai chi sei tu adesso? Sei quella nonna indiana, Gatta Spelacchiata, che dà i tre soldi del destino al tamburino. A me e a tanti, tantissimi altri tamburini a cui, moltiplicandoti, hai dato le tue monetine speciali, magari nascoste nelle tue storie su Topolino, per chi se ne sarebbe accorto e le avrebbe sapute trovare per poi cercare la propria strada. "Se tu spende bene, tu torna a casa e tu felice. Anche io felice che vede te da grandi pascoli. Tu prende. Io dà con stesso amore di tua vera nonna."
Addio, Rodolfo, ti voglio bene. Rileggo le tue parole e mi commuovo. Continuerò a salutarti e a pensarti con affetto. Grazie per essere esistito e per tutte le preziosissime monetine del destino che hai regalato a me e a tanti altri.