Recensione Topolino 3549 È straordinaria l’evoluzione stilistica che
Francesco D’Ippolito ha dimostrato nel corso degli ultimi anni. L’evidente influenza carpiana ha dato il “la” per
una scintilla che col tempo ha rivoluzionato uno stile già ben definito, portandolo ad una libertà della gabbia, una padronanza della recitazione e una costruzione dell’ambientazione di altissimo livello.
Il frontespizio dell’ultima puntata di
Ritorno a Ducktopia, che ricorda le antiche antiporte tipografiche, riprende una tradizione inaugurata in Disney da
Massimo De Vita nelle gloriose storie martiniane di Paperinik degli anni Ottanta, per poi essere sdoganata definitivamente dalla saga di
Wizards of Mickey che ne ha fatto un proprio stilema. E chissà se non è proprio il rinomato ciclo “delle leggende, dei maghi e degli eroi” ad aver suggerito al disegnatore
l’accostamento tra il fantasy Disney e la tavola introduttiva ornata.
Se il comparto grafico mantiene il promesso livello qualitativo per tutto il resto dell’episodio, tra strabordanti personaggi e colori d’atmosfera,
qualcosa scricchiola a livello di trama, ma non per colpa di Francesco Artibani o Licia Troisi.
La scelta delle due strutture essenziali per l’ancoraggio tra i due universi mostra in maniera evidente
il dislivello tra il worldbuilding “papero” e quello “topo”, dove ad una figura simbolica e dominante come il Deposito di Paperone viene contrapposto il sicuramente più anonimo commissariato di Topolinia, il cui valore è esclusivamente narrativo e legato al predominante genere thriller e poliziesco nelle storie di Topolino.
Ad un monumento alla società plutocratica di Paperopoli viene contrapposto
un simbolo che se fosse di pari potenza denuncerebbe una vera e propria stratocrazia dei Topi. Che non c’è, ovviamente, e
la bilancia sembra non essere equilibrata. Ma, in effetti, quale altro oggetto avrebbe potuto rivaleggiare con il narrativamente, simbolicamente e metaforicamente ingombrante edificio dollaruto?
Due differenti valori strutturali
Meno polemica è
la risoluzione “finale”, che vede Gambadilegno rinnovare la propria appartenenza alla lista dei cattivi-ma-non-troppo con un sicuramente momentaneo sacrificio personale, fornendo anche
l’allaccio ad una terza saga.
Ducktopia chiude
L’ultimo portale promettendone ancora uno e tradendo ormai deliberatamente il principio originario che negava la realtà dell’altro mondo.
Una saga che aveva la propria forza non nel racconto – non la più fulgida delle inventive dei due sceneggiatori – quanto
nel colpo di scena metanarrativo che ne chiudeva il primo corso e che ormai è andato bruciato nelle notti dell’eroe Topperalt, con
un rinnovato focus sull’ancora poco incisiva narrativa.
Minni, Pippo e il mistero del Topoldo parte da un presupposto che, data la vicinanza col prossimo ciclo topoliniano, puzza di
spin-off di
Topolino nel mondo senza Macchia dello stesso
Marco Nucci. Non sorprenderebbe, infatti, se un flebile collegamento unisse la prossima saga all’antefatto della storia (Topolino sulle rinnovate tracce di Macchia Nera) che spinge Minni ad imbarcarsi in un’avventura con Pippo:
una classica caccia al tesoro (artistico) che porta la protagonista ad indagare su rebus ed enigmi, rivelando una passione in comune col fidanzato.
Sotto lo strato narrativo si cela
una storia celebrativa per la città di Brescia, Capitale italiana della cultura 2023, che gira attorno alla versione topolinizzata di Giovanni Gerolamo Savoldo e del suo famosissimo
Ritratto di giovane flautista. Ai disegni
un sempre valido Davide Cesarello, che mette in scena una solidissima rappresentazione di molteplici angoli della città.
E dove Minni si avventura sulle tracce del passato, Mickey si proietta verso un presente più moderno e quasi futuristico in
Topolino e gli intrusi di Iritop, storia di
Roberto Gagnor e
Lucio Leoni. Il satellite del titolo (ricalcato nelle funzioni e nel nome sul progetto Iris dell’UE) diventa il fulcro di una mini-indagine su un potenziale crimine, sventato dalle tecnologie troppo avanzate per la conoscenza dei ladri.
Mai incontrare i propri idoli, Bum Bum![/size][/i]
In
Don’t Worry Bum Happy[/b] continua la rappresentazione da parte di Corrado Mastantuono di una Paperopoli degli anni Venti di stampo onirico. Al centro delle vicende, stavolta, è La diva del titolo, che catalizza le attenzioni del protagonista attraverso il grande schermo. L’illusione romantica si sfracella contro la realtà di un’attrice aggressiva e spocchiosa, con risvolti umoristici altamente meta.
Chiude l’albo una danese: Paperino, Qui, Quo, Qua e i sensazionali ingressi dimensionali, di Maya Åstrup e Giorgio Cavazzano. Storia molto lineare, principalmente incentrata su un equivoco abbastanza intuibile già a metà narrazione, dove alla nostra realtà di un luna park si sovrappone quella alternativa identica alle avventure a fumetti preferite dei protagonisti. Tutto si basa su un inganno che parla a un target abbastanza infantile, al pari degli stessi personaggi.
Voto del recensore: 2.5/5
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