Casty è senza dubbio uno degli autori più coerenti e allo stesso tempo coinvolgenti presenti sulle pagine del Topolino, e le sue apparizioni generalmente saltuarie contribuiscono a dare alle sue storie quel valore aggiunto che trascende la sceneggiatura stesso. Certo, a
Tutto questo accadde domani sono state premesse diverse brevi il cui scopo era quello di suscitare curiosità nel lettore, tuttavia anche senza di esse avremmo comunque goduto allo stesso modo della storia in sé, la loro presenza è piuttosto un valore aggiunto che ne testimonia la già attestata bravura.
La storia in questione è un capolavoro che ci ricorda come sia ancora possibile realizzare qualcosa di credibile sulle pagine del Topolino, ovverosia una storia con un saldo impianto narrativo e il giusto equilibrio tra l'azione e il dialogo, senza che una scena appaia mai fine a se stessa, con un interessante futuro distopico ben stemperato dalla leggerezza con cui è solito procedere il mondo Disney nel suo trattare, comunque, tematiche anche un po' più profonde di quanto si è visto nelle ultime settimane: giacché bisognerebbe comprendere, come giustamente sollevato in un commento allo scorso numero, se questa fotografia dell'avvenire ci appartenga davvero e sotto quali sfumature, soprattutto, ed è questo un ulteriore elemento a favore dell'autore, il quale dietro ad una commistione tra umorismo e "noir" induce il lettore a individuare ulteriori piani di lettura che impreziosiscono la storia stesso: a questo, infatti, mi riferivo quando reputavo i WhizzKids incapaci di arrivare davvero a tutti i lettori - per quanto fosse dichiarato a caratteri cubitali, non bisogna dimenticare che il Topolino è comunque una rivista che non si rivolge esclusivamente ai bambini - ed è esattamente questo che mi aspetto da una storia di Topolino.
Valore aggiunto, infine, è anche la presenza di un Gambadilegno carismatico, che in barba a come ce lo ha rappresentato Gagnor la scorsa settimana - un fallito, insomma - si dimostra un antagonista di tutto rispetto con la giusta dose di cattiveria, sicché appaiono evidenti riferimenti ai grami destini in cui potrebbero incorrere i vari protagonisti, ed è giusto che ci siano anche personaggi di questa levatura, né bianchi, né neri, bensì intrecciati da diverse sfumature di grigio (anche se sarebbe un po' ingenuo pensare che un personaggio nel vero senso del termine si possa davvero inquadrare come "bianco" o come "nero", e a riguardo penso che grandi saghe di videogiochi quali Metal Gear Solid o Grand Theft Auto offrirebbero concreti esempi di quanto sostengo, però sarebbe un divagare fin troppo impegnativo per risolverlo in poche righe...).
Concludo, quindi, ribadendo che senza venir meno al proprio modus operandi, né tantomeno alla propria forma mentis, si possono produrre dei gioiellini degni di essere consumati da tutti quanti, nessuno escluso.
Il resto del numero, purtroppo, non è all'altezza, ma non tanto per confronto con la succitata storia, quanto per certe scelte stilistiche che non riscontrano il mio gusto, a cominciare da
Paperino, Paperoga e gli oggetti ritrovati di Vitaliano/Picone, che pare renderci ulteriormente testimoni di una "crisi" che gli attuali caposcuola della comicità su Topolino stanno affrontando (Faraci, Faccini e Gagnor sono già stati segnalati nei numeri precedenti, e non solo dal sottoscritto). Il punto è che anche Vitaliano, nondimeno dagli altri autori, pare ripiegarsi sulla sua medesima comicità portandola alle estreme conseguenze, sacrificando quel tocco di cinismo, sua tipica cifra stilistica, a favore, invece, di un continuo ritorno sulle medesime situazioni, al punto che l'unica punta di genialità, i dialoghi in bislacco dialetto lombardo-cinese, quasi (e lo sottolineo) di ispirazione gaddiana, perdono la loro potenza umoristica poiché ripropongono nuovamente tutto quello è accaduto nelle pagine precedenti.
Forse Picone si è trovato più a suo agio con questa sceneggiatura, tuttavia non si capisce perché in alcune storie sembri emulare Intini, in altre Lavoradori, e in altre ancora, come questa, dimostri di possedere quasi un suo tratto personale, che in ogni caso non riscontra pienamente i miei gusti perché poco pulito su certi ripassi.
Sulle due brevi, invece, non c'è molto da dire: quella dei Bassotti ha una conclusione simpatica, tuttavia fa molto riflettere - e soprattutto impallidire - vedere fino a che punto gli sceneggiatori sono arrivati per coprire di ridicolo i criminali in questione, mentre la storiellina di Vito gioca molto sul lato opportunistico di Paperone, forse esagerando un poco. In entrambe le storie ci sono dei buoni disegni: non mi dispiacerebbe vedere con più frequenza la Castellani, mentre Del Conte è sempre gradevole alla vista.
Chiude, purtroppo, una storia di Sio supportata dagli ottimi disegni di De Vita. Non mi stancherò mai di dire che la logica di Sio non sia adatta al mondo Disney, e poco gli basta a trasformare Pippo in un cretino o a far fare ad Indiana Pipps la figura del babbeo con deduzioni elementari o cartelli improbabili. Aggiungendo poi un po' del solito umorismo di Sio, tra paroloni indecifrabili e situazioni che non si incastrano bene l'una con l'altra - l'apparizione della sorella gemella, nonché sindaco della cittadina, che vuole costruire un parcheggio per elicotteri in una landa gelata è qualcosa che non potrei nemmeno commentare sotto ispirazione divina - si arriva finalmente alla conclusione e si comprende che questo modo di intendere il fumetto Disney non sta in piedi perché lontano da quella leggerezza che si è ad esempio intravista in Casty. Ripeto: non è la soluzione che aiuterà a svecchiare quella stanchezza comica intravista in altri sceneggiatori.
la scena non si vede ma è detto che succederà nei dialoghi.
Se non sbaglio, nella scena dell'alba si intravede che i personaggi si stanno dissolvendo come la statua, ora purtroppo non posso controllare...
Confermo. I personaggi si stanno dissolvendo mentre contemplano l'alba, ci sono dei segni sui loro contorni, soprattutto sulle loro teste.