Il mio (tesss)oro
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Adrenalina, passione, cuore. L'ultima fatica di Peter Jackson ripaga a pieno le aspettative regalando un epilogo che per intensità ricorda Il Ritorno del Re.
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Due anni sono passati da quel capolavoro di Un viaggio Inaspettato e solo uno dall'ottimo seguito. Giunti alla conclusione della trilogia, non si può che analizzarla fino in fondo ed esprimere un parere generale. Ebbene, per quanto la mia opinione possa essere “da parte”, essendo fan sfegatato sia del libro sia dell'impresa di Peter Jackson, è con una felicità nel cuore che dichiaro la trilogia de Lo Hobbit tra le serie cinematografiche più riuscite di sempre. Poche volte capita di veder compiere i miracoli due volte eppure quel grassoccio regista neozelandese ce l'ha fatta. Attraverso la sua telecamera, un eccellente capacità narrativa e i più graditi sforzi tecnologici; Peter Jackson ha saputo creare una saga che resterà impressa per sempre negli annali del cinema. Aldilà delle varie critiche che si possono fare, questi film godono del potere di risvegliare l'immaginazione e caricarci di una giusta dose di intrattenimento e pathos.
Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate, in particolar modo, è quello che ci è riuscito di più. Adrenalina, passione, cuore; l'ultima fatica di Peter Jackson (nonché il suo quattordicesimo film da regista!) ripaga a pieno le aspettative regalando un epilogo che per intensità ricorda (senza essere) Il Ritorno del Re.
Quando un film ti trattiene il fiato o stuzzica di continuo la tua curiosità impedendoti di staccare gli occhi dallo schermo, è un film che vale la pena lodare.
Dato che non riuscirei a continuare un discorso vago e generale, mi soffermerei sulle scene o idee che mi hanno più colpito:
SPOILER!
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La malattia di Thorin: Richard Armitage è stato un continuo brivido sulla schiena; il suo Thorin è un personaggio complesso, affascinante, drammaticamente shakespeariano. Un anticipazione della sua pazzia era già avvenuta nel secondo film (ricordate la scena in cui punta la spada contro Bilbo') ma è solo con gli avvenimenti del terzo che il nano può godere di un trattamento psicologico approfondito.
Altrettanto magnifica è
l'analogia con Smaug: il drago scompare molto presto ma per tutto il film sentiamo la sua presenza nei gesti e nella voce di Thorin. Stupendo.
Un padre e un figlio:
Per quanto sia straniante veder iniziare questo film senza il canonico prologo introduttivo ma direttamente in media res, la messa in scena della distruzione di Pontelagolungo è stata resa molto bene. Il culmine arriva, però, con la scena tra Bard e Bain. Molti hanno criticato il fatto che non sia utilizzata la lancia nanica vista nel secondo film, tuttavia, la collaborazione tra padre e figlio è un'idea molto più azzeccata e inventiva. In quel momento, l'alchimia tra i due attori si sente in tutto per tutto. Dispiace che
il drago muoia così presto (molto probabilmente in edizione estesa volteggerà per qualche scena in più) ma anche il libro non impiega più di cinque pagine per la sua fine. Il ruolo di Bilbo: “Sei solo una piccola creatura in un mondo molto vasto” dice Gandalf al suo amico mezzuomo. E in effetti il personaggio di Bilbo, interpretato da un sempre sorprendente Martin Freeman, ha ben poche azioni da compiere. A venire a galla, come nel libro, è il suo cambiamento (“non sei più lo hobbit che ha lasciato la Contea”), il suo io interiore completamente scosso dal comportamento di un suo amico, dall'allontanamento da casa e dalla crudezza della guerra. Bilbo non porta il peso del destino del mondo come suo nipote Frodo, tuttavia, l'avventura in cui si trova (neanche sua, in realtà) non è priva di responsabilità.
L'Archengemma e l'Unico Anello sono entrambi nelle sue piccole mani e spetta lui la scelta di cosa farne. Ad eccezione con l'anello; Bilbo agisce sempre seguendo il cuore, diventando per tutti un modello da seguire, l'incarnazione delle emozioni più pure (“se un maggior numero di noi stimasse cibo, allegria e canzoni al di sopra dei tesori d'oro, questo sarebbe un mondo più lieto” - a parlare è Thorin o Tolkien stesso?).
Dol Guldur: Per quanto breve, la scena che vede il Bianco Consiglio al completo è tra i più importanti collegamenti con ISDA. E' stato piacevole ed inaspettato rivedere Galadriel nel suo stato più “indemoniato”; malinconico, invece, è assistere all'ultimo momento con Saruman non – corrotto. L'azione: Non guardi un film sottotitolato “La battaglia delle 5 armate” aspettandoti solo dialoghi e psicologie. L'azione è parte integrante della trama e PJ si dimostra ancora una volta capace di creare climax e suspence. L'intensità con cui è stata girata la battaglia è pari a quella de Il Ritorno del Re se non anche più riuscita, varia ed articolata. Il regista sposta l'obiettivo da una sponda all'altra della guerra, trovando il tempo di soffermarsi sui personaggi e regalandoci goliardiche scene ricche di effetti speciali. Gli ultimi venti minuti sono memorabili.
Anche qui, molte lamentele sono state fatte per
il ruolo decisivo di Legolas contro Bolg (onore che nel libro spetta a Beorn). In realtà così come è stata giustificata la modifica di Azog all'interno della trilogia (rendendolo la nemesi di Thorin anziché di Dain) anche questa scelta si può ritenere azzeccata. Beorn (a parte nell'edizione estesa) compare troppo poco per intervenire così direttamente; al contrario Verdefoglia ha la possibilità di essere ampliato in vista del ruolo che avrà in ISDA. Molto toccante il finale dolce\amaro con Tauriel.Alla fin fine, l'unico vero difetto di questo film è durare troppo poco.
L'edizione estesa avrà modo di recuperare personaggi un po' tralasciati (
Radagast. Beorn, Saruman...) e ingigantire la battaglia (
manca, infatti, l'offensiva dei Nani contro gli Elfi) ma solo da quanto visto posso ritenermi soddisfatto del lavoro svolto da PJ.
Il cerchio (finalmente) è chiuso.
Voto: [smiley=voto5.gif]