In questo frangente aiuta parecchio anche la colonna sonora, firmata da quel Dio di Alan Menken. Menken stavolta riesce nella dura impresa di tenere il piede in dieci scarpe, senza sacrificarsi minimamente. La sua musica riesce a commentare alla perfezione tanto le sequenze animate quanto quelle live action, per giunta mantenendo uno stile unitario. Ogni minimo giro di note che compone la colonna sonora è sia una parodia che un sentito omaggio alle ben note colonne sonore dei film Disney del passato, e - cosa ancor più incredibile in una tal situazione - riesce ad avere persino una propria individualità. Ma la cosa più importante, è che il film rientra a pieno titolo nella tradizione dei musical a scrittura mista di cui fanno parte
Pomi D'Ottone,
Elliott,
Mary Poppins e via dicendo, serbando una cinquina di canzoni scritte da Menken e dal paroliere Stephen Schwartz. Di queste cinque, quelle che si fanno maggiormente notare per il loro impianto citazionistico sono le prime tre:
True Love's Kiss apre il film. E lo apre in senso stretto visto che l'introduzione musicale si ha già dal logo della Walt Disney Pictures col suo nuovissimo castello, che scopriamo grazie a una veloce zoomata contenere in una sala il libro pop-up che racconta la storia di Enchanted. La canzone, che serve a presentare Giselle e il suo mondo di sogni è un chiaro riferimento a
I Wonder e
Once Upon a Dream da
La Bella Addormentata nel Bosco, a
A Dream is a Wish Your Heart Makes da
Cenerentola e specialmente alla grande capostitipite di tutte le canzoni d'amore Disney, quel
Someday My Prince Will Come che costituiva il cuore di
Biancaneve e i Sette Nani. E il debito è evidente sin dalle primissime note, in cui Giselle si rivolge agli animaletti duettando con loro uno scambio di battute ritmato che porta poi alla canzone vera e propria. Ma poi la predilezione citazionistica per Biancaneve prosegue alla grande quando entra in scena il principe Edward, che col suo vocione sembra parafrasare il cantato del Principe in
I'm Whising. Non sono solo Biancaneve, Cenerentola e Aurora però i riferimenti di Menken in questa sua magnifica opera: per la seconda canzone,
Happy Working Song sembra essersi rifatto al secondo grande periodo della storia Disneyana, quello xerox dominato dalle allegre melodie dei Fratelli Sherman. In particolare lo spirito è quello che si respira in
A Spoonful of Sugar, solo caricaturizzato al massimo. Siamo nella fase del film di massimo straniamento in cui Giselle sembra ancora totalmente fuori dal mondo e la regia, più che attingere a modelli di musical live action, ricalca esattamente lo stile animato, permettendosi notevoli virtuosismi bizzarri e parecchie zoomate sulle gag degli animali che aiutano Giselle nel riordino. Chiaramente, benchè musicalmente siamo più vicini al periodo xerox, anche qui la fonte visiva è ancora Biancaneve. E idealmente si potrebbe dire che la terza canzone,
That's How I Know è invece quella più rappresentativa del musical Disney anni 90, di cui lo stesso Menken insieme ad Ashman è stato fautore. L'intera sequenza a Central Park è esaltantissima, e visivamente parlando paga non poco il tributo ai lungometraggi in scrittura mista del periodo xerox, ricordando parecchio sia
Portobello Road di
Pomi D'Ottone e Manici di Scopa che svariate sequenze di
Elliott il Drago Invisibile e
Mary Poppins, ma le sonorità stavolta ci riportano più a brani come
Under the Sea, con l'uso iniziale di bonghi e calypso e il crescendo continuo del coro.
C'è poi la quarta canzone,
So Close, un buon tema d'amore, che tuttavia non raggiunge i livelli delle altre, pur presentando a metà della sua durata un intenso momento strumentale, puramente Menkeniano e a dir poco da pelle d'oca. La sequenza ad ogni modo, ambientata dopo la parziale normalizzazione di Giselle, presenta il cantato in maniera assolutamente diegetica, ma non per questo meno citazionosa visto che stavolta tocca a
La Bella e la Bestia essere omaggiata sia nei movimenti di macchina che nei costumi della sequenza. Il film si conclude con
Happily Ever After, purtroppo la più debole delle cinque, forse proprio a causa della sua natura pop, sequenza che però, visivamente parlando ha il pregio di offrire frequenti inserti animati che ci mostrano il finale della vicenda.
Finale che si potrebbe criticare definendolo troppo veloce e con una Sarandon parecchio sacrificata, difettucci che tuttavia non intaccano più di tanto l'immenso valore di tutto il resto (resto che viene intaccato molto di più dalla gag con lo scoiattolo che fa la cacca, elemento di disturbo che sembra più che altro un sabotaggio). Ma per un elemento poco convincente c'è tanto altro che invece non solo convince ma esalta, affascina, incanta. Uno è anche il citazionismo estremo di cui è pervasa tutta la pellicola: tutta la filmografia disneyana viene più o meno omaggiata, a volte mostrandone una sequenza in una tv (è il caso di Bongo e i Tre Avventurieri), altre volte facendoci sentire uno stralcio di colonna sonora (gli Elefanti Rosa di Dumbo), molto spesso riprendendone pari pari alcune scene. la maggior parte dei nomi (persino nel caso delle comparse) hanno a che vedere con Classici o film misti del passato, e addirittura pare che uno dei vecchietti della sequenza a Central Park sia uno spazzacamino di
Mary Poppins.
Insomma
Come D'Incanto è un continuo virtuosismo narrativo, registico, recitativo, grafico e compositivo. Una meraviglia che pare sia stata in lavorazione da parecchio tempo se si pensa che i primi rumor circolavano già nel web ad inizio 2001, e che da lì in poi la Disney avrebbe subito un tracollo totale. Eppure in tutto questo il progetto non è mai stato abbandonato completamente, benché per lunghi periodi non se ne sia più parlato o sia stato messo provvisoriamente nel cassetto. E non è dato sapere quando ci sia stata la spinta che l'ha velocemente rimesso in piedi e portato a compimento. Certo, sarebbe bello poterla far coincidere con l'arrivo della nuova illuminatissima gestione, e visti i tempi brevi che ci sono voluti per girarne la parte live action, e realizzarne la breve parte animata, la si potrebbe benissimo pensare così. Quel che è certo è che il momento migliore per uscire non poteva essere che questo, con il mondo intero ormai del tutto disabituato all'idea di una fiaba in animazione. Serviva proprio Enchanted, col suo essere a metà strada tra un film animato che più classico non si può e una commedia romantica live action, per risanare il sense of wonder comune, colpito a morte da troppi film in 3d volutamente "disincantati". E invece stavolta è il film a fare il quadruplo gioco col pubblico, fingendo a momenti di stare dalla sua parte, e colpendolo a tradimento in altri, rivelandosi in tutta la sua Disneyanità, in una continua alternanza tra incanto e disincanto, sottile parodia e raffinatissimo omaggio. Il compromesso che ci voleva insomma per traghettare un pubblico abbrutito dal presente verso i fasti di un futuro radioso.
da
La Tana del Sollazzo