Recensione I Grandi Classici Disney 90 Il numero di giugno de
I Grandi Classici Disney riconferma
una struttura che si ripete ormai da qualche mese e che sembra quindi essere figlia di una precisa scelta di Lidia Cannatella e Pier Luigi Gaspa: tre sole storie – per quanto articolate – ad occupare la prima parte dell’albo per lasciare la corposa seconda metà alla sezione Superstar.
Un assestamento evidentemente dovuto al
progressivo depennamento delle brevi storielle americane che fino a un anno fa costellavano il sommario e che ora trovano invece dimora su
Almanacco Topolino.
A fare gli onori di casa del novantesimo numero è Mickey Mouse, protagonista di tutte e tre le avventure iniziali.
Topolino e le leggende metropolitane di
Claudia Salvatori e
Silvio Camboni è la più recente del lotto (1996) ma è anche
la più interessante: un programma radiofonico convince Tip e Tap che nel sottosuolo di Topolinia si celerebbe un gigantesco coccodrillo, al punto da spingerli in una missione notturna per stanarlo.
Lo spunto è semplice ma proprio per questo funziona, perché sufficiente a dare il via a una storia che si fonda sulle atmosfere notturne della città, con lo strambo popolo che la frequenta e nel quale incappano Topolino e Pippo alla ricerca dei nipotini.
Le matite e le chine di Camboni sono perfette per rendere questi scenari, con le sue ombre ben calibrate e lo skyline della metropoli a fare da suggestivo sfondo.
Topolino e l’evaso al limone e
Topolino e l’erede musicofilo, entrambe firmate da
Guido Martina ed entrambe uscite nel 1969, risultano meno originali adagiandosi su alcuni stilemi classici delle sceneggiature gialle del Professore, in particolare
un meccanismo ad equivoci, la dabbenaggine di Pippo e un Topolino piuttosto saccente e dai toni fin troppo sbrigativi nei confronti dell’amico.
Uno degli strani frequentatori della notte incontrati da Topolino e Pippo in Topolino e le leggende metropolitane
Le due indagini si fanno leggere, ma non colpiscono particolarmente scorrendo in maniera abbastanza anonima; i disegni di
Giulio Chierchini nel primo caso e di
Luciano Capitanio nel secondo impreziosiscono però le storie, con un tratto raffinato, pulito, elegante e piacevolmente rilassante in ambedue i casi.
La sezione Superstar si concentra su Archimede Pitagorico, con
una selezione di stampo aleatorio che spazia dagli anni Sessanta ai Novanta del secolo scorso rimanendo nell’ambito della produzione italiana (e tagliando così drammaticamente qualsiasi testimonianza barksiana sul geniale inventore).
Il livello qualitativo è altalenante, ma nessuna delle cinque storie presenti spicca particolarmente, complice anche
l’annosa difficoltà nostrana nel realizzare trame interessanti con Archimede protagonista, che sostanzialmente ruotano attorno a crisi di idee o alla scarsa attitudine nella gestione pratica-economica della propria attività.
È il caso di
Archimede e il senso degli affari di
Bruno Concina e di un giovanissimo e irriconoscibile
Paolo Mottura, che nasce da un’idea simpatica ma che si evolve in maniera prevedibile da una parte e sconclusionata dall’altra, per via di
un finale che rimane un po’ appeso. Mottura mostra un tratto ancora molto acerbo, che risulta quasi intrigante in alcuni passaggi proprio in virtù dell’inesperienza ma che è ben lungi dalla perizia che padroneggerà qualche anno più tardi.
Archimede e la crisi inventiva tocca invece l’altro tema di cui si diceva:
Nino Russo ricorre a una soluzione onirica per spiegare la nascita delle idee ma è una scelta che non convince appieno, mentre
Alessandro Perina ai disegni – anch’egli a inizio carriera – offre un buon lavoro, pur senza guizzi.
Zio Paperone e la macchina dei desideri di
Osvaldo Pavese e
Massimo De Vita è forse
la storia migliore della sezione, perché pur ricorrendo a uno schema narrativo molto classico riesce a intrattenere con una scrittura solida e uno sviluppo riuscito. Il problema, semmai, è che
in questo caso Archimede è più un comprimario che il protagonista: dà il via alla narrazione grazie alla sua invenzione, ma di lì in poi sono i Bassotti e Zio Paperone e portare avanti la storia, a ulteriore dimostrazione di come nelle avventure italiane gli sceneggiatori davano il meglio con il personaggio quando lo utilizzavano nel suo ruolo “ancillare”.
Gli ostinati tentativi di Paperino di superare Archimede nel suo campo in Paperino e la sfida all’inventore[/size][/i]
Il buon Archi rimane sullo sfondo anche in
Paperino e la sfida all’inventore di
Carlo Chendi e
Giuseppe Perego: il mattatore è Donald Duck che, in un tipico eccesso di superbia, vuole riacquistare l’attenzione e il rispetto di Qui, Quo e Qua dimostrando di saper essere brillante quanto il Pitagorico.
La sceneggiatura è briosa e ben ritmata, per di più graziata da un finale inaspettato e altrettanto divertente, ma ci fornisce più un’analisi di Paperino che dell’amico inventore.
Archimede Pitagorico e il superguanto di
Osvaldo Pavese e
Giulio Cherchini è forse
la scelta più centrata dato il tema: come in
La macchina dei desideri, anche in questo caso al centro della vicenda troviamo un’invenzione del personaggio, ma il biondo gallinaceo ha una parte più attiva nel risolvere il problema causato dalla sua creazione. Si unisce così la classica rincorsa paperoniana per riprendere l’oro derubato dai Bassotti con un’attenzione maggiore rivolta ad Archimede, che non a caso figura già nel titolo.
Anche in questo caso i disegni di Chierchini si dimostrano funzionali ad illustrare la vicenda, con un tratto piacevolmente retrò.
Voto del recensore:
2.5/5Per accedere alla pagina originale della recensione e mettere il tuo voto:
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