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Vedo che siamo riusciti ad "offenderci" vicendevolmente pur mantenendo il discorso su un livello civile. Spero sia un segno che questa discussione serve a qualcosa. Il tono sara' forse non alto quanto auspicabile, ma almeno nessuno e' sceso troppo in basso.
Per il resto: fatico tremendamente a seguire le tue argomentazioni. Per cominciare, parliamo un linguaggio estremamente diverso; e sembra che gli sforzi di traduzione aumentino la confusione invece di diminuirla. Provo a rispondere a qualche punto qua e la', ma con poca speranza che si arrivi ad una comprensione reciproca.
il concetto di 'leggi di natura' è da me e te interpretato diversamente, dove tu gli conferisci una valenza puramente empirica - e non direi scientifica - bandendo ogni altra possibile attribuzione e rinchiudendolo in una sorta di 'realtà dei fatti' che tuttavia mi sembra confliggere con la stessa nozione di 'legge'.
Certamente non "empirica". Il concetto di "leggi di natura", come lo intendo, e' altamente mistico (cerchero' di chiarire piu' avanti). E certamente il sottoscritto non e' uno scienziato - mi limito a tentare, ad orecchio, di utilizzare il poco che capisco sui fondamenti epistemologici generalmente intesi come alla base della scienza nel tardo ventesimo secolo.
Leggo ad esempio che ritieni il termine 'legge' come appannaggio originario o magari persino esclusivo dei fisici, che sarebbero gli unici a nobilitarne l'uso, nel mentre i giuristi - ai quali semmai il termine è più proprio - se ne sarebbero impossessati per farne abuso creando 'imposizioni semiarbitrarie decise dalle societa' umane'.
Non esattamente. Sono disposto ad ammettere che i giuristi abbiano la priorita' storica sul termine "legge" (in realta' non so se siano arrivati prima loro o i fisici, ma la cosa non mi interessa oltre un certo punto). Pero' e' importante, per chiarezza intellettuale, rendersi conto che si tratta di due usi incompatibili della parola. L'impressione che ho, leggendoti, e' che nella tua "Weltanschauung" si tratti di due usi compatibili.
Quanto all'uso appropriato del termine 'legge' e rifacendomi alla tua affermazione, da quale fondamento ne faresti derivare l'originario uso da parte di taluni studiosi delle cose umane piuttosto che di altri? E segnatamente dove si dice che i fisici abbiano adottato il termine per primi ed in modo più nobile rispetto ai giuristi o ad esperti in altre scienze?
Sempre a livello di chiarezza intellettuale: nell'espressione "taluni studiosi delle cose umane" includi anche fisici e affini? Personalmente provo un certo fastidio a considerare il comportamento delle particelle subatomiche o il big bang come "cose umane": semmai, preferisco considerare le "cose umane" come parte di un universo che comprende un bel po' di aspetti del tutto indipendenti dagli esseri umani. La differenza e' forse solo nell'impostazione psicologica, ma preferisco sottolinearla.
Quanto a chi abbia usato per primo il termine "legge", come detto sopra in realta' e' irrilevante. La cosa fondamentale (che sembra continui a sfuggirti) e' che giuristi e fisici danno a qusta parola significati incompatibili. Io trovo piu' nobile l'utilizzo dei fisici, ma questa "nobilta' " alla fine e' faccenda di gusti - se tu ritieni la giurisprudenza superiore alla fisica sotto gli aspetti che possono essere coperti da un aggettivo come "nobile", non ho nulla da obiettare. (Interessante anche il fatto che scrivi "giuristi o ad esperti in altre scienze" - faccio molta fatica a considerare la giurisprudenza come una "scienza", anche in senso molto lato.)
Non posso dire a quando risalgono i primi studi di fisica, ma difficilmente hanno un'antichità superiore alle prime regole di pacifica convivenza che l'uomo spontaneamente s'è dato, non foss'altro per la detta e necessaria funzione che tali regole sono chiamate a soddisfare, e cioè una primigenia esigenza dell'uomo: convivere con se stesso.
La fisica, come viene generalmente intesa al giorno d'oggi, ha la funzione di indagare su cosa sia vero o no. Ho l'impressione che ti sfugga questo fatto. (O forse non ti sfugge, ma hai problemi ad accettare il termine "vero" come e' generalmente inteso in scienze tipo la fisica - un concetto di verita' alquanto specialistico e, in un certo senso, riduttivo.)
E le regole che l'uomo s'è dato - ben lontane dall'essere 'imposizioni semiarbitrarie' -
Come dimostrato dall'immutabilita' storica e geografica di queste regole.
- sono dettate dall'evidente ed innegabile necessità di stabilire i confini della propria condotta, oltre i quali non v'è che caos ed anarchia,
Posso essere abbastanza d'accordo sulla tua conclusione che e' in qualche modo "necessario" che una societa' umana abbia delle regole. Ma il termine "necessario" qui non e' lo stesso che in "
il movimento dei pianeti in orbite ellittiche intorno al sole e' conseguenza necessaria delle legge di gravita' ". Nel caso delle orbite ellittiche, il modello matematico e' regolato da un'innegabile necessita' (non e' pero' affatto necessario che tale modello corrisponda alla realta', quello e' solo un dato fin qui confermato empiricamente). Che la societa' umana senza regole possa essere solo caos ed anarchia mi sembra credibile, ma non lo vedo come innegabile - al massimo, potrei osservare dalla storia che "tutti" gli esempi a me noti di societa' avevano qualche sistema di regole (tranne forse qualche caso di microsocieta' che potrebbe essere esclusa per motivi di scala).
(immagino che tu stesso viva per libera scelta in una qualche società, beneficiando delle sue regole, a meno che non vi sia costretto).
Decisamente falso: non e' una "libera scelta". Sono nato in una societa' e non ho particolari obiezioni ad accettarne le regole, ma certamente non le ho scelte io - tant'e' che qualche debole tentativo di cambiare queste regole a volte lo faccio, per esempio prendendo parte a discussioni politiche. Anche le mie possibilita' di scelta di trasferirmi in un'altra societa' sono molto limitate da una serie di fattori (a cominciare dal fatto che il numero di societa' disponibili e' piuttosto basso).
Vediamo come allora legge e morale sono andati a braccetto sin dalle origini
Cosa che ha dato spesso problemi a chi si interessava di morale e si vedeva costretto, dalla morale, ad agire contro le leggi. Non capisco dove tu voglia arrivare.
Veniamo al concetto di legge che tu esprimi, identificandolo - mi pare - con l'insieme degli eventi reali o anche solo potenziali del mondo concreto per il solo fatto che si verificano o possono verificarsi
Mi stai urlando che non hai capito cosa intendo con "legge di natura". Non e' l'insieme degli eventi: e' una teoria (qualcosa che esiste solo nel nostro cervello, per quel che ne sappiamo) che dice quali eventi possono verificarsi e si verificano. Non sappiamo se queste leggi esistano; ci e' conveniente pensare di si' e in alcuni ambiti i nostri tentativi di formulare queste leggi hanno avuto un discreto successo.
Per definizione una legge - che sia scientifica, giuridica, morale o altro - è una norma (o un complesso di norme) che governa la materia che vi è soggetta e non è identificabile con il complesso stesso degli eventi disciplinati, altrimenti si giungerebbe al paradosso che la legge regola ed è regolata da se stessa (es. la legge di gravità è indubitabilmente una legge scientifica, influenzata dalla massa dei corpi e che ne regola l'attrazione, nel mentre l'effettiva attrazione (cioè l'evento) riscontrabile tra i corpi avviene secondo questa regola).
Puo' darsi che il complesso delle parole che cito qui abbia un significato. Questo significato certamente non e' pervenuto al mio cervello. Non posso che ribadire che mettere sullo stesso piano le "leggi" scientifiche e quelle giuridiche serve soltanto a vanificare il linguaggio.
Quanto alla legge di gravita', non e' influenzata dalla massa dei corpi. La legge di gravita' postula un'attrazione dei corpi, secondo una certa formula, e gli eventi fin qui riscontrati dalla comunita' scientifica dei fisici appaiono in accordo con le previsioni deducibili da tale formula.
La mera capacità dell'uomo di uccidere non integra una legge di natura ma solo una delle sue possibili interazioni, atteso che per il significato che attribuiamo alla parola 'legge', universalmente intesa come regola in ogni ambito di applicazione, le leggi della natura non si riducono alla semplice e passiva constatazione delle suddette possibili interazioni, ma costituiscono le regole che le governano.
Fatico a comprendere: che vuol dire "integra" ? Chi attribuisce quale significato a "legge" ? Cosa significa "le regole che le governano" ? La mia impressione e' che stai ripetendo, in termini piu' pomposi, la tua confusione tra legge giuridica e legge fisica.
Trovo che le leggi della natura più rilevanti siano quelle che esprimano gli essenziali bisogni della natura stessa, quelle che sovrintendono ai principali stimoli di vita, senza i quali appassirebbe fino a morire.
Quest'asserzione assume implicitamente una gran quantita' di postulati su cosa sia la natura. Per dire, la parola "natura" non ha lo stesso significato in "leggi della natura" e in "bisogni della natura stessa".
dell'indole aggressiva dell'uomo. Ebbene, tale indole è 'naturale' e ha la funzione di garantire all'uomo la preservazione di se stesso, dei propri affetti e dei propri interessi, dunque soddisfa la naturale esigenza della sua giusta sopravvivenza.
Anche questa e' un'asserzione estremamente forte. Come fai a dire che l'aggressivita' ha questa funzione? E cosa, precisamente, e' l'aggressivita'? (Per dire, e' sensato considerare come esempi di aggressivita' umana sia l'uccisione di un'allodola che quella di un altro essere umano? Sono davvero gli stessi istinti che entrano in gioco nei due casi?)
Il problema che ho con queste asserzioni e' innanzitutto questo, il fatto che - anche e forse soprattutto quando cerchiamo di essere filosofici - tendiamo a dare per scontate una serie di ipotesi che andrebbero almeno formulate e spesso esaminate criticamente. Quando scrivi
L'aggressività è parte della natura umana, dunque è naturale, ma governarla e decidere se e come usarla interessa la morale.
non avrei grosse obiezioni a sottoscrivere; ma trovo molto piu' interessante capire cosa sia questa "aggressivita' " che non cercare di formulare delle regole morali per governarla.
Lo stesso atto commesso invece per offendere gratuitamente rispecchia la medesima natura, ma risulta più che riprovevole dal punto di vista morale, non mirando a soddifare alcuna reale esigenza primaria dell'uomo
Uccidere per mangiare e' accettabile? Molte persone rispondono di no e, coerentemente, praticano il vegetarianesimo. Altri hanno reputato che tra le esigenze primarie dell'uomo ci sia il "Lebensraum".
(nel tuo esempio del lupo e della pecora, il comportamento del lupo è del tutto naturale ed accettabile perchè è la natura stessa che così ha concepito la sua sopravvivenza. Anzi, immorale sarebbe impedirlo da parte dell'uomo)
"
ha cosi' concepito" implica una visione della natura decisamente antropomorfica. Devo desumerne che tutto il tuo discorso su "morale" e "naturale" si basa su una tale visione? (Immagino di no, pero' spero ti renda conto di come tu mi stia regalando un argomento.)
In generale, la visione di "natura" come legata alla vita e' pericolosamente vicina al concetto antropomorfico di "madre natura". E molto di quello che scrivi sembra sottendere un tale concetto.
Salvare una vita non viola la natura, la favorisce. Quando parlo di corso naturale intendo quel percorso rivolto alla vita e alla sopravvivenza della natura e di chi la abita (e ne fa parte), chiarendo anche che la violazione è deplorevole quando vi sia un profitto personale piuttosto che un'agevolazione della natura stessa.
L'impressione che ho da queste righe (anche alla luce del paragrafo che le precede, dove giustifichi la tua contrarieta' a certe tecniche di procreazione) e' sempre che ci sia un notevole arbitrio da parte tua nel decidere cosa violi o meno la natura e quale sia la distinzione tra "profitto personale" e "agevolazione della natura".
Nè mi sembra calzante il paragone con gli schiavi.
Lo e'.
non è certo la natura che ha reso certi popoli schiavi, ma la perversione dell'uomo,
Questa e' la visione prevalente nel ventesimo secolo. Cio' che la storia ci insegna e' che la giustificazione della schiavitu' come voluta dalla "natura" e' stata usata in molte culture. E' uno dei motivi per cui preferiosco pensare alla "natura" come a qualcosa che non conosco se non in modo parziale: mi lascia piu' flessibilita' nel cambiare la mia visione e le eventuali conclusioni morali che posso trarne.
(anche perchè la condizione naturale dell'uomo è la libertà, non la schiavitù, e quest'ultima non potrebbe mai essere accostata ad alcunchè di naturale)
Un'altra frase che mi risulta sostanzialmente incomprensibile. Come determini cosa sia la "condizione naturale dell'uomo" ? La versione piu' forte (di descrizione della "condizione naturale dell'uomo") in cui io riesca ad avere qualche fiducia e' un tentativo di estrapolare qualche punto comune a tutte le ciivilta', societa' e culture di cui sono a conoscenza.
Riassumendo e ricusando completamente - dal mio punto di vista - il concetto di legge di natura come mero dato di rilevazione della realtà fenomenica e delle sue potenzialità
Come gia' detto, anch'io ricuso questo concetto di legge di natura.
ed abbracciando viceversa lo stesso concetto quale complesso di norme che regolano quest'ultima,
Ed abbraccio a mia volta lo stesso concetto. Purtroppo stiamo dando un significato diverso alle parole "norme", "regolano" e "natura".
devo nello stesso tempo rilevare l'immancabile sovrapposizione di quella parte di leggi della natura che non possono che coincidere con talune imprescindibili regole della moralità, in particolare quelle necessarie a soddisfare le necessità primitive e a garantire la sopravvivenza della natura stessa.
Come gia' detto, lo trovo un discorso molto pericoloso. Preferisco cercare di stabilire la morale come il piu' indipendente possibile dalle "leggi di natura": mi pare intellettualmente piuu' onesto e mi lascia meno esposto a sgradevoli sorprese.
E questo perchè tutto ciò che è natura e realtà è inevitabilmente soggetto alla valutazione dell'uomo, che vi interagisce ora operando in favore ora contro di essa, con tutte le implicazioni etiche del caso.
"Tutto" e' una parola molto forte. La frase generale ricorda molto il concetto (di solito indicato come biblico) dell'uomo come signore del creato.
Per concludere: con "natura" indicherei in qualche modo tutta la realta' fenomenica (non sono completamente convinto, ma ora non ho tempo di pensarci meglio). Per quel che mi riguarda, le "leggi di natura" sono i nostri tentativi di porre ordine in questa realta': postuliamo a priori (su basi sostanzialmente "mistiche", del tipo "perche si'!") che questo complesso fenomenico obbedisca, senza possibile eccezione, a certe regole e cerchiamo di individuare queste regole. Le leggi che formuliamo sono provvisorie e non pretendono di spiegare ogni fenomeno, anche se ovviamente speriamo sempre di avere individuato delle leggi universali. Questa visione e' "mistica", non empirica; di empirico c'e' soltanto il confronto tra le leggi che siamo riusciti a formulare e la realta' fenomenica. In un certo numero di casi, siamo riusciti a riscontrare un discreto accordo. In moltissimi altri casi, non abbiamo la minima idea di come dovrebbero essere formulate queste leggi: la fisica e' il caso paradigmatico di "leggi" formulate con successo, ma e' almeno ragionevole dubitare che lo stesso paradigma possa avere successo, per dire, nell'antropologia.
La mia impressione e' che la tua visione di "natura" e "leggi di natura" sia mistica quanto la mia, ma con meno coscienza di tale debolezza.