Fino a oggi ho sempre considerato Gervasio come un bravissimo autore a cui, però, mancava il capolavoro (e, in compenso, purtroppo, ha fatto uno scivolone con Paperinik, tutto cominciò così , ma questo è un altro discorso). Zio Paperone, re del Klondike è il capolavoro che attendevo? Forse non ancora, tuttavia è, secondo me, l'apice della produzione gervasiana sino ad ora. Lungi dal fare pesante citazionismo, l'autore incastona molto bene la storia nella lore donrosiana, facendo scendere una lacrimuccia nostalgica a chi, come me, con Don Rosa ci è cresciuto, ma al tempo stesso costruendo, tramite flash back intelligentemente collocati, una narrazione comprensibile anche ai "non iniziati". E qui sta la forza di questa storia: nonostante sullo sfondo ci sia una continuity ben precisa, questa è solo al servizio di un racconto che mette al centro la profonda tenerezza rimasta nel rapporto tra due anziani, radicata nei bei ricordi di gioventù e, al tempo stesso, il continuo coitus interruptus (scusate l'espressione, se è troppo ardita) che impedisce loro di abbandonarsi a questo sentimento, a causa delle personalità orgogliose di entrambi. Nel finale, Gervasio lascia la pennellata geniale: un particolare che va a riconnettere come mai prima Rosa e Martina, autori apparentemente inconciliabili e che, lungi dall'essere fine a se stesso o ad un puro esercizio di stile, rappresenta un colpo di scena di fondamentale importanza per la comprensione di una delle sottotrame del Gervasioverso. Applausi.