Zio Paperone e l’ultimo balabù

06 SET 2016

L’ampia splash page di apertura della storia di esordio di Brigitta.

Non finiremo mai di ringraziare I Classici Disney (prima e seconda serie) per aver fatto conoscere tante storie belle e interessanti per chi all’epoca, per qualsiasi motivo, non avesse potuto leggerle su Topolino libretto.

È anche il mio caso per quanto riguarda la storia “Zio Paperone e l’ultimo balabù“, letta la prima volta nel 1981 grazie al Classico II serie “Paperone e la caccia ai dollari“.
All’epoca non avevo possibilità di conoscere la storiografia disneyana, ma in seguito scoprii che la suddetta storia aveva un’importanza particolare in quanto la prima con il personaggio di Brigitta. Anche il fatto che fosse stato inventato da Romano Scarpa non lo seppi sul momento: quello che mi colpì in quell’occasione era il modo in cui Zio Paperone veniva rappresentato. Le sue fughe da Brigitta, che avevo già letto in altre storie, non mi sembravano una novità, ma il suo gesto di generosità nascosta non erano una consuetudine per l’epoca, forse anche perché abituati al Paperone martiniano che era di tutt’altra pasta.

La trama è anche di differente matrice rispetto alle classiche cacce al tesoro in parti remote del mondo o dell’universo. Qui la ricerca è imperniata su un introvabile animale da pelliccia, ma non per questo priva di colpi di scena ed interessanti risvolti.

Paperone sconvolto nel vedere Brigitta con indosso il prezioso berretto di balabù.

Rileggendo più volte la storia, nel corso degli anni, però, a mio avviso ci trovo un valore aggiunto: la presenza del sentimento dell’amore interpersonale.
Sbaglierò, ma qui l’autore ha voluto addirittura provare a dare un’origine alla relazione tra Paperone e Brigitta, accennando ad un regalo di “non” fidanzamento nel loro passato vissuto.
Possiamo interpretarlo come l’ennesimo tentativo di raccontare la giovinezza, o meglio l’età matura, di Paperone, pur senza descriverlo attraverso flashback, che allo stato attuale andrebbe a cozzare con le differenti visioni del passato paperoniano, e senza neanche scomodare i canoni di Don Rosa. E c’è l’amore anche verso il mondo animale, quando il nostro autore lascia trasparire a zio Paperone sentimenti di rimorso nell’aver affidato il balabù ad un pellicciaio. Siamo sinceri: abbiamo pochino tremato un po’ tutti quando abbiamo visto il berretto indosso a Brigitta, anche perché all’epoca il politically correct non era certo tenuto in considerazione; è da specificare che nel 1960 le mozioni ecologistiche erano per lo più sconosciute.

Il miglior giudizio che possiamo dire di Paperone è sintetizzato in una vignetta nella quale i nipoti affermano “È il più gran tirchio di buon cuore che noi conosciamo” e poco prima Brigitta aveva detto “Sotto la tua scorza di avaro hai l’animo di un taccagno…ma se ti tirano per i capelli, sai diventare prodigo“.

Sebbene non appaia nessun personaggio, questa vignetta rimane una delle più divertenti di tutta la storia.

Non era una normalità per l’epoca vedere questa versione di Paperone (qualcosa di simile la ricordo solo nel finale di “Zio Paperone e la Stella del Polo“) appunto perché ci veniva rappresentato nei suoi aspetti negativi. A qualcuno potrebbe non piacere, ma personalmente un Paperone con sentimenti generosi lo apprezzo notevolmente e per me è stato positivo che molti altri autori in seguito lo abbiano rappresentato in tal modo.

Altre chicche significative che colpiscono man mano che si rilegge la storia è scoprire tre gag una dietro l’altra nelle prime tre vignette: la sveglia che trilla “guadagnare guadagnare!“, zio Paperone col rasoio che si rade la barba (non ricordo di averlo mai visto altre volte), e che canta sotto la doccia una parodia di una canzone dell’epoca (“Romantica” di Tony Dallara).

Un’altra curiosità: Brigitta reclama il regalo per il suo onomastico, ma non è un tipo di festeggiamento usuale per un fumetto Disney. Ciò presupporrebbe celebrare un santo, ma in teoria non sarebbe possibile in quanto la visione fumettistica è stata laica da sempre: anche questo è spiegabile nel fatto che ci troviamo nel 1960?

Eccolo il “simpatico animaletto”!

Tutto sommato, la storia ci lascia sensazioni positive ed anche il simpatico animaletto, pur se non comparendo più in futuro, avrebbe lasciato bei ricordi oltre che in noi lettori, anche nell’autore. La dimostrazione l’avremmo avuta diversi anni dopo, quando il balabù avrebbe fatto la sua apparizione nella tavola celebrativa di Romano Scarpa per il n.2000 di Topolino libretto dove il Maestro veneziano incluse praticamente tutti i personaggi che ebbe l’abilità di creare nella sua lunga carriera.

Ah, comunque, per chi dovesse chiederselo, la parola balabù effettivamente non esiste: la prima volta che lessi questa storia, mi venne il dubbio se fosse effettivamente un termine reale e corsi a cercarla subito in un dizionario (non quello, però, che compare nell’ultima vignetta).

In compenso, nella storia “Paperino e il disastro social” pubblicata in Topolino 3114 compare un evidente omaggio a Romano Scarpa, attraverso una frase di Paperoga che menziona la parola “balabù”.

Autore dell'articolo: Alfonso Torino

All’età di quattro anni ho iniziato a leggere fumetti Disney e dopo cinquant’anni non ho ancora smesso. Contemporaneamente ho seguito ed amato il mondo dell’animazione, soprattutto frequentando i cinema sin da bambino. Grazie al Papersera ho scoperto il piacere di divulgare alle giovani generazioni la passione per la lettura ed in particolare per l’universo fumettistico a noi più caro.