Questa è una di quelle storie che, già al termine della prima lettura, sento abbiano trovato un posto speciale nel mio cuore di appassionato e che mi rimandano a ricordi dolci, sentiti e veramente intensi.
Non è una storia molto lunga, né divisa in più puntate ma sono comunque 33 pagine intrise di emozioni, di ricordi, di suggestioni.
La suggestione ha cominciato a fiorire in me già dalla presentazione dei personaggi, il più lucido dei quali si rivela essere il proprietario stesso della villa dove Topolino sarà chiamato ad indagare.
All'inizio, ho trovato inquietante e destabilizzante la figura di Eufrasia, soprattutto per via della sua mania per gli scherzi e la tendenza a collezionare strani oggetti, così come l'apparentemente oscuro Attila (ma che, di contro, mi faceva ridere per il suo sarcasmo con Topolino) e ancora lo strano comportamento di Geremia che si porta una valigia sempre appresso.
Poi, però, poco dopo, i personaggi si rivelano, almeno per come la vedo io, nella loro più intima essenza: Eufrasia che piange perché ha perso il suo diario dove scriveva le sue poesie e i suoi pensieri "segreti"; Geremia che sta incollato al manico della valigia per paura che "i ricordi vadano via" e ancora Attila, l'autista che sembrava così freddo nei confronti di Topolino e che è il primo a dargli fiducia e a lasciarlo agire per risolvere il "mistero".
Già in queste tavole, la storia mi aveva trasmesso veramente tanto: senso di inquietudine, pericolo, destabilizzazione, incertezza, timore per la sorte di Topolino.
Ed è particolarmente suggestiva, in questo senso, la scena in cui si ritrova spalle al muro e sembra a tutti gli effetti minacciato da qualcosa che il lettore non vede...
Ma le tavole che non posso dimenticare e che ho scolpite, vivide e fresche, nella mia mente sono quelle successive, quando Topolino si perde in quel luogo misterioso (e affascinante) che costituisce il "fulcro" dell'intera storia.
L'atmosfera onirica che aleggia in queste scene è qualcosa che mi ha veramente colpito e "segnato" dentro, tanto l'Arte del Maestro Cavazzano è riuscita a raccontare anche di quello che non si può descrivere a parole ma che rimane nella sfera spesso confusa e indistinta del sogno.
Da bambino ricordo di aver perso per qualche istante un pupazzetto che portavo sempre con me e quando ho rivisto Pinsù, quella scena da me vissuta è riaffiorata istantaneamente nella mia mente, come se il tempo non fosse passato e a vederlo lì, in tutta la sua tenerezza, sinceramente, mi sono quasi commosso.
Non faccio fatica a considerarla una delle mie storie preferite di sempre, tanto l'atmosfera che si respira all'interno della vicenda si rivela suggestiva e d'effetto.
Un capolavoro di introspezione, di parole non dette, di ricordi, di sogni, di viaggi nella memoria e dentro di sé.
Una delle storie cui sono più legato tra quelle partorite dalla sapiente penna del Maestro Mezzavilla e dalle splendide matite di un Cavazzano in stato di grazia.