Muovendo da una preziosa notizia di Boschi su una giovanile frequentazione torinese di Martina dell'ambiente di Bobbio, suffragato da una pungente canzone altrove postata della Banda Bassotti, confortato da una parca ma come sempre appropriatissima chiosa di Feidhelm, mi sento di lanciare una provocante interpretazione di certa produzione martiniana senza pretendere di offrire una visione corretta ne tantomeno esaustiva quanto piuttosto una suggestione che può avere un pur vago riflesso di realtà.
La cinica immagine di Paperone, il cui ritratto martiniano corrisponde a quello del bieco sfruttatore, teso al profitto al di la di ogni basilare regola etica, il perenne sopruso che esercita sui propri gregari, a partire dai familiari, sopruso che per estensione ha poi sue malevole ramificazioni nella prepotenza che paperino esercita a sua volta sui nipoti, l'impunita sfrontatezza con cui depreda per puro interesse i legittimi possessori di un bene,come spesso nel caso di Rockerduck, sono tutti elementi solitamente riferiti all'estro di questo autore cui si arriva al più ad attribuire un'eccessiva dose di cinismo e di disincanto anche nei confronti di personaggi fantastici. Mi chiedo se non si insinui anche un'ulteriore azione fortemente critica nei confronti del capitalismo, rappresentato nel suo meccanismo di sopruso e soperchieria nei confronti dell'altro, in extrema ratio addirittura esemplificato dalla dittatura sui propri nipoti. L'ambiente culturale, e ancor più pedagogico, dei decenni in cui si trova a operare il professore, non è certo alieno da visioni ideologiche che impregnano di una lettura blandamente marxista il progredire storico, e, pur non volendo attribuire alcun fine coercitivo alle storie disneiane dell'epoca, mi chiedo se in una visione tanto estremizzata del Paperone originalmente barksiano, oltre a tutto il multiforme spettro di affettività e profondità cui ci ha reso avvezzi Martina, non ci sia anche una profonda critica alla direzione intrapresa dal capitalismo occidentale.