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La banda dei brocchi, di Jonathan Coe.
Siamo nel pieno degli anni settanta nel regno unito, a Birmingham (città natale dell’autore), tra la situazione politica instabile, i movimenti dei sindacati dei lavoratori, i continui scioperi e manifestazioni antirazziste con le conseguenti dure repressioni da parte delle forze dell’ordine, e i continui attentati dell’IRA.
In questo pesante clima di tensione Coe racconta le storie intrecciate di quattro ragazzi: Benjamin, Doug , Sean, e Philip, tutti compagni di studi nella prestigiosa King Edward’s School, un liceo definito più volte nel libro “da damerini”, dove pare che anche i figli delle classi meno abbienti come i protagonisti possano usufruire dell’opportunità di frequentare il prestigioso istituto, grazie a delle borse di studio.
In realtà la situazione all’interno del King Edward è ben diversa, la presunta integrazione razziale è pressoché inesistente, tanto che l’unico studente di colore (dagli impeccabili risultati scolastici e sportivi) troverà sul suo percorso fior fior di boicottaggi che ne mineranno la possibilità di diplomarsi.
Sono anche i tempi delle grandi rivoluzioni musicali che svolgono una parte importantissima nella vita di questi ragazzi, nell’avvento del punk (Doug in un viaggio a Londra assisterà a un concerto dei Clash) che soppianta le produzioni musicali dei movimenti precedenti (del progressive), che avevano raggiunto vette di incredibili barocchismi in brani che nella maggior parte dei casi superavano i quindici minuti di durata e che animavano le discussioni di questi studenti appassionati di Tolkien e bramosi di sfondare con le loro band nel mondo musicale.
La musica vive nei sogni di questi giovani dai grandi turbamenti interiori che vanno dalla scoperta delle prime esperienze sessuali alle creazioni letterarie e musicali di Benjamin e Philip, fino alle incertezze per il loro futuro e la consapevolezza di frequentare una scuola che li indirizza verso un mondo lavorativo che forse non gli appartiene.
L’ultimo capitolo del libro è un lungo flusso di coscienza che esplora i pensieri e le emozioni di Benjamin in un fiume di parole che tira un po’ le somme delle esperienze e delle forti emozioni di cui è stato protagonista negli ultimi anni, che si possono definire una specie di romanzo di formazione molto tribolato, un viaggio molto interessante e coinvolgente all’interno degli anni settanta, che Coe definisce anni completamente “marroni”, per il clima di asfissia che si respirava e per le effettive tonalità dominanti nella vita di tutti i giorni, che vanno dalle atmosfere fumose dei pub, ai colori delle carrozzerie delle auto, fino alle immagini sbiadite degli unici tre canali della televisione.
Letto in edizione Feltrinelli con copertina brutterrima, che non ha nulla a che spartire con quella della foto.