Sciagurati e malefici impegni mi impediranno, domani, di potervi vedere in faccia per la prima volta e di partecipare alla cena in compagnia di De Vita, a Milano. E il mio cuore piange. Ma da quando mi sono iscritto attendevo l’occasione buona per dedicare un po’ di tempo alla stesura di una piccola recensione da dedicare alla Spada di Ghiaccio e al Maestro De Vita, così da spiegare, tra le altre cose, anche il mio attaccamento alla Trilogia e al mio nick. L’occasione si è presentata e, anche se il Maestro non leggerà mai le mie righe e non potrò conoscerlo, domani, non posso non afferrarla al volo. È un breve lavoro che vuole essere, più che un’analisi razionale, un commento spassionato e una dichiarazione d’amore verso un’opera che per me ha significato così tanto.
Trilogia della Spada di Ghiaccio
Immergerti in un mondo fantastico e sconfinato, in terre magiche e lontane, in un sogno occhi aperti in una dimensione fantasy incredibilmente mitica, un sogno che vorresti non finisse mai; farti respirare un permanente senso di epicità e di poesia, rapiti da un’atmosfera da sogno e da un’ambientazione magica, coinvolti dalle vicende entusiasmanti e colpiti dall’unicità dei personaggi, siano questi i protagonisti o le comparse; lasciarti a bocca aperta davanti alla meraviglia che hai di fronte, alla gioia per gli occhi che è questa storia, in ogni più minuscolo dettaglio, in ogni più infimo particolare curato con eccezionale maestria e attenzione, ognuno dei quali contribuisce a darle vita, a trasportarti dentro di essa, a trascinarti con il suo turbolento vortice di emozioni e magia, a spingerti a metterti lo zaino in spalla e partire con Topolino, Pippo e i loro amici in terre fantastiche e lontane, in terre da sogno, a non pensare a niente se non a goderti la più magica delle avventure; farti ridere e farti commuovere, e, all’occorrenza, farti pensare e riflettere; farti toccare con mano la passione e la dedizione di uno dei più grandi maestri dell’universo Disney, Massimo de Vita, che con questa trilogia firma quello che è per me il suo capolavoro più grande. Di tutto questo e molto di più è capace la Spada di ghiaccio, la più incredibile e mitica avventura di stampo fantastico mai concepita in casa Disney.
Sì, non si può parlare che di capolavoro quando l’opera di cui si discute è la Spada di ghiaccio. Capolavoro di De Vita, capolavoro del fumetto Disney: diciamocelo, capolavoro del fumetto. Quando un appassionato pensa al fantasy made in Disney, non può non venirgli subito alla mente questa avventura, questa inarrivabilmente affascinante epopea del fumetto, la cui lettura non dovrebbe mancare non solo ad ogni buon appassionato Disney, ma anche a quelli che, come me, si sciolgono davanti alla letteratura fantastica, e, in particolar modo, a quel filone del romanzo fantasy che vede in Tolkien il suo massimo esponente. Insomma, non sono poche le storie di stampo fantasy che hanno visto paperi e topi come protagonisti, ma è impossibile trovarne il picco di massima espressione in una che non sia questa, impossibile e impensabile.
Quello che questa storia ha significato per me, è molto difficile da spiegare a parole: le decine di riletture e le emozioni incredibili che mi ha donato ogni singola volta, la capacità di non risultarmi mai ripetitiva, ma sempre coinvolgente e appassionante, di avere lo stesso inconfondibile e irresistibile sapore in ogni sua tavola e lo stesso fascino in ogni vignetta. Sono indissolubilmente legato ad essa da quando ero molto molto piccolo, da quando ne affrontai per la prima volta la lettura, da quando me ne innamorai così follemente, sino a ricordare, ancora oggi, quel momento come se fosse ieri, e di come contribuì a farmi innamorare tanto al fumetto Disney quanto alla narrativa fantasy, fino a farmi diventare quello che sono oggi. A tutte le storie che hanno caratterizzato la mia infanzia è riservato un posto speciale nel mio cuore, un posto che me le fa guardare con un occhio diverso, carico di nostalgia e affetto, di pensieri e di ricordi. Figuriamoci una così, che tanto è stata determinante nell’avvicinarmi a quelle che tuttora sono le mie passioni più grandi, e a crescermi accanto a loro.
Non è un caso, infatti, il fatto che abbia preso in prestito il mio nick da uno dei personaggi principali della storia, da uno di quei personaggi a cui è così facile affezionarsi, uno di quei personaggi, che sia esso di un libro, di un fumetto, o di qualsiasi altra cosa, che crescendo ti porti sempre con te, a cui riservi un posto speciale perché, anno dopo anno, ti si è così avvicinato da volergli bene come ad un amico o a un parente. Gunni è uno di quei personaggi che non è facile dimenticare, uno di quelli che, pur non avendo un ruolo da assoluti protagonisti in più storie, restano sempre impressi, per il fascino che esercitano, immancabilmente, sul lettore. Inevitabile ragione di tutto questo è la capacità dell’autore di caratterizzare al meglio i suoi personaggi, di renderli affascinanti, in modo che, dopo centinaia di riletture, non smettano di rapirti e trascinarti nel loro mondo fantastico. In parole povere, potremmo definirlo come un cogliere al meglio il vero ruolo che un dato personaggio deve avere in certe situazioni, coglierne la “disneyanità” e riuscire a farla cogliere ai lettori. Spesso succede di afferrare un concetto, ma di non riuscire a trovare le parole per spiegarlo agli altri, abilità di fondamentale importanza per chiunque, tanto più per chi, come un autore di fumetti, deve riuscire a trasmettere le proprie emozioni e impressioni attraverso i personaggi, e ad arrivare a capirli e conoscerli fino a parlare attraverso essi e analizzarne sentimenti e riflessioni. Non è una cosa semplice , ma allo stesso tempo è ciò che, unito alla passione e alla dedizione, rende grandi opere come la Trilogia della Spada di Ghiaccio.
Infatti, la caratterizzazione dei personaggi, il loro approcciarsi ad un mondo così nuovo ed originale, così diverso e rivoluzionario rispetto a quanto avevamo visto sinora, alle genti che lo popolano, dagli eroi più fieri e giusti agli antagonisti più malvagi e crudeli, è senza il benché minimo dubbio uno dei principali punti di forza della trama. Quello a cui mi riferisco principalmente è per forza di cose il personaggio di Pippo. Personaggio che spesso viene relegato al suo originale ruolo di spalla, utilizzato in modo inefficacie e ripetitivo, senza sperimentare quell’immenso potenziale, quella miniera di spunti e idee che può essere se utilizzato sapientemente e posto al centro delle vicende e dell’attenzione del lettore, come possa subito farsi amare e fare fuoco e fiamme, sprigionando le inesauribili risorse dentro di lui. Quello che De Vita presenta nella Trilogia è un tanto splendido quanto lampante esempio dell’uso migliore che si può fare del personaggio di Pippo, qui presentato in tutta la sua potenza d’impeto, in tutte le sue infinite, meravigliose e intricate sfaccettature, in tutta la sua ingenuità geniale che tanto lo ha caratterizzato in passato e a cui tanto mi sono affezionato, anno dopo anno.
Ma è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero fare al riguardo, che sono tanti quanti i personaggi che compaiono. Ognuno di essi ha una propria vita, una propria esistenza, un proprio mondo, ognuno è mosso da motivazioni serie e realistiche, ognuno è coerente, nel proprio essere, dalla prima all’ultima vignetta, ognuno contribuisce a tenerci incollati alla storia fino al fatidico, inevitabile spuntare della parola fine, nell’ultima vignetta. E così ci vengono presentati decine di personaggi, uno dopo l’altro, in questo incredibile susseguirsi di vicende, ma senza che ognuno di essi perda per questo la sua credibilità o che il suo potenziale resti inespresso, per quanto contenuto possa essere lo spazio che gli viene dedicato: dal primo all’ultimo, dai protagonisti alle comparse più brevi, dai buoni ai cattivi, la loro caratterizzazione, la loro personalità ci viene in ogni caso mostrata al massimo della propria potenzialità, così che ognuno di essi rimanga impresso al lettore per le proprie caratteristiche e peculiarità, e non sminuito o ridotto a macchietta, indipendentemente da quanto rilevante possa essere il suo peso nello svolgersi dell’avventura. Sono davvero decine i protagonisti e i comprimari, buoni e cattivi, che sfilano davanti a noi con il passare delle pagine, da Yor al Principe delle nebbie, da Boz alla Regina dello Hel , da Gunni a Gundar, senza dimenticare Topolino e Pippo, ma almeno altrettante sono le comparse che rendono la storia ricca e straripante di dettagli, e ogni tavola magica e affascinante e degna di essere vissuta e assaporata con tutta l’attenzione possibile.
Vogliamo poi andare a considerare l’atmosfera? Beh, quella che si respira pagina dopo pagina è una delle più suggestive e affascinanti che io abbia mai incontrato in una storia Disney. Tema ricorrente delle tre avventure è il Natale, che funge da filo conduttore e da elemento caratteristico delle vicende. Il Natale ha sempre avuto un significato particolare, di magia e di gioia: c’è chi ne resta indifferente, e chi invece ne resta sempre, inevitabilmente coinvolto. Nonostante tutto, il Natale ha avuto un ruolo sempre significativo nelle storie Disney, anno dopo anno, è sempre protagonista di qualche avventura, più o meno emozionante, più o meno divertente, più o meno appassionante. Ma quasi sempre presente, nei Topolini del periodo finale dell’anno. Hanno sempre avuto un significato particolare, queste storie, una magia alla quale pochi possono resistere, inevitabilmente attratti da quello che questa festa ha significato per loro, nel corso degli anni, contagiati dalla sua atmosfera e dal suo senso di festa, dai ricordi e dalle emozioni passate. La tradizione di queste storie è lunghissima, costellata di capolavori e incredibili imprese, ma anche di delusioni e storielle banali. Non è certo il caso di queste storie, che, come da tradizione, vengono pubblicate nella parte finale del mese di dicembre degli anni 1982, 1983, 1984.
Al di là di questo, tutta la storia veleggia in un che di magico e misterioso, affascinante e poetico: non puoi non rimanere subito catturato da queste tavole così incredibilmente fantastiche, dalla loro magia, dalle loro emozioni. Sono momenti incredibili quelli che hanno caratterizzato la mia prima lettura di queste storie: ero bambino, quella volta, ma nonostante questo non mancai di cogliere tutto ciò, inconsciamente, di rimanerne affascinato e rapito, entusiasta e così incredibilmente attratto da una storia Disney come, sono sicuro, non mi era mai capitato. C’è tanta magia tra queste pagine. Tanta poesia e tanti sentimenti. Tante emozioni. Emozioni che puoi arrivare a toccare con mano, che puoi sentirti scorrere dentro e farti prendere il volo, prima di renderti conto di essere ancora seduto spaparanzato sul divano di casa, prima di renderti conto che non era nient’altro che uno splendido sogno.
Sono convinto che definire un sogno queste storie possa non essere poi una grande esagerazione. Come definire altrimenti quel qualcosa che riesce a trasportarti in un mondo magico fantastico, che riesce a farti provare emozioni e sentimenti intensissimi? Come spiegare quella poesia sussurrata dolcemente a un orecchio che ti fa evadere dalla realtà per entrare direttamente in contatto con un mondo così unico e bello? Io li ho sempre chiamati sogni.
Altra sensazione che il lettore non può fare a meno di cogliere in queste storie è il senso di epicità che le permea. Quello stesso senso di epicità che, nel passato del fantasy, ha reso grandi opere come il Signore degli Anelli di Tolkien. Quel senso di epicità che tanti autori del genere ricercano, ma che in pochi riescono veramente a trasmettere. Quel senso di epicità cosi difficile da ricreare in un fumetto che può, forse, fare la differenza.. Col suo Signore degli Anelli, Tolkien è riuscito a creare quello che oggi è unanimemente considerato il vero capostipite del romanzo fantasy moderno, grazie principalmente a questa caratteristica: alla capacità di farti toccare con mano gli usi e i costumi, le tradizioni di popoli e razze, la capacità di immergerti in un mondo complesso e ricco di dettagli e di farti respirare questa sensazione indescrivibile di epico, intorno ai suoi personaggi e alle loro avventure, alle loro battaglie e alle loro passioni, facendoti intravedere spesso e volentieri tracce del quotidiano, aldilà della vicenda vera e propria. Epicità sì, dunque, ma anche complessità di un mondo con infinite particolarità e caratteristiche, originale e allo stesso tempo ricco di tradizione.
Quanto possa essere difficile riportare sensazioni e pensieri del genere in un fumetto con un numero di tavole disegnate non poi così esorbitante, anche solo in piccolissima parte? Non sono certo io a poter dare una risposta. Quello che posso dire è che, in rapporto allo spazio a disposizione, De Vita è riuscito a rappresentare tutto questo in un modo fantastico e fuori dal comune, a lasciarci a bocca aperta e con fiato sospeso, a rapirci ed emozionarci, a sbalordirci, e anche un po’ a far rivivere situazioni e sentimenti che non vedevamo da tempo. Il territorio che tratteggia nella sua Trilogia, da foreste a laghi, da paludi a montagne, è sconfinato e immenso; le popolazioni numerose e originali, ognuna con le sue peculiarità e le sue caratteristiche, le sue usanze e i suoi costumi: penso ai Bedi e agli Uli, agli elfi e ai giganti, e a tutte le infinità di razze raffigurate dal Maestro, ognuna delle quali diversa dalle altre e originale, unica; le città, le abitazioni, i castelli, ognuno di essi ha una propria vita e una propria credibilità, ognuno è caratterizzato da qualcosa, niente è lasciato al caso.
Tutto questo contribuisce a creare la più suggestiva e magica ambientazione di stampo fantasy mai ricreata in una storia Disney. Storie con numerosi buonissimi esponenti, beninteso, ma che toccano con questa un traguardo, una punta di diamante con la quale nessunissima di tutte queste regge il confronto, per quanto alto possa essere il suo livello.
Ma, con ogni probabilità, non sono ancora andato a toccare approfonditamente quello che in molti considerano il principale, o uno dei principali, punti a favore della storia. Parlo, naturalmente, dei disegni. Disegni nei quali un Maestro De Vita al top mette tutto sé stesso, andando a toccare, davvero, la perfezione: i suoi personaggi sembrano prendere vita dalle sue matite, uscire dalle vignette per trascinarti con loro nell’impresa e farti vivere quelle fantastiche emozioni che la storia contiene; i loro abiti sono dettagliati, le espressioni perfette, caricaturali quando vogliono esserlo, altrimenti disperate o serene, ammaliate o arrabbiate, ma sempre così adatte all’occasione da sembrare paradossalmente reali; i paesaggi sono di vignetta in vignetta più ricchi e dettagliati, più realistici e magici come tanti piccoli quadri. In generale, in ogni singola vignetta possiamo assistere a una ricercatezza del dettaglio, a una cura dei particolari così sorprendente e allo stesso tempo così difficile da trovare, al giorno d’oggi.
Nel corso delle tre storie vengono anche messe in evidenza e analizzate alcune tematiche di grande importanza, ma è stata sicuramente una quella che ho subito sentito più vicina, quella che per me ha sempre assunto un significato di grande, grandissima importanza e un valore molto speciale. Mi riferisco in particolare alla seconda storia della Trilogia, Topolino e il Torneo dell'Argaar, e alla più che evidente tematica che ne emerge: la nostalgia per il passato e ciò che si è perduto con esso, il valore delle tradizioni. Ad argomentazioni del genere sono sempre stato alquanto sensibile e il modo in cui la storia le tratta mi ha commosso ogni volta: la forza d’impatto di un finale così spiazzante e solitamente estraneo alle storie Disney, la tenerezza che suscita, la lacrimuccia che inevitabilmente ti bagna gli occhi non possono lasciare indifferenti. La nostalgia e le tradizioni hanno sempre avuto per me un significato molto forte, sin da bambino, prima, e crescendo me ne rendo conto sempre di più, mi sento sempre più preso da pensieri e riflessioni come questi, che stanno entrando sempre più a far parte della mia vita.
Concludendo, non posso non ricordare ancora una volta quanto questa storia abbia significato per me, quanto abbia lasciato un segno indelebile nel mio passato, nella mia infanzia, quanto sia stata importante nel far nascere in me le passioni che più mi caratterizzano, nel farmi avvicinare a un mondo che ora non manca mai di regalarmi una risata, di farmi emozionare e riflettere, di farmi star bene, di farmi sognare e di farmi sempre andare in giro con un sorriso stampato sulle labbra.
_Gunni Helm