Recensione Topolino 3511 Delicatezza e ironia, riflessione e impatto. Potremmo recensire questo albo (partendo dalla bella copertina di Andrea Freccero per i colori di Andrea Cagol) usando questo chiasmo, e non sbaglieremmo:
Topolino 3511 riesce ad avere queste caratteristiche nei fumetti pubblicati e prova ad intrecciarle diversamente in ognuna. Tutte storie comunque bilanciate pressoché perfettamente, benché si possa considerare le stesse in una sorta di ordine di importanza.
Partiamo da una
storia d’impatto e riflessione.
Il mondo eclissato rievoca subito alla mente quel
mood di
sopravvivenza post-apocalittica nel sottosuolo che richiama un’impostazione simile a quella che troviamo in
La penultima verità (1964) di Philip K. Dick, o che si riscontra anche nella cinematografia più recente come
L’esercito delle 12 scimmie (1995),
Il regno del fuoco (2002) o
Ember – La città di luce (2008).
Non solo sopravvivenza:
Bruno Enna riesce a misurare la narrazione che si svolge in tre distinti luoghi e con un sapiente uso del
flashback;
non si ha mai la sensazione di essere persi, né di non comprendere lo svolgimento della storia.
Peraltro, sembra interessante il meccanismo utilizzato nel sottosuolo per contrastare l’avanzare della nebbia e per generare elettricità laddove manca: un meccanismo che, almeno nel
concept e nella raffigurazione, pare una via di mezzo tra una gabbia di Faraday e una bobina di Tesla.
Anche il finale di puntata si delinea come interessante, rifacendosi ulteriormente alla letteratura fantascientifica (tra cui si può ricordare
La nube purpurea, 1901, di Matthew Phipps Shiel)
con accenni anche alla mitologia e al folklore (dato che, almeno all’apparenza, quello che si vede può essere ritenuto un
luogo ad alta energia).
Steampunk e post-apocalissi su Topolino
Insomma, se nella prima puntata abbiamo avuto un assaggio di un mondo post-apocalittico “usuale”,
qui la narrazione cerca di spingersi più a fondo, a riprendere scenari “di base” per riscoprirli e farli apprezzare ulteriormente.
Approntata alla riflessione, ma più delicata, appare anche la storia di
Marco Bosco, disegnata da
Paolo Mottura, che apre l’albo.
Zio Paperone e la tartaruga di marmo, seconda storia della nuova serie
I cimeli raccontano, cerca di
ricorrere ad un classico espediente narrativo per offrire una sorta di insegnamento (in maniera non molto dissimile da quanto avrebbero fatto Esopo o Fedro).
Una storia delle origini di Paperone, che lascia per un attimo da parte la
continuity donrosiana e offre spunti molto gradevoli e che intrattengono, e al tempo stesso portano a riflettere.
Non la solita avventura “agitata” e chiassosa, ma una vicenda delicata, posata, sia nelle trame che nei disegni di Mottura (estremamente a suo agio nel riprendere i motivi urbani e grafici di inizio Novecento).
Una storia, peraltro, che si contraddistingue per
particolari che solo un lettore calmo può cogliere appieno, come nel caso dell’indicazione per la residenza del sig. Porter. Mottura pesca anche
elementi dei personaggi provenienti dall’animazione classica, come nel caso di uno dei clienti raggiunti dal giovane Paperone (rievocante un
design da
Silly Simphonies) e del sig. Porter (i cui tratti paiono essere una combinazione di Oswald the Rabbit e Sagebrush Sadie applicati ad un primo Gambadilegno in
Steamboat Willie). Nel complesso una storia
molto gradevole e che intrattiene bene.
Morgana indica la via a Parsifal (Excalibur di John Boorman, 1981)
Impatta in maniera ambigua la quarta puntata de
Il principe delle sabbie (
Alex Bertani e
Francesco Vacca/
Giuseppe Facciotto). Dopo una buona preparazione della trama (con una certa curiosità circa le vicende dei diversi personaggi), in questa puntata
tutto sembra accadere abbastanza di fretta, meglio: di corsa (visto che tutti paiono affrettarsi in ogni situazione).
Si vede un
generale downgrade delle interazioni tra i villains: se le ultime storie con Macchia Nera (qui in versione bianca) erano riuscite a dargli una nuova dignità, qui
sembra che si sia ritornati ai livelli delle precedenti. Un esempio di ciò è la mancata meticolosità di attuare la trappola, lasciando al personaggio di Sgrinfief… il segno che Topolomeo avrebbe dovuto trovare.
La valutazione della storia, comunque, si avrà al solto dopo l’ultima puntata.
I disegni di Facciotto rimangono comunque superlativi e conferiscono una piccola preziosità alle scene.
Enrico Faccini si propone ancora come un
compiuto maestro del sorriso in questa nuova storia paperoghesca.
Un pentolino… magico! si caratterizza per
un’ottima interazione tra i personaggi, per
l’assurdità delle situazioni in cui si trovano, per
l’ironia che la pervade e per
l’ispirazione, non tanto a storie “alla Gastone” (dove la fortuna è onnipresente), ma
al mondo extradisneyano, facendo pensare ai
cartoons di Michigan J. Frog, la rana canterina delle
Merry Melodies, creata da Chuck Jones nel 1955, e che è emblema di situazioni che si verificano solo quando nessuno guarda, o quando toccano ad altri. Insomma,
Faccini pesca sempre bene quando lancia la sua rete, e questa storia non fa eccezione.
Non si sentiva questa parola dal 1998
Ulteriormente riflessiva la storia che chiude questo albo.
Missione telefono (
Francesco Artibani/
Alessandro Pastrovicchio), nuova avventura della serie
Time Machine (Mis)adventures, prende in considerazione l’invenzione di Graham Bell, ma
le vicende che la caratterizzano ruotano tutt’attorno a ben altro presupposto.
Sebbene Paperino pensi che il paradosso temporale sia generato dall’aver preso la lampada a olio,
il vero fulcro della storia è ancor più banale, ed è forse rivangato in numerose opere sui viaggi nel tempo come
uno degli accorgimenti iniziali per evitare che si venga scoperti o si generino conseguenze di altro tipo.
Insomma, una storia carina, ma che
sembra solo dare il pretesto per narrare una vicenda e non per descrivere l’importanza dell’invenzione (come nelle precedenti storie si era cercato di fare).
I disegni di Pastrovicchio Jr. sembrano comunque molto apprezzabili e ben si adattano sia al contesto narrativo, sia allo svolgimento.
In definitiva,
l’albo ha sicuramente molti spunti interessanti, che però difficilmente si colgono leggendo solo superficialmente le storie.
La
delicatezza di alcuni temi e della narrazione,
l’impatto che alcune situazioni hanno
sul lettore,
l’ironia che rimane
preponderante in un settimanale umoristico e infine
la riflessione che
in generale si può generare sono gli ingredienti su cui si può lavorare per alimentare la curiosità di chi legge e fornire ogni settimana qualcosa di nuovo, o quanto meno che possa essere riscoperto.
Complessivamente,
Topolino 3511 riesce a mantenersi a buoni livelli e segna il passo nella qualità media che finora la testata ha avuto.
Voto del recensore:
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