Il numero natalizio di
Topolino si preannuncia da molti anni a questa parte come uno dei più interessanti e ben riusciti della stagione, complici atmosfere e situazioni di evidente natura che arrivano a toccarci nel profondo, coinvolgendoci nei canonici festeggiamenti magari insieme a parenti o amici per costituire l'ideale quadretto famigliare tanto caro all'artista, ma anche ahimè al brand di un'azienda. Il concetto di "Natale" ha infatti perso col tempo il suo vero significato di celebrazione religiosa radicata agli statuti teologici, diventando purtroppo l'ennesima fonte di lucro per multinazionali e speculatori nonché la prova più evidente di come il consumismo imperversi nella società moderna.
Nelle ultime occasioni il suddetto
Topo di Natale medio si prefiggeva di rappresentare un piccolo dono per quanti l'avessero acquistato, un gentile omaggio al quale rifiutare era pressoché impossibile data la bontà di iniziativa che, nella sua limpida artificiosità, appariva quasi sincera. A testimonianza del fatto anche le storie in esso contenute erano di stampo natalizio nel vero senso del termine, cercavano ovvero di trasmettere al lettore (o ai lettori sempre intercalando il discorso in un ideale collettivo) quel senso di spirito natalizio basato su rinunce, condivisioni e affetto. Così facendo quanto ne derivava riusciva a comunicare una morale piacevole e il più delle volte credibile (
questo esempio dovrebbe chiarire ogni dubbio) oltre che a intrattenere il consumatore con trame e svolgimenti degni del miglior periodo del settimanale.
Nel volumetto della passata settimana ritroviamo quell'idea di "armonia" davvero in pochissimi spunti, dato che il resto incarna molto chiaramente anche se a tratti implicito il problema del consumismo sovraesposto, tanto che a brillare sono i primi due racconti proposti, ancora una volta i migliori dell'albo. In questi ultimi però persistono comunque molteplici handicap che li rendono imperfetti e non del tutto convincenti sotto certi aspetti e che ora cercherò di analizzare.
I pregi essenziali di
Zio Paperone e il nuovo Canto di Natale sono racchiusi nell'idea di fondo (rivisitare in chiave moderna uno dei migliori lavori di Dickens) e nel bello svolgimento, pieno di citazioni argute a fatti/eventi/persone di barksiana memoria. Il viaggio dello Zione in una realtà psichedelica contornata di ricordi è ben condotto da
Marco Bosco che riesce a estrapolare dall'opera originale i valori etici fondamentali che la animano, riadattandoli al target della rivista e all'atmosfera cibernetica della nostra quotidianità. Dal canto suo
Silvia Ziche alleggerisce un plot già di suo terso e pacato con le solite rappresentazioni sì semplicistiche ma sempre efficaci ed evocative.Naturalmente l'episodio della giovinezza scozzese non sarebbe mai stato preso in considerazione da un Don Rosa per il racconto della vita del personaggio men che mai quello nel Klondike, ma questi e altri riferimenti al trascorso paperoniano sono senza dubbio molto intriganti dal momento che ci offrono i frutti di una scuola di pensiero finalmente diversa dall'autore sopracitato. Un'ipotetica idea di continuity viene fra l'altro conservata con la motivazione onirica finale, non proprio eccelsa ma convincente. Qualche novità in fondo non guasta mai. I difetti si ritrovano infatti non tanto a livello tecnico (è l'ennesima prova più che discreta della coppia Bosco-Ziche,
non dimentichiamolo) quanto a livello morale. Il fatto che una festa cristiana qual è a tutti gli effetti il Natale venga abolita in concomitanza della rimozione dei canonici doni sottolinea infatti ancor di più quell'ideologia buonista nei confronti di tale festività, tanto da depauperarne le genesi. Un peccato in tal senso, dato che l'intera sequenza tende a limitare gli ottimi acuti delle tavole precedenti, proprio in dirittura di arrivo.
Anche
Topolino e il pupazzo perduto di
Vito Stabile, con il suo titolo quanto mai ingannevole riesce a strappare qualche acuto (pregevole il riferimento al Canto di Natale cinematografico) senza però convincere fino in fondo questa volta su un piano tecnico/contenutistico. Malgrado lo sceneggiatore riesca a spaziare tra i vari generi di bivi e quindi di possibili conclusioni alcuni di essi risultano incoerenti con altri e i fatti di base narrati, teoricamente comuni per tutti i finali, tendono a non ripresentarsi in certi casi. Di riflesso la trama resta monca e a tratti addirittura confusa. Se a questo sommiamo l'evitabile cornice lappone e alcune prospettive non proprio eccelse di un
Mazzarello in calo appare evidente come una storia valida dai sani principi possa apparire snaturata pur consapevole dei suoi obiettivi "domestici": intrattenere e far sorridere, cosa che accade in diversi punti.
Come già detto il resto dell’albo (due storielle di media lunghezza) personifica il concetto consumistico dell’introduzione in una visuale davvero scarsa non solo tecnicamente. Tra i troppi difetti figurano palesemente l'
out character di Manetta e Rock Sassi nel
Natale in giallo e l'assenza di un vero filo logico alla base del
Pacchetto pacchiano, ma sono solo alcuni dei tanti obbrobri presenti.
Di fronte a tanta pochezza non tengo parole.