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Post - Manuel Crispo

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Topolino / Re:Topolino 3480
« il: Domenica 7 Ago 2022, 13:25:18 »
E in riferimento a quest'ultimo, lo si capisce compiutamente nella storia se esista davvero, come ha fatto il suo negozio ad apparire e sparire dal nulla?

Che domande, è semplicemente tornato nella sua dimensione.

http://dylandogsworld.blogspot.com/2012/11/hamlin.html
Non leggo Dylan Dog, non sapevo che il Dottore in questione fosse ispirato ad un personaggio di quell'universo narrativo e di ciò non me ne può importare di meno.
È chiedere troppo avere dei ragguagli sulla natura di un personaggio nella storia in cui viene presentato per la prima volta, senza lasciare in sospeso la cosa che forse verrà ripresa solo in una storia successiva?
Al netto di tutto rimangono dei punti aperti in questa storia che non sono stati chiariti e faccio fatica ad apprezzare l'idea di una storia che, giunta al suo epilogo, non ha saputo rispondere alle domande e ai dubbi che essa stessa aveva aperto e sollevato nelle puntate precedenti, soprattutto nella prima.

Che posso dirti, evidentemente gli autori hanno inteso lavorare in altra maniera.

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Topolino / Re:Topolino 3480
« il: Domenica 7 Ago 2022, 12:47:55 »
E in riferimento a quest'ultimo, lo si capisce compiutamente nella storia se esista davvero, come ha fatto il suo negozio ad apparire e sparire dal nulla?

Che domande, è semplicemente tornato nella sua dimensione.

http://dylandogsworld.blogspot.com/2012/11/hamlin.html

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Topolino / Re:Topolino 3476
« il: Martedì 12 Lug 2022, 17:33:54 »
Nella sua recensione Manuel scrive che i luoghi reali non vengono citati sul libretto: forse in questa particolare serie e magari per iniziativa dello stesso Zironi (i cui disegni mi convincono più dei soggetti). Nel caso particolare nominare la località poteva sembrare uno spot per il turismo in  Sardegna (vista la stagione) ma in realtà ci sono sempre stati casi innumerevoli di località reali sparse nel mondo e raggiunte da paperi e topi.

Certo, lo so. A un certo punto citare luoghi reali era diventato un vero e proprio tratto distintivo di alcune serie, come DoubleDuck - da cui la mia sorpresa. Cosa è cambiato? Ora, non mi assumo meriti che non ho: sono stato in Sardegna a giugno per cui mi è stato semplice identificare il luogo. C'è da dire che se googli "golfo della luna" il primo risultato che ti esce è proprio Cala Luna. Quindi insomma, non proprio difficile arrivarci.
Per quanto riguarda lo spot, beh, non vedo il problema. In Italia abbiamo luoghi meravigliosi che non tutti conoscono, che male ci sarebbe a farvi un po' di pubblicità?
Non sto dicendo che ogni storia di Topolino debba essere ambientata in un luogo reale e "farvi pubblicità", è che in questo caso specifico poteva essere una buona idea.

19
Topolino / Topolino 3476
« il: Lunedì 11 Lug 2022, 12:00:37 »
Recensione Topolino 3476


 È la fine degli anni Novanta. In TV danno Friends. Su Topolino ci sono Bruno Enna e Francesco Guerrini. Va tutto bene.

 Meme a parte, risulta davvero impossibile non rilevare il sapore “antico” di questo numero 3467, a partire dal primo episodio della storia lunga intitolata Megaricchi che ci accompagnerà per altre tre settimane. Dopo le interessanti Paperino Paperotto e il volo dell’albatro e Amelia e le 7 streghe vulcaniche, Enna sembra tornato stabilmente sulle pagine di Topolino, cosa della quale sono molto felice. Sarà anche il titolo (davvero poco accattivante) ma non avrei sperato di trovarmi di fronte a una storia così frizzante e, al contempo, dal sapore così classico.

 Enna mette in campo tutta la propria esperienza portando in scena personaggi che sono ormai iscritti nel suo DNA di sceneggiatore: tutto il variopinto cast dei Paperi si muove con estrema naturalezza, le loro interazioni sono credibili e tutto scorre liscio (anche grazie ai disegni del bravo Alessandro Perina, uno dei miei artisti preferiti tra quelli attualmente in forza al Topo) con tanto di tipico inseguimento finale.

 Unica nota stonata, al momento, il personaggio di Red Duckan, di cui da tempo sento parlare gran bene. La frase che sento ripetere più spesso è: “Ha un ottimo potenziale”. Riuscirà Bruno Enna a tirare fuori il potenziale di questo personaggio che, giunto alla propria settima apparizione, ha ancora tutto da dimostrare? Se ho compreso la macrostruttura che Enna ha voluto imporre a questa storia, mi aspetto un focus su di lui nel terzo episodio; spero che l’autore sardo riesca a fare di lui qualcosa di più interessante di un banale McGuffin.

 
A parte il suo passato di batterista dei Pooh

A seguire, un altro gradito ritorno: Giuseppe Zironi con il suo Topolino giramondo. Topolino e la sabbia di luna inizia in medias res, presentandoci un Topolino legato e imprigionato in un luogo buio, insomma in guai seri; stavolta si troverà a fronteggiare una banda di ladri di sabbia, che riuscirà a sconfiggere grazie all’aiuto delle vulcaniche sorelle Norma e Ester.

 Al di là della storia in sé, molto divertente, mi sono ritrovato a vestire i panni del giornalista investigativo per cercare di determinare dove esattamente si trovassero Topolino e le sue amiche. Perché sì, per quanto possa sembrare strano, dall’inizio alla fine della storia non viene mai nominato alcun luogo a eccezione del Golfo di Luna, sulle cui coste selvagge e incontaminate si svolge tutta l’azione.

 Zironi, evidentemente intenzionato a stuzzicare la curiosità del lettore, sparge indizi qui e là: il mare di smeraldo, la sabbia candida, il legno di olivastro (ovvero l’olivo selvatico, tipico della vegetazione costiera del Sud Italia). A meno che non mi sbagli di grosso, ci troviamo in Sardegna, e precisamente a Cala Luna, dove Lina Wertmüller girò il suo celebre Travolti da un insolito destino. Luogo meraviglioso e unico al mondo.

 Il fatto che non l’isola non sia citata in alcun modo mi è parso curioso e anche controproducente: apparire in maniera esplicita sulle pagine del settimanale a fumetti più famoso d’Italia avrebbe portato molti abitanti di Dorgali, Baunei e della Sardegna tutta ad accaparrarsi questo numero. Suppongo che, anche se non sono in grado di comprenderne il motivo, esista una sorta di impedimento al citare località esistenti su Topolino. A questa ennesima stranezza, come alle numerose altre, tocca probabilmente rassegnarsi.

 
Nemmeno un nuraghe all’orizzonte

 Anche la storia seguente, una breve “quasi muta” dedicata al personaggio del Gran Mogol, nonostante dalle premesse potesse sembrare abbastanza trascurabile, risulta simpatica grazie al capovolgimento finale. Un plauso a Davide Aicardi e a Giulia Lomurno per essere riusciti a dare un po’ di luce a un non-personaggio come il leader delle Giovani Marmotte.

 Segue la classica Paperino cercatesori fai-da-te di Pier Giuseppe Giunta e del già citato Francesco Guerrini. Potrebbe sembrare una caccia al tesoro come ne abbiamo lette tante, ma riesce a spiccare grazie all’inedita coppia di protagonisti: Paperino e Paperina. Un soggetto semplice, nobilitato dai meravigliosi disegni di Guerrini, che è sempre un piacere ritrovare sulle pagine di Topolino.

 Sul terzo episodio di Foglie rosse: Un lungo inverno non ho molto da dire non avendo mai amato la serie, al punto che ho difficoltà a ricordare gli eventi delle precedenti storie. La trama sembrerebbe un campionario di luoghi comuni di un certo tipo di cinema e di serialità televisiva, con tanto di frasi a effetto che recuperano la struttura sintattica americana. Ci sono gli alieni buoni, gli alieni cattivi, gli uomini del governo, chitarre usate come armi, robot dalle fattezze retrò e, mi sembra, davvero poco altro.

 Claudio Sciarrone recupera la gabbia a vignette lunghe orizzontali che era tra i suoi marchi di fabbrica ai tempi di PK2 ma senza affollare troppo le tavole, con un effetto molto migliore rispetto all’antecedente del 2001. Il colore a volte funziona, altre volte decisamente no. Si tratta senz’altro di un esperimento interessante, ma forse un po’ fine a sé stesso.

 Chiude l’albo in bellezza la tavola autoconclusiva di Enrico Faccini appartenente alla serie Stile da vendere, nella quale l’autore ligure parafrasa a metrica libera nientemeno che il celeberrimo e violentissimo sonetto S’i’ fosse foco di Cecco Angiolieri. Al netto di un Faccini evidentemente a risparmio energetico (ci sono quattro vignette identiche) mi ha divertito moltissimo, al punto da farmi sperare che l’autore citi più spesso opere letterarie nelle sue brevi, come già ha fatto a suo tempo con L’uomo di neve di Hans Christian Andersen.



Voto del recensore: 4/5
Per accedere alla pagina originale della recensione e mettere il tuo voto:
https://www.papersera.net/wp/2022/07/11/topolino-3476/


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Recensione PK Giant 59 Double Special Edition - Pikappa Le Miniserie


Cover dell’ultimo incompleto numero di Pk Giant.

 Nonostante io sia un pker della primissima ora, non ho mai seguito con assiduità PK Giant. Non tanto perché ormai possiedo la saga originaria di Pkna e Pk2 in tutte le salse (dove c’è spazio per dieci, ce n’è anche per undici), quanto per il semplice motivo che la sua veste editoriale non mi ha mai convinto. Uno spillato dalle pagine molto ampie – poco meno di trenta centimetri in altezza – in carta sottile, volumetti ingombranti di non semplice collocazione in libreria e, al tempo stesso, fragili. A volte in fumetteria puoi trovarli già strappati, il che da un certo punto di vista è anche un bel risparmio di tempo.

 Man mano che le vendite della nuova edizione diminuivano, come è noto, la maggior parte dei motivi di interesse per chi avesse già letto la saga svanivano uno per uno: via le copertine inedite, via i poster allegati, via i contenuti extra, via le miniserie. Verso la fine, per minimizzare le perdite in termini economici, l’editore è stato costretto ad accorpare più volumi insieme trasformando gli spillati in brossurati certamente più resistenti ma che, col cambio di spessore, hanno causato scompensi a più di un fan (i pker sono pazzi, si sa). PK Giant è una testata esteticamente discontinua, confusionaria nei contenuti, priva di novità e approfondimenti, che non sarebbe sopravvissuta al fisiologico calo di vendite post-trentesimo albo se la nuova Direzione non avesse, tra i propri punti d’onore, il concludere tutto ciò che si può concludere. Come promesso, ecco quindi un volumetto dedicato alle miniserie che a suo tempo non avevano trovato spazio sulle pur enormi pagine del PK Giant. L’idea, nata dal nuovo approccio editorialmente completista, era quella di ripubblicare tutte le storie delle prime due leggendarie stagioni pikappiche. Sottolineo mille volte la parola tutte.

 
Turconi si ispira alle stampe giapponesi per suggestivi sfondi.

 Siete sopravvissuti a questa mia prima, lunghissima premessa? Bene. Ecco arrivare la seconda premessa: le miniserie di PKNA rappresentano, per me, non solo la vetta di tutto il progetto PK ma anche uno degli esperimenti più validi in seno al fumetto mainstream italiano degli ultimi decenni. L’umorismo fulminante di Angus Tales e Vedi alla voce Evron (erano un Faraci e un Macchetto completamente fuori di testa), le sperimentazioni grafiche di Io sono Xadhoom e Arriva Trip! (Fabio Celoni e Alessandro Barbucci, così altro aggiungere?), una pletora di artisti al proprio meglio lasciati liberi di osare e sperimentare (la colorazione vintage di Angus Tales, gli acquerelli di Io sono Xadhoom,
l’occhio della madr): il livello qualitativo medio delle miniserie è forse superiore a quello, pur notevolissimo, della serie-madre, e meritava la migliore riproposta editoriale possibile.

 Il pker è una creatura basicamente lamentosa, che periodicamente si desta dal proprio letargo per trascendere nei toni su ogni piattaforma a propria disposizione. La parola cruciale qui non è pker, infelice creatura destinata alla delusione perenne, ma completismo, un punto d’onore che l’attuale Direzione ha messo evidentemente al centro del proprio palinsesto editoriale. Si è deciso di terminare sulla testata Giant la riproposizione di tutte le storie delle prime serie canoniche di PK, lo si è annunciato (si veda questa recensione), lo si è dichiarato nella prefazione al presente volume dall’ottimistico titolo Ci mancava solo questo!. Cito testualmente dalla suddetta prefazione: “Questo secondo volume di PK Giant Double Special rappresenta l’attesissima ultima tessera del puzzle, con la quale si giunge infine alla ripubblicazione completa in formato giant di tutte le storie a fumetti comprese nelle prime due indimenticabili serie di Pikappa”.

 
Celoni realizza un lavoro incredibile sperimentando diverse colorazioni.

 Si tratta tutto sommato di un buon volume. Solido, corposo, esteticamente ben fatto al netto di una copertina di Lorenzo Pastrovicchio caratterizzata da una composizione alquanto anonima (le copertine, croce e delizia di questa testata… ma senza la delizia) in cui campeggia in primissimo piano un incomprensibile Angus Fangus. Le storie proposte sono di qualità altissima: si passa dal meraviglioso approfondimento sulla figura di Xadhoom, mai così fragile e inquietante, alla preziosa 5Y scritta da Francesco Artibani e illustrata da un Corrado Mastantuono sugli scudi (c’è chi si commuove ancora oggi ripensando all’Albero di Jacob, e chi mente) passando per i deliri di Trip’s Strip, la simpatia di Fuori onda e la mistica Lo zen e la fisica dei quanti. Tutte storie meravigliose che tutti i lettori Disney dovrebbero recuperare, anche chi non conosce o non apprezza PK, per il loro rappresentare una vetta mai più raggiunta di libertà narrativa e sperimentalismo estetico. Peccato che nel presente volume manchi Visite inattese, ultima delle Angus Tales e tra le più divertenti del ciclo, che i più curiosi dovranno recuperare sul volume Angus Tales e Trip’s Strip – Storie brevi dal mondo di PK, la Topolino Limited Deluxe Edition numero 12 da me amichevolmente ribattezzata “Asse da stiro Edition” per le sue dimensioni gargantuesche.

 “Ma allora volete il completismo!”, ci si potrebbe chiedere parafrasando il comico Corrado Guzzanti. Ebbene sì, lo avremmo voluto. Personalmente avrei amato un volumetto completo, in brossura, contenente tutte le brevi pikappiche, magari con qualche storia di raccordo inedita e perché no, black jack e squill ma il punto era, a quanto ho capito, terminare sulla testata PK Giant la ripubblicazione di tutte le storie delle prime serie di PK per dare una degna chiusura alla stessa. A differenza di quanto dichiarato nella magniloquente prefazione, manca una breve di otto pagine. Per un attimo ci avevamo sperato. Ma i pker, come si sa, sono pazzi.

 
I beffardi e geniali proverbi evroniani.



Voto del recensore: 2.5/5
Per accedere alla pagina originale della recensione e mettere il tuo voto:
https://www.papersera.net/wp/2022/04/29/pk-giant-59-double-special-edition-pikappa-le-miniserie/

21
Testate Regolari / Re:Topolino Fuoriserie 7 - PK: La danza del Ragno d'oro
« il: Mercoledì 15 Giu 2022, 19:44:45 »
Secondo voi a chi si riferisce quel sibillino "sono tornati" dell'anticipazione su PK-Makemake?

Per me, i Rettificatori.

22
Anche ammesso che Trasporto valori (che non inserirei fra i capolavori di Frittole) sia da intendersi come una sorta di "satira interna" alla serie, pensare che Sisti abbia inteso con questa "rispondere" a una storia scanonizzata vent'anni fa mi sembra alquanto inverosimile. Anche sul suo successo presso i lettori mi sento di dissentire: il suo ritorno in pianta stabile sul progetto Pk è stato salutato da tutti come una cosa positiva, Ritratto dell'eroe da giovane, Il giorno del sole freddo e Seconda stesura campeggiano stabilmente in tutte le classifiche delle migliori storie di PKNA.
Se sia o meno il migliore degli sceneggiatori di PK è una questione indirimibile: che vuol dire migliore? Da quale punto di vista? La fortuna di PKNA è stata la partecipazione attiva di un pugno di autori agli inizi delle proprie carriere e al meglio delle proprie capacità tecniche, auspico l'arrivo di nuove penne, giovani e piene di idee che possano affiancarlo.

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Testate Regolari / Re:Topolino Fuoriserie 7 - PK: La danza del Ragno d'oro
« il: Venerdì 20 Mag 2022, 15:03:56 »
Sì, ce lo vedo Sisti applicarsi a fare le glosse al Cordara del 2002.

24
Testate Regolari / Re:Topolino Fuoriserie 7 - PK: La danza del Ragno d'oro
« il: Venerdì 20 Mag 2022, 08:04:48 »
"Il Linking Sigil è un sigillo ideato nel 2004 da un praticante di Chaos Magick che si fa chiamare Arjil. La Chaos Magick è una tradizione magica di recente derivazione, sviluppata dagli anni '60 da una serie di occultisti e psiconauti, tra cui Peter Carroll, Austin Osman Spare e Genesis P-Orridge.

Costruita sulle più postmoderne intuizioni metafisiche dei sistemi di occultismo moderno, la Chaos Magick si basa su una visione molto tecnologica della magia: non presumono come oggettiva l'esistenza di divinità, demoni o altro, ma li considerano delle aggregazioni di energia, o "eggregori", nei domini transpersonali della psiche o inconscio collettivo. In altre parole: costituisce entità fruibile per qualsiasi tipo di lavoro magico qualsiasi cosa in cui abbastanza persone hanno versato abbastanza energia psichica nel corso del tempo.

Di conseguenza, il paradigma magico secolare può essere ampliato e soggetto a sperimentazione a dismisura, trascendendo qualsiasi scuola iniziatica classica. Perché fermarsi, ad esempio, alle divinità classiche sumere, egizie o nordiche? Diventa quindi possibile invocare, con determinati risultati, anche entità "numinose" non tipicamente venerate da nessuno, come le entità dei racconti di H.P. Lovecraft. Oltretutto, la pratica e la sperimentazione della Chaos Magick si incentra molto sui sigilli.

E qua torniamo alla nostra Ellis: nasce, come abbiamo detto, nel 2004 come parte di un progetto chiamato "Assault on Reality" da parte di una cellula di ribelli del mondo occulto chiamato Domus Kaotica Marauder Underground (DKMU). L'idea è creare un sigillo da diffondere ovunque, da mettere nelle proprie città in punti strategici, nelle proprie case e ovunque ci sia un certo tipo di rilascio di energia, meglio ancora se energia ritualistica o magica. Se diffuso abbastanza, il Linking Sigil funziona come un network o ripetitore tra le sue varie copie. Un eggregore creato dal niente, ex novo. In tal modo, qualsiasi praticante di magia, di qualsiasi tradizione, principiante o meno, è in grado di usufruire, di allacciarsi a una potente fonte di energia magica in modo semplice e immediato per "galvanizzare" così i propri risultati, a sua volta "nutrendo" Ellis in un costante gioco di risonanze.

Inutile dire che l'uso di Ellis nel mondo magico si è diffuso a macchia d'olio, che migliaia e migliaia di occultisti nel mondo l'hanno reso in graffiti, magliette, spille, l'hanno disegnato ovunque eccetera. Il rinomato occultista Damien Echols (se avete visto The Midnight Gospel, è il pesce intervistato nell'episodio 3) parla di averlo nascosto in dozzine di copie in vari punti a Times Square, per assorbire tutta l'energia ambientale creata in un posto così carico di qualsiasi cosa che la razza umana abbia da offrire. Vari praticanti nel corso dei decenni e da tutto il mondo hanno riportato straordinari risultati nel lavorare con il Linking Sigil, dicendo che disegnarlo con una particolare intenzione aiuterà a manifestare quel risultato, ma con effetti secondari casuali e inaspettati. Disegnarlo senza intenzione porterà semplicemente caos.

Ma non è tutto: come detto prima, il Linking Sigil è un eggregore, ormai (si suppone) abbastanza potente e "carico" da agire come una divinità, avendo sviluppato quindi una sua personalità, un suo simbolismo, un suo immaginario e una sua teurgia. Questa divinità è stata chiamata Ellis (Linking Sigil = LS = Ellis), ed è ancora oggi venerata da molti praticanti. Alcuni le attribuiscono l'aspetto di un ragno, altri di una bambina dispettosa e caotica, simile ad Alice di Alice nel Paese delle Meraviglie (vedete ultima foto).

Ciò è ulteriormente interessante se si considera lo scopo originale per cui Ellis è stata creata, ovvero appunto il progetto Assault on Reality. La realtà ad essere assalita è quella che chiamano la "Realtà del Consenso", quella "mondana", quella sotto il dominio del cinismo, del materialismo, delle religioni ormai degradate a una semplice forma di controllo delle masse, quella che rigetta l'uso della magia o anche solo la validità della metafisica, del pensiero creativo e anticonvenzionale. L'obiettivo è "compiere sintesi", riunire il mondo moderno (materialista e ordinario) con una dimensione di un sovrannaturale moderno ed empirico, scevro dalla superstizione, rendendo così il mondo un posto più spirituale e straordinario. Il problema è che per creare un nuovo mondo bisogna superare quello vecchio, distruggendolo nel fuoco. Ellis è appunto qualcosa che apre "crepe" in questo vecchio mondo, per fare insinuare prima il dubbio, poi il fuoco.

Insomma, Ellis non è solo una potente fonte di energia per qualsiasi occultista moderno, ma è una vera e propria divinità del caos e della distruzione, il cui unico bersaglio è ciò che limita la libertà umana, il cui funzionamento è analogo a quello di un virus: "diffondimi e io ti servirò". È puro anarchismo metafisico in tutto e per tutto.

Lo slogan della DKMU associato ad Ellis è "And upon this mark, I unite the worlds", o "E su questo marchio, io unisco i mondi"."


Non dico che Sisti si sia ispirato a questa cosa, ma mi ha fatto pensare al Ragno d'oro. Che ne pensate?

25
Topolino / Re:Topolino 3467
« il: Mercoledì 11 Mag 2022, 18:18:35 »
Credo che più che l'uso del dialetto il bello e bravo Manuel Crispo (per usare una sua espressione 😂) criticasse l'uso stereotipato del dialetto. E qui sono d'accordissimo con lui, ho sempre detestato per esempio chi tenta di imitare il mio dialetto siciliano, per di più con espressioni stereotipate (se volete essermi amici non pronunciate mai miii Palemmo davanti a me  SmShame2). Non avete idea del fastidio che provo per quel "Chista è meravigghia" pronunciato così male nella pubblicità della birra Messina, aaargh!
L'uso in Topalbano me lo ricordo invece piacevole.

Concordo con il bel e bravo Geronimo <3 In Topalbano, anche per me era usato molto bene.

26
Topolino / Re:Topolino 3467
« il: Mercoledì 11 Mag 2022, 17:07:59 »
Concludo questa mia recensione con un sentito appello alla redazione tutta: basta con il romanesco. Non fa più ridere dal 2007.
Dissento fortemente, assolutamente e caparbiamente! ;)

Quelle (pochissime...) parole in romanesco, oltre a divertirmi sinceramente, mi ricordano sia il secondo episodio di Storia e Gloria che le storie di Asterix, quindi le trovo più che adeguate! :)
Anzi, avrei messo pure qualche accenno ad altri dialetti, per dimostrare la cosmopolicità della società romana!

Francamente il romanesco non lo sopporto più in nessun ambito. Dopo anni di meme a tema Boris ne ho piene le puffe, per citare il maestro Peyo. Il fatto che in questa storia si cerchi la suggestione asterixiana-martiniana per me non è una giustificazione ma un'aggravante, perché quei prodotti hanno un'ambizione umoristico-dissacrante che qui non c'è, quindi sono "citazioni" (vogliamo chiamarle "riferimenti", vogliamo chiamarle "strizzatine d'occhio"? il concetto è quello) fuori dal tono del narrato. E anche come espediente umoristico mi sembra che abbia fatto il proprio tempo.
Detto questo, l'idea di una storia in dialetto non mi dispiace. Se si vuole, un'idea si trova anche con facilità: una storia in cui tutti i personaggi parlino in dialetto o anche ognuno un dialetto diverso? E perché no? D'altronde, se Camilleri ha scritto romanzi in siciliano che sono stati apprezzati in tutto il territorio nazionale e persino tradotti in varie lingue straniere, non vedo perché su Topolino non si possa fare un esperimento di questo genere.

Però il dialetto vero, no "Anvedi" e "pijamose tutto" così, a caso.

27
Topolino / Topolino 3467
« il: Martedì 10 Mag 2022, 15:13:53 »
Recensione Topolino 3467


 Dopo Bruno Enna, che in questo numero chiude l’avventura di ampio respiro Amelia e le 7 streghe vulcaniche, godiamo del gradito ritorno di un altro grande sceneggiatore mancante dalle pagine di Topolino da un po’ di tempo. Francesco Artibani apre il 3467 con Pippo e i bracciali di Maciste, storia che, come dichiarato nel consueto editoriale firmato da Alex Bertani, è stata pensata per festeggiare i novant’anni del personaggio che, con il proprio esibito pensiero laterale, “infesta” la vita di Topolino da tempo immemorabile.

 Per l’occasione Artibani, coadiuvato da un Lorenzo Pastrovicchio che svolge un eccellente lavoro di recupero estetico, decide di riprendere le atmosfere delle avventure gottfredsoniane di Mickey, ricomponendo (con l’aggiunta di Paperino) il terzetto di personaggi già visto in molti capolavori, dal corto Stazione di servizio a Topolino e la notte a Val Dormigliona, passando per Topolino nella casa dei fantasmi.

 La vicenda parte dal classico equivoco pippesco (dovendo acquistare una tenda per il campeggio, in qualche modo Pippo compra un intero circo, con tanto di pulci ammaestrate) e si trasforma in un mystery “tecnologico” con plot twist finale. La splendida Pippo e i bracciali di Maciste va a inserirsi nel non ampio bacino delle storie recenti che tentano di andare a recuperare le atmosfere, lo stile grafico e lo storytelling delle avventure a fumetti dei primi del secolo scorso.

 Nella sua semplicità lo considero un esperimento più che riuscito: una storia apparentemente semplice ma con molto cuore, gag riuscite e una cura grafica superiore alla media mi sembra il modo migliore per celebrare il personaggio più trasversalmente poetico del cast Disney.

 L’albo procede con il secondo episodio di La notte di Fantomius di Marco Gervasio, avventura lunga che ruota intorno alla scoperta, da parte delle autorità di Paperopoli, dell’identità segreta del ladro gentiluomo. Questa volta Lord Quackett non può dichiarare di essersi tradito… volontariamente: vittima di un qualche tipo di macchinazione, dopo aver esibito la consueta sicurezza finisce a dover affrontare da solo i propri nemici.

 Appesantita dai numerosi riferimenti a storie del passato più o meno remoto (sono due chili di didascalie, lascio?), quella che dovrebbe essere la storia del definitivo tramonto (o della rinascita) di Fantomius procede con una certa fiacchezza e un momento che dovrebbe apparire drammatico, quello dell’arresto dei suoi complici di sempre, risulta depotenziato dall’incertezza della messa in scena.

 
Now so long, Paprika, it’s time…

 Un po’ più interessante l’ultimo episodio della già citata Amelia e le 7 streghe vulcaniche di Enna e Roberto Vian, che si giova, al netto di uno svolgimento non sempre originalissimo, di un interessante twist e di sontuose tavole “da kolossal” che fanno ipotizzare una futura raccolta in volume.

 Le streghe tornano a far paura, e anche Amelia recupera sul finale il proprio ruolo da protagonista, sebbene la sceneggiatura indugi un po’ troppo sul sentimentalismo e la rivelazione del “vero potere” della fattucchiera ponga qualche problema di continuità con le storie che abbiamo visto dai tempi di Carl Barks a oggi: se Amelia è così forte in prossimità del proprio elemento, perché non ha mai tentato di attirare Paperone sul mare? Con le retro-continuity va sempre a finire che qualcosa non torna, ed è il motivo per il quale andrebbero evitate, ma se non altro la battaglia magica concede il giusto payoff al lettore, e tanto basta.

 Meno bene il nuovo episodio de Gli urbani paperi, dal titolo Briganti: fra i soliti romani che parlano romanesco, uno svolgimento farraginoso e comprimari dalla personalità tagliata con l’accetta, la saga co-sceneggiata da Bertani e Matteo Venerus procede, in qualche modo, incantando solo grazie alle spettacolari tavole di Emmanuele Baccinelli.

 
Un piano sequenza alla Gianni de Luca

 Il montaggio della prima pagina, con Anta Papera che rappresenta l’unico elemento dinamico delle tre vignette orizzontali, sembra quasi omaggiare la Trilogia shakespeariana o Il commissario Spada di Gianni de Luca.

 Spesso Baccinelli sistema i suoi punti di fuga posizione eccentrica o gioca con le ombre e la giustapposizione di elementi per aumentare la resa drammatica del narrato, altre volte utilizza elementi intradiegetici (seppure incorporei, come le note della cetra di Archimedio) per separare le vignette.

 Se alla sontuosità della componente grafica corrispondesse una trama più interessante, Gli urbani paperi sarebbe un’avventura destinata a entrare nella storia del fumetto Disney. Purtroppo, non nascondo di averla trovata narrativamente tediosa e, al netto delle diverse riletture, resto convinto di essermi lasciato sfuggire qualche elemento di trama, forse distratto dalla bellezza dei disegni.

 Se volessi andare proprio in profondità potrei rilevare che questo episodio perde anche l’occasione di divulgare un po’ di informazioni sulle spezie, usate non solo per insaporire ma anche con funzioni antisettiche e conservative.

 Alla fine dei conti, Topolino 3467 risulta essere uno spettacolo per gli occhi, con la componente narrativa che in paio di casi pare arrancare qualche passo indietro. Concludo questa mia recensione con un sentito appello alla redazione tutta: basta con il romanesco. Non fa più ridere dal 2007.



Voto del recensore: 3/5
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28
Topolino / Topolino 3464
« il: Martedì 19 Apr 2022, 12:25:53 »
Recensione Topolino 3464


 Il numero di Topolino di questa settimana si distingue per il ritorno in grande stile di Bruno Enna, sceneggiatore di grandissima cultura e sensibilità. Le prime due storie dell’albo sono infatti a sua firma e, per quanto molto diverse, presentano qualche elemento comune che fa respirare, a chi lo ha amato e seguito in questi decenni, una gradevole “aria di casa”.

 Il primo episodio di Amelia e le 7 streghe vulcaniche, per i disegni di Roberto Vian, si inserisce nel filone di storie che puntano ad approfondire e in qualche maniera a rilanciare i comprimari Disney, specie quelli destinati, per necessità di fabula, a non vincere mai. In questa prima parte assistiamo a un momento di sconforto di Amelia: dopo l’ennesimo tentativo fallito di ottenere la Numero Uno la fattucchiera si isola nella sua cameretta da teenager, tornando con la memoria alle origini della sua ossessione.

 Il plot vedrà Amelia confrontarsi con le sette streghe vulcaniche del titolo e, sebbene in questa prima parte lei appaia dimessa e sconfitta, possiamo dare per scontato che nella prossima puntata assisteremo al suo riscatto, magari grazie a un’alleanza pro tempore con Paperone (il quale al termine di questa prima parte si ritrova a possedere tutte le monete necessarie alla realizzazione del Tocco di Mida, cosa che lo mette teoricamente in grande pericolo).

 In alcuni momenti, in alcuni gesti (come quando l’apprezzata Nonna Caraldina, personaggio di creazione americana ma al centro di un pugno di ottime storie italiane degli anni Novanta, prende Amelia per mano e la mette di fronte al proprio passato) la storia si eleva rispetto alla media, al netto di alcune imprecisioni dal punto di vista grafico.

 Roberto Vian, infatti, propone tavole ricche di atmosfera, anche grazie a un puntinato a volte invasivo ma interessante, ma tende a variare troppo spesso le proporzioni dei personaggi. Stendiamo invece un velo pietoso sulla tanto vituperata tavola contenente quello che il principio del Rasoio di Occam ci fa sospettare trattarsi di un pesante errore geografico, di cui in questi giorni si è parlato sin troppo e quasi mai nei modi opportuni.

 
Battista, hai fatto stretching ultimamente?

 Subito dopo abbiamo la conclusione della storia in due tempi Paperino Paperotto e il volo dell’albatro, nella quale abbiamo il ritorno del personaggio di cui Enna è stato co-creatore e autore principale. Il plot mi ha ricordato, con le dovute differenze, il libro del recentemente scomparso Luis Sepúlveda, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. Anche qui al centro della vicenda abbiamo un volatile incapace di spiccare il volo e delle creature, piccole ma piene di risorse, intenzionate ad aiutarlo.

 È la rivincita dei bambini, che con la loro purezza senza compromessi vincono contro la grettezza degli adulti. È la formula che, nei decenni passati, ha fatto grande il personaggio di Paperino Paperotto rendendolo così amato da garantirgli una testata autonoma.

 Se al Volo dell’albatro dobbiamo trovare un difetto, questo sta forse nella relativa velocità del finale, poiché nell’ultimo atto Enna si limita a raccogliere quanto seminato per portare a un epilogo tutto sommato prevedibile, senza grossi scossoni. Ma la storia è supportata dagli efficaci disegni del bravissimo Nicola Tosolini, che richiamano immediatamente la stagione più felice del personaggio, e tanto basta.

 
La gabbianella e il papero

 Sono i sentimenti l’ingrediente principale delle prime due storie, dosati con cura ed espressi con grande delicatezza. A volte basta un gesto, un’inquadratura a raccontare un intero mondo interiore. Bruno Enna è sempre stato, in questo, maestro assoluto.

 Col procedere dell’albo l’interesse del lettore comincia lentamente a scemare. Il nuovo episodio di PippoSpot, serie dai risultati a dir poco altalenanti, si intitola Il futuro vola leggero – anche se, di leggerezza, ne ho vista ben poca. Dal punto di vista grafico ci troviamo di fronte a una buona prova di Alessio Coppola, grazie a un tratto piacevolmente retrò e a una colorazione molto curata. Il tutto purtroppo non è supportato da testi all’altezza.

 Per quanto breve, Il futuro vola leggero presenta alcune problematiche di tipo logico: che dei palloncini che si afflosciano rivelando l’aspetto che avremo da vecchi e malati ottengano un grande successo commerciale appare poco credibile. Quanto dovrebbero costare dei palloncini basati su un calco del volto dell’acquirente? Perché mai qualcuno dovrebbe spendere del denaro per questo? In che epoca è ambientata questa storia, dal momento che esistono fior di applicazioni gratuite in grado di fare la stessa cosa? Quanti problemi in una storia di dodici pagine!

 Un po’ meglio la successiva Pico, Paperoga e il bizzarrismo fuffilosofico, testi di Monica Manzoni e disegni di Sergio Cabella. Al centro della storia c’è un plot che sa di già visto senza che questo disturbi più di tanto e mi ha, con tutte le differenze del caso, ricordato la splendida La filosofia di Paperino del 2014: anche qui (come lì) l’espediente del convegno di filosofi usato come MacGuffin per permettere agli autori di enucleare una visione del mondo che cozza con ciò che siamo soliti considerare naturale, ovvio.

 Paperoga, outsider per eccellenza del mondo Disney, è stato spesso utilizzato in questi anni come “riapritore di giochi”, ruolo che gli si confà in modo particolare – al punto che si perdona al Bizzarrismo fuffilosofico una certa banalità dell’insegnamento di fondo.

 
Idiomi incomprensibili

 Ultima storia è il mystery Minni e i furfanti del sottosuolo di Roberto Moscato e Marco Palazzi, avventura dall’andamento veloce e poco accattivante, tra l’abusato espediente comico del dialetto regionale travestito da lingua straniera (non siamo più negli anni Novanta, scusate), un colpo di stato poco credibile e disegni volutamente innocui, che potrebbero dare sostanza grafica a una storia non molto convinta ma che alla prova dei fatti si arrendono senza neanche provarci.

 Apprezzabile che la compagna di Topolino non sia più utilizzata come damsel in distress ma non basta questo a elevare un’avventura poco ispirata.

 Tra gli articoli di approfondimento, oltre alle prevedibili pagine dedicate ai vulcani (argomento della storia di apertura) si fa notare la lunga intervista allo youtuber Kirio1984, al secolo Maurizio Iorio, che parla del suo libro Anche mio nonno era un otaku! edito da Mondadori Electa. Nell’intervista Iorio anticipa un po’ il contenuto del saggio e cita il suo grande amore fumettistico, il mai troppo celebrato Osamu Tezuka anche detto “il Dio dei manga”, la cui presenza sulle pagine di Topolino rappresenta una piacevole novità: dobbiamo attenderci una prossima apertura al mondo degli otaku che non sia la solita parodia/presa in giro?

 Restiamo qui in attesa.



Voto del recensore: 3/5
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Testate Regolari / Le serie imperdibili 1 - Le Tops Stories
« il: Venerdì 25 Mar 2022, 15:59:22 »
Recensione Le serie imperdibili 1 - Le Tops Stories


 Negli anni Novanta fu il telefono cellulare: i ristoranti di tutto il mondo si riempirono di maleducati che urlavano, ma era iniziata una rivoluzione che dura tutt’ora. Prima erano state le macchinette Polaroid, il chiodo, la radio a transistor, il ricettario Carnacina, l’orologio da polso, la gonna svasata a campana, gli stivaletti Balmoral. Nel Cinquecento era fondamentale possedere almeno uno schizzo di Botticelli in salotto, e al tempo degli antichi romani non eri nessuno se non avevi l’ultimo modello di gladio iberico. Oggi, all’inizio del 2022, il “must-have” è rappresentato dal primo volume di una nuova collana a fumetti, Le serie imperdibili.

 Prima di analizzare il volume in sé e lanciare qualche breve spunto sulle storie contenute (le prime tre avventure del ciclo delle Tops Stories, Topolino e la pietra di Sbilenque, Topolino e il flauto di Omar e Topolino e il segreto della settima meteora, tre opere che fanno parte del bagaglio irrinunciabile di ogni appassionato di fumetto Disney che si rispetti – ma non è mai inutile parlarne) mi piacerebbe spendere due parole sul romanziere marxista Peter Kolosimo, nominato a pagina 14.

 Questo nome, pseudonimo di Pier Domenico Colosimo, potrà oggi dire poco, ma appartiene ad uno scrittore italiano molto amato dai nostri padri. Prima di diventare uno degli autori più popolari della seconda metà del Novecento, Kolosimo fu uno dei 7.500 partigiani armati che dal 1942 fino all’arrivo dell’Armata Rossa lottarono per la liberazione della Boemia e della Moravia occupate dai nazisti; in seguito, fu direttore di Radio Capodistria e gestì la rivista di mistero Pi Kappa (poche ragazze da quelle parti, direte voi).

 I suoi visionari romanzi, a metà strada fra la saggistica allucinata e la fantascienza delirante, vinsero premi e furono tradotti in oltre sessanta paesi. I titoli sono cose come Astronavi sulla preistoria, Italia mistero cosmico, Civiltà del silenzio. Lo scrittore veneto Giorgio Pezzin, altro autore popolare cui questo volume è totalmente dedicato, ammette di avere un debito con le storie di Kolosimo, come d’altronde buona parte del fumetto popolare di fine secolo. Dirò di più: il suo personaggio Top de Tops, parente inglese del nostro Topolino, sembra proprio una versione Disney dello stesso Kolosimo.

 
Summer on a solitary beach

Poliglotta, colto, avventuroso, non estraneo all’uso delle armi, amante della libertà, considerato un ciarlatano: a vederli così, accostati l’uno all’altro, le similitudini appaiono lampanti. Eppure, non vi avrei mai pensato se lo stesso Pezzin non avesse rivelato in questo volume l’importanza che i romanzi allucinati di Kolosimo hanno avuto nella costruzione della piastra di Petri nella quale è cresciuto il personaggio di de Tops, il misto di alchimia e fantascienza, magia e fantarcheologia che costituiscono il nerbo delle sue avventure.

 Nelle numerose pagine di contenuti inediti presenti in questo primo volume delle Tops Stories c’è molto, molto di più. Ci sono i soggetti originali delle storie proposte, grazie ai quali possiamo apprezzare tutte le differenze intercorse fra il concept iniziale e la versione disegnata e andata in stampa (lo sapevate che in origine de Tops di nome si chiamava “Topolino”?; e lo sapevate che in origine Il segreto della settima meteora era molto diversa, e fra i banditi che cercavano di predare il monastero c’era un parente di Gambadilegno?); ci sono delle introduzioni scritte dallo stesso Pezzin, utilissime per conoscere retroscena e fonti di ispirazione; ci sono dei commenti, in cui lo stesso autore elenca a grandi linee le modifiche redazionali e le giudica sulla base della riuscita.

 In breve, in questo volume c’è tutto ciò che noi appassionati abbiamo sempre chiesto a delle ristampe: contenuti inediti, validi e interessanti, che possono essere ignorati da chi cerca solo le storie “nude e crude” ma sono altresì preziosi per chi ama leggere il fumetto Disney in modo diverso, con gli occhi del critico o semplicemente con lo sguardo dell’acquirente un po’ più esigente.

 
Sono solo l’ombra della luce

 Tra Indiana Jones e Tintin, il miglior “pilota” possibile di questa serie, La pietra di Sbilenque è sempre stata una delle mie avventure preferite, anche grazie alla straordinaria perizia grafica di un Massimo De Vita al meglio della propria maturazione estetica.

 La compresenza di stile Disney classico ed elementi più realistici, come le figure e l’architettura Maya, viene lodata anche dallo stesso Pezzin nel suo interessante commento. La pietra di Sbilenque è anche una di quelle avventure detopsiane con un alto grado di compartecipazione di Topolino, il che ci permette di trovare dentro di noi una risposta alla domanda “sarà tutto vero?”.

 La successiva Il flauto di Omar, altrettanto inquietante, ci porta a Baghdad (originariamente Il Cairo, ma funziona comunque benissimo) in uno scenario a metà fra Le Mille e una notte e un film horror. Nell’introduzione, Pezzin ci parla del misterioso potere della musica e attira la nostra attenzione sulla grande quantità di pippidi che si incaricano di aiutare de Tops in questa avventura, fonte di innumerevoli siparietti comici che, invece di spezzare il ritmo della narrazione, permettono alla storia di “respirare” meglio.

 Come dicevo più su, Il segreto della settima meteora è la storia che ha subito le maggiori modifiche – cosa che, a giudicare dal commento, non deve essere andata già al suo sceneggiatore. Passi il cambio di location, ma alcuni cambiamenti in effetti creano dei piccoli cortocircuiti di logica interna. Come si intuisce dalle introduzioni presenti nel volume, ogni storia di de Tops ha il focus su un aspetto particolare e questa è stata concepita per offrire al lettore riflessioni sul potere della mente.

 Riflessioni che perdono di senso nel momento in cui tutta la narrazione è improntata sul soprannaturale. Nonostante questo, e spero che il maestro Pezzin possa perdonarmi, questa storia ha un fascino senza pari e il risultato finale mi pare anche più interessante di quanto era previsto in origine. Da 23 anni sono in attesa di leggere il ritorno di de Tops fra quelle montagne, e ora che la serie ha ripreso la propria pubblicazione spero proprio di poter essere, un giorno, accontentato.

 
Pubblicità usata per il lancio della testata, con azzeccate citazioni esplorative

 La saga di de Tops ha un appeal senza tempo. Gli elementi del suo successo sono molteplici: la cura grafica; il mistero (qualcuno l’ha definito un “X-Files steampunk”); l’attenzione per il contesto storico (mi viene in mente, ad esempio, un de Tops dubbioso e perplesso nell’atto di utilizzare per la prima volta un paracadute ne La pietra di Sbilenque); la sottile vena di inquietante pericolo che attraversa tutta la saga; l’espediente narrativo del baule di diari fornito a Topolino dal notaio Unzpapper, la “Casa di foglie” di de Tops unico tramite fra lui e il visionario parente, che non ci permette mai di stabilire con esattezza l’attendibilità del narratore (o, se lo fa rivelando troppo, questo è il frutto di modifiche occorse tra la stesura della sceneggiatura e la realizzazione grafica).

 D’altronde la sospensione dell’incredulità è un espediente per vecchie signore, la seconda metà del Novecento ci ha mostrato che ci si può immergere nelle storie anche continuando a tenere presente la loro natura di (infantili) fantasticherie: le avventure di de Tops sono immaginarie, poco importa se l’inventore sia Pezzin o de Tops stesso. Ma non smettono di affascinarci. Professor Mystère senza murchadna, Indiana Jones senza frusta, il baronetto de Tops appare oggi paradossalmente meno fumettistico e più disarmato di altri figli popolari della fantarcheologia, e forse è anche questo ad avergli permesso di invecchiare così bene.

 Vorrei concludere questa mia recensione con una piccola nota di colore: in rete è reperibile un romanzo di Giuseppe Genna in cui si immagina che Kolosimo, agente segreto della Stasi, abbia scritto i propri libri con lo scopo di confondere e fiaccare il debole Occidente. A me pare che, al contrario, le avventure di de Tops abbiano il potere di stuzzicare la nostra fantasia permettendoci di viaggiare in territori lontani e irreali, regalandoci uno sguardo nuovo anche sul nostro presente. A ben vedere, questa è prerogativa di tutto il migliore fumetto Disney.



Voto del recensore: 5/5
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30
Topolino / Topolino 3458
« il: Lunedì 7 Mar 2022, 16:46:40 »
Recensione Topolino 3458


 Alla fine, è successo: il fumetto Disney italiano ha sdoganato i racconti di Lovecraft.

 Mai avrei creduto, infatti, che sulle pagine di Topolino avremmo avuto così dei riferimenti al ciclo cthulhiano o in generale all’arte del cosiddetto “Solitario di Providence”; e ciò accade, vedi alle volte il caso, in quella che per me è la storia migliore fra tutte quelle prodotte da Marco Nucci, in Disney o altrove. Sto parlando ovviamente di Zio Paperone e la maledizione delle maledizioni, disegnata da un incredibile Giorgio Cavazzano e sceneggiata dal già citato Nucci, che condivide la firma del soggetto con Giulio Antonio Gualtieri. Con Gualtieri, autore Bonelli, Eura e Cosmo, Nucci ha già firmato una storia di ispirazione lovecraftiana, Il richiamo delle tenebre.

 La trama vede Paperone acquistare a un’asta di miliardari, per pura incoscienza, un grimorio notoriamente maledetto, il Tetronomiduck, vergato da un esperto e appassionato di occultismo, Mortimer Hatequack. Attivata per errore la maledizione che innesca tutte le maledizioni del mondo, a Paperone, coadiuvato da Battista, Pico e una new entry, il Professor Kinsgsport, spetterà il compito di riportare tutto alla normalità.

 Chi ha avuto modo di accostarsi all’opera di Lovecraft avrà notato alcuni riferimenti: innanzitutto la città di Kingsport, immaginario borgo del Massachusetts a sud della più celebre Arkham, citata in racconti come Il terribile vecchio, La ricorrenza, La casa misteriosa lassù nella nebbia, Il caso di Charles Dexter Ward, La cosa sulla soglia, La maschera di Innsmouth, nonché nei racconti del ciclo di Randolph Carter; Hatequack è una ovvia paperizzazione dello stesso Lovecraft; inoltre, il Tetronomiduck è un richiamo al testo maledetto Necronomicon, che ricorre praticamente in tutte le opere di Lovecraft e che rappresenta la vera pietra angolare su cui si fonda la sua poetica.

 Niente è più pericoloso di un libro contenente una conoscenza perduta per chi a suo tempo scrisse: «Penso che la cosa più misericordiosa al mondo sia l’incapacità della mente umana di mettere in relazione i suoi molti contenuti. Viviamo su una placida isola d’ignoranza in mezzo a neri mari d’infinito e non era previsto che ce ne spingessimo troppo lontano. Le scienze, che finora hanno proseguito ognuna per la sua strada, non ci hanno arrecato troppo danno: ma la ricomposizione del quadro d’insieme ci aprirà, un giorno, visioni così terrificanti della realtà e del posto che noi occupiamo in essa, che o impazziremo per la rivelazione o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di una nuova età oscura».

 
Non è papero ciò che in eterno può attendere

 Poco conta che nella storia di Nucci e Gualtieri il grimorio si stato scritto da Hatequack in persona, e che non si citi la figura dell’arabo pazzo Abdul Alhazred. Si tratta chiaramente di una ispirazione molto vaga, suggestiva ma innocua. Non abbiamo quindi Paperone al cospetto di Yog-Sothoth o Battista decervellato dai Funghi di Yuggoth – “purtroppo”. Il plot estremamente semplice è sorretto da una sceneggiatura briosa, con un Cavazzano in grado di far recitare i personaggi in modo magistrale. Anche le da me odiatissime didascalie (espediente antifumettistico per eccellenza), come sempre abbondanti, qui trovano un proprio senso e contribuiscono a dare un’atmosfera brillante alla storia.

 Dopo un redazionale non particolarmente approfondito (avrei preferito, anche se so che è molto difficile considerato il bacino d’utenza della rivista, qualche riga in più sul Necronimocon giacché è citato nella storia di apertura) su libri più o meno famosi, abbiamo la conclusione della castyana Topolino e le Sgambascarpe Smart, per i disegni di un eccellente Alessandro Perina.

 
Antipolitica

Da amante delle storie di medio respiro di Casty ho trovato questa seconda parte molto divertente, anche più della prima (impagabile il cattivissimo Gambadilegno che bullizza Topolino grazie alle scarpe telecomandate, meravigliosa Clarabella che prende a calci il sindaco), e pienamente in linea con le mie aspettative.

 Dopo la necessaria introduzione dell’argomento, avvenuta nel numero precedente, qui la storia prende decisamente il volo regalando al lettore più sequenze memorabili. In una avventura che ondeggia costantemente fra il demenziale e lo zombie-movie (le Sgambascarpe sono inarrestabili, invincibili, implacabili) c’è anche spazio per Minni, una volta tanto parte integrante della risoluzione della vicenda. Per chi ama questo genere di cose, è anche presente un riferimento alla nuova teledipendenza di Pippo, elemento di continuità tra varie storie.

 A seguire troviamo due storie sceneggiate da Marco Bosco. La prima è una breve, molto simpatica, appartenente al ciclo Pillole di Pico, intitolata La matematica. Evidentemente il tema ispirava l’autore, perché la storia è molto piacevole e divertente, al netto della ridotta estensione; molto interessanti anche i disegni di Giulia La Torre. La seconda, anch’essa gradevole, vede ai disegni il ritorno di un autore da me molto amato, Lucio Leoni, che dona a Clarabella e lo chef personalissimo il giusto brio grafico. Questa avventura, di stampo molto classico, è una gustosa commedia degli equivoci che vede il povero Orazio come sempre succube delle borghesissime ambizioni della propria compagna – con un Bosco sempre più deciso a mettere alla berlina le nuove mode legate alla raffinata cucina moderna.

 Se queste storie lasciano poco spazio ai colpi di scena, la successiva Zio Paperone e la contesa burocratica acrobatica di Riccardo Pesce e Mario Ferracina riesce a regalare qualche sussulto in più grazie alle vibes ciminiane e l’inedito tandem con il sindaco di Paperopoli. Perdendosi nei meandri della burocrazia, Paperone e il primo cittadino si ritroveranno a navigare (letteralmente) in un mare di carta bollata, tra riferimenti a Escher e citazioni più o meno esplicite alle burocrazie asterixiane e dylandoghiane.

 
La casa che rende folli

Alla fine di questa lettura mi sono ritrovato piuttosto soddisfatto, come in realtà non mi capitava da tempo, e credo di poter chiudere con questa nota di positiva sorpresa la disamina sul numero di questa settimana, su cui penso di essermi speso a sufficienza. Vorrei dedicare queste ultime righe alla memoria di un caro amico che seguiva il mondo di Topolino con una forza e una purezza che non ho conosciuto in altri.

 Francesco Gerbaldo, per noi che lo sentivamo quotidianamente aggirarsi perle losche camere virtuali in cui si costruiscono i contenuti del Papersera, era semplicemente Gerba.

 Quella di Gerba era molto di più della passione che agita il petto di qualunque fan, era amore. Incondizionato e senza riserve. Sempre il primo a voler parlare di, e perché no, a difendere Topolino, anche quando forse questo meritava più di una tirata d’orecchie. Gerba era serissimo nel proteggere il complicato mondo di cui era divenuto uno dei divulgatori, ma al contempo sempre pronto allo scherzo, alla battuta. Mi rammarico delle conversazioni che non avremo, ma mi rallegro del suo fecondo passaggio nel mondo Disney, dove la morte è bandita e ogni sofferenza è destinata a sciogliersi in risata. Lì, sulle pagine dei fumetti che amava, le sue parole e la sua gentilezza saranno in eterno.



Voto del recensore: 5/5
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