Qui Quo Qua e il colpo da campioni convince di più rispetto all'accozzaglia di personaggi, situazioni e luoghi comuni presenti nella precedente storia del ciclo, tuttavia non è esente da alcuni difetti piuttosto marcati che ne urtano la qualità, primo tra i quali umiliare Amelia, la cui importanza nella storia è pressoché nulla: se ci pensate, la narrazione avrebbe potuto funzionare anche se la strega non avesse fornito ai Bassotti quel filtro magico, anzi, mi sarei aspettato che Amelia stessa giocasse un ruolo chiave e cogliesse l'occasione per ricattare Paperone, e invece i cattivoni vengono sconfitti da un SMS e da dei bambini e ci fanno la figura degli idioti a tutto tondo... Inoltre, questi nipotini perennemente sorridenti che avevano previsto tutto quanto mi sono sembrati alquanto infantili, e per essere i "titolari" della storia è un bel problema.
Almeno ha i disegni di un Francesco D'Ippolito incredibilmente ispirato e dinamico: i suoi Bassotti, prima di farci una grama figura, avevano delle facce da veri delinquenti, e il suo Paperone così dinamico ed espressivo mi è garbato assai.
Belando sotto le stelle, invece, nonostante la partenza piuttosto valida e alcune trovate gradevoli si perde nella risoluzione finale forzatissima ed illogica che fa crollare quelle buone fondamenta che sono state costruite nelle tavole precedenti: a distanza di un mese Paperino e Paperoga riconosco esattamente una mosca e si ricordano pure che era comparsa durante un selfie tanto imbarazzante quanto fuori luogo, e con un po' di spiegazioni lunghe un paio di tavole si svela l'arcano ai lettori che non l'avevano ancora capito... Insomma, una risoluzione alquanto infantile per una storia che intendeva fuggire dalla quotidianità di Paperopoli per far calare i personaggi nella parte dei pionieri in mezzo alle steppe, ma che poi si è persa in se stessa nonostante l'ampio numero di tavole a disposizione.
Deluso da Picone, invece: se ne La scatola misteriosa il suo tratto ricordava un Intini più pasticciato, adesso su certi punti mi pare pure vicino a Lavoradori, lo ritengo, perciò, privo di un'identità propria. Ci avrei visto di più lo stesso Intini, in alternativa Freccero sarebbe andato benissimo, ma Picone ne deve fare di strada prima di poter gestire delle sceneggiature così impegnative, e mi riferisco in particolare ai paesaggi, alle volte fin troppo sommari, e ai numerosi dettagli, disposti purtroppo in modo confusionario e casuale.
Dimenticabili anche le storie successive.
Per quanto riguarda il nuovo capitolo dedicato all'arte, credo di aver già detto nel mio scorso commento cosa penso ormai del ciclo in questione: sono storie in costume che non riescono a parlare di arte se non in modo didascalico. Vian dà ad Orazio delle fattezze poco equine e più vicine a quelle di Pippo, per il resto è stata una validissima scelta.
La storia di Paperino Paperotto non mi ha detto nulla, e in più gli amici di Paperino non hanno una caratterizzazione né un tratto che li esalti come è accaduto in altre storie, mentre quella di Archimede è una "gag" allungata anch'essa infantile nel modo in cui narra.
Fa alquanto specie quando la storia migliore è una premessa di un qualcosa di più grande preparato da Casty, però è proprio così: è comica perché rinuncia a quell'infantilismo messo in atto nelle storie precedenti, ovvero non si preoccupa di spiegare quello che accade, bensì lo lascia capitare, e il lettore si cala proprio nei panni di quella contessa perplessa, scorge Topolino comportarsi in modo inusuale, ne ride e capisce che ci siano delle grandi aspettative che molto probabilmente non rimarranno deluse. E questo perché parliamo di un autore con una propria cifra che non si piega ad esigenze di target e racconta le cose in modo personale, che è quello più spontaneo e credibile.