Cioè, vorrei capire come si potesse non solo partorire storie che non hanno alcun senso logico, ma anche arrivare a pubblicarle su di una testata di punta tra quelle allora in commercio... era insomma un genio incompreso? un folle? un seguace della New Age? Un raccomandato?
Pf, io questa domanda me la pongo persino per Guido Martina, che a confronto di Fanton era Will Eisner. Provo a ipotizzare qualche elemento di risposta.
Secondo me i '60 e i '70 erano tempi in cui:
1) Il fruitore medio di Topolino non era esigente sulla qualità fumettistica delle storie. Di sicuro non come adesso. E se pure ce n'erano di lettori esigenti, erano gocce nel mare magnum di lettori grandi e piccoli che consideravano Topolino lettura da barbiere o da cesso (sia detto con il dovuto rispetto per chi ama leggere sul water, ben inteso). Vedi a questo proposito il punto seguente.
2) la Mondadori non aveva bisogno di conquistare lettori. Ne aveva
fin troppi. A riprova di questo fatto, mi sa che la tiratura del Topo non diminuiva mica negli anni in cui la qualità delle storie peggiorava. E di anni, anzi decenni, brutti temo ce ne siano stati tanti (paradossalmente la diminuzione dei lettori si ha a partire dagli anni '90 in poi, quando è arrivata a lavorare su Topolino, PK, etc., gente fumettisticamente con i controcoglioni).
3) In ogni caso, la Mondadori non aveva una fila di aspiranti autori alle porte da cui far selezione, come avviene adesso. Oggi anche solo per mostrare a uno della redazione del Topo mezza tavola da te sceneggiata o mezzo schizzo da te disegnato devi vendere tua madre al demonio. Mentre se ricordo bene nell'intervista al papersera Marconi ricordava quanto fosse difficile negli anni '80 trovare gente (seria) che volesse scrivere per loro. Oggi Rodolfo Cimino avrebbe difficoltà a farsi prendere a lavorare al Topolino.
Se tieni conto di questi tre parametri (ok, li ho messi giù in maniera un po' esagerata, ma ci siamo capiti), si spiega come mai per anni al Topo abbia lavorato anche gente non di alto profilo tecnico.
La cosa vale anche fuori dall'Italia. Che alla Western/Dell sia capitato a lavorare un fottuto genio come Barks (che poi genio del fumetto lo è diventato progressivamente, nessuno "nasce imparato") è un puro caso. Lo stesso dicasi per grandi mestieranti come Scarpa, Chendi, Cimino.
Per me il punto chiave è il seguente. Il fatto che uno sceneggiatore di fumetti debba dignitosamente conoscere il linguaggio fumettistico
anche quando lavora in un fumetto mainstream prodotto industrialmente (Disney, Marvel, DC,...) è un'idea relativamente
recente. E meno male che finalmente l'idea si è radicata!
È questo che credo intendesse il sempre lungimirante Faraci quando, qualche tempo fa su twitter, si lamentava dei "
trentenni che rimpiangono gli anni '60" (parlando di lettori Disney...parlava di molti di voi insomma...). La libertà che aveva Martina nel prendere in giro la società italiana o nel citare Torquato Tasso non la scambierei
mai e poi mai con la capacità f
umettisticamente superiore di gente come Casty e Radice (ma anche di un onesto Gagnor per capirci).
Il che non vuol dire che il fumetto italiano sia meglio oggi che negli anni '70. In fin dei conti Hugo Pratt non ce l'abbiamo più. Ma Hugo Pratt non lavorava per Topolino negli anni '70. Ci lavorava Fanton.
venivano scritte e disegnate in un ambito dove la libertà creativa era sicuramente maggiore.
Ma la libertà creativa era accompagnata da una libertà nell'uso del linguaggio fumettistico che rende oggi gran parte du quelle storie
vecchie, ai limiti dell'illeggibile (a parte forse per i "
trentenni che rimpiangono gli anni '60"
). È un fatto di equilibri.