Recensione Topolino 3563 Questa recensione è stata particolarmente difficile da scrivere. Quando qualcosa appassiona o entusiasma è bello soffermarcisi, quando qualcosa invece non piace affatto è ancora semplice trovare parole da scrivere. Ma come comportarsi quando non si sa cosa dire?
Il problema probabilmente non è nemmeno nelle storie, variegate per tematiche e costruzione. Nemmeno nei disegni. La fatica, tutta personale, si è manifestata nel non avere avuto la capacità di adoperarsi per portare comunque a casa un risultato in tempi decenti. Dopo la doverosa autocritica è tempo di parlare finalmente del numero 3563.
Indipendentemente dagli umori e dalle difficoltà del recensore ci sentiamo comunque di poter affermare che
il numero non passerà alla storia.
Il numero si apre e si chiude con due storie che fanno parte di “saghe” più lunghe: la prima fa parte della serie “
I pionieri del volo” di
Sergio Cabella, la seconda invece fa parte della serie “
Cavezza” di Beppe Zironi.
In entrambi i casi, a sorpresa, si staglia come protagonista (o quasi) il personaggio di Orazio, che ultimamente sembra trovare terra fertile per comparire sempre più spesso. Certo, nella prima storia si tratta di un Orazio d’epoca, dei primi del 900, ai tempi in cui volare su un aeroplano era un’impresa per pochi.
La serie di Cabella prosegue in maniera abbastanza lineare con
I pionieri del volo – De Topis e l’infinita scommessa volante. Lo sceneggiatore (e disegnatore) genovese mostra anche in questo caso una certa predilezione nel raccontare storie d’epoca, di scavare nella storia, di
raccontarci di quando il mondo si è improvvisamente rimpicciolito, le distanze si sono accorciate, l’inesplorabile è stato esplorato (si pensi ad esempio alla
sua bella trasposizione dell’incredibile avventura vissuta dall’esploratore inglese Ernest Shackleton nel 1914). In questo caso personaggi ed eventi sono inventati, ma
rimane vivo lo spirito dell’impresa, dell’avventura, della ricerca di spingersi oltre quanto fatto fino a quel momento. Sottotrama romantica che non può mancare in questi casi. Volendo esprimere una critica,
la sceneggiatura è risultata essere un pochino monocorde: nonostante l’intensa sequenza di eventi raccontata le emozioni del lettore non hanno seguito allo stesso modo il livello di profondità e trasporto auspicabile.
Luca Usai ai disegni fa un bel lavoro, soprattutto nelle vignette che vedono i nostri protagonisti in volo a bordo del loro biposto con bellissimi paesaggi di mare e di nuvole.
Tra cielo e mare[/size][/i]
Nota di interesse per il redazionale di
Francesca Agrati che in maniera schematica ma efficace fa una panoramica della storia del volo umano andando ad individuare quali siano state le tappe fondamentali che hanno permesso all’uomo moderno di pensare all’aeroplano come a un mezzo di trasporto come qualsiasi altro.
Orazio, dicevamo, ma stavolta nella sua versione “canonica”, è protagonista unico e indiscutibile della storia finale. Zironi porta avanti il suo worldbuilding Cavezziano andando a immaginare le varie tappe con cui il cavallo più celebre della banda Disney (con buona pace degli “animati” e meno antropomorfi Khan, Philippe e Maximus) è finito ad essere il personaggio odierno. Ovverosia le varie vicissitudini lavorative che lo hanno portato a diventare il più efficiente
riparatutto del Calisota e dintorni.
Piccoli e grandi problemi
Cavezza – Problema irrisolvibile, per i disegni dello stesso Zironi va a raccontare il seguito di quanto avvenuto nel primo episodio della serie “
Strade Future” in cui il nostro aveva deciso di non proseguire i suoi studi ereditando dal suo datore di lavoro e mentore, il signor Capretti, la bottega di riparatore.
In questo secondo episodio, di transizione, vediamo Orazio alle prese con le varie difficoltà del mestiere che ha intrapreso, rendendosi facilmente conto che ciò che per qualcuno può essere un problema irrisolvibile per altri può essere una opportunità. La trama è abbastanza articolata e formata da vari eventi ed episodi apparentemente scorrelati tra loro, in cui Orazio dimostra la sua abilità e allo stesso tempo raccoglie la fiducia di clienti e avventori. Ma la fine porterà l’equino tuttofare a riconsiderare le sue scelte: “e se cambiassi tutto?”: lo scopriremo nel prossimo episodio. I disegni di Zironi hanno sempre un loro perché:
non sono perfetti dal punto di vista stilistico, sono sporchi, talvolta qualche tratto è più abbozzato o essenziale. Ma l’artista emiliano ha la
capacità di vivacizzare luoghi e personaggi in una maniera che rende il tutto assolutamente godibile nella sua imperfezione.
Completano il numero
Gli allegri mestieri di Paperino – Comparsa a scomparsa, una divertente “breve” della coppia
Faraci – Faccini. Anche questa storia fa parte di una serie, “
Gli allegri mestieri di Paperino”.
Il tono volutamente assurdo e demenziale ben si confà alle matite dell’artista ligure che riesce in maniera efficacissima a rappresentare le disavventure di un Paperino che si muove da comparsa bistrattata (e maldestra) nei meandri delle produzioni cinematografiche di suo zio.
Alcune battute centrate ne fanno una lettura certamente piacevole, forse la migliore storia del numero. Particolarmente divertente la parte in cui lo sceneggiatore di un film di fantascienza di dubbio gusto e dalla dubbia trama si ritiene particolarmente offeso dal modo con cui le comparse “recitano” i versi dei mostri alieni che interpretano.
Ottima ironia su sceneggiatori che si credono grandi artisti.[/size][/i]
Centrale e della lunghezza di ben 24 tavole invece troviamo
Zio Paperone e l’inaspettato Museo Ammazzamotori di
Davide Aicardi e
Giulia La Torre. La storia non appare troppo innovativa dal punto di vista delle tematiche, altre volte ZP ha aperto il deposito al pubblico come attrazione (si pensi a
Zio Paperone & il deposito per gioco di Manuela Marinato e Francesco Guerrini): ma mai come in questo caso il protagonista non è tanto il cubo di cemento posto sulla collina ma Paperone stesso e la sua abilità di tuffarsi nelle monete.
Conclude questa recensione la storia di
Arild Midthun autore completo ristampata su questo numero del settimanale:
Paperino, Qui, Quo, Qua e il tesoro vichingo è una classica e gradevole caccia al tesoro. Il mantenimento della struttura a quattro strisce per tavola in questo format/rubrica dedicata alle storie Egmont ha purtroppo il
difetto di vedere rimpiccioliti i bei disegni dell’autore norvegese, anche se meglio in questa maniera rispetto al non vederli affatto. Tuttavia
alcuni passaggi grafici non risultano completamente chiari (come ci finisce la macchina sul legname nella prima tavola?) e la trama risulta essere dopotutto abbastanza telefonata. Rimangono le belle rappresentazioni nordiche e
il tratto e il tratteggio di Midthun che danno una bella variazione sul tema rispetto a ciò che, graficamente, solitamente vediamo pubblicato sulle pagine di topolino.
Voto del recensore:
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