Zio Paperone e la febbre del rodio

14 MAG 2015

Conobbi davvero Romano Scarpa con la lettura della seconda parte di “Zio Paperone e la febbre del rodio”, storia poco considerata da grandi fans e collezionisti, eppure secondo me da tenere sempre nel debito credito, e non solo per ragioni sentimentali.
Devo però tracciare, per chiarezza, un piccolo background, che mi riporta con la mente all’agosto del 1985.

Zio Paperone è preda della “febbre del rodio”!

Avevo dieci anni tondi tondi, e mi stavo stancando di Geppo, Braccio di Ferro, Tom & Jerry e Più a fumetti. Sino ad allora le avventure di Topolino libretto non mi avevano interessato, non mi garbavano. Ma sullo scaffale in sala c’erano queste copie del settimanale, una ventina in tutto, di mia madre, risalenti al periodo 1977-1981: perché non provare allora a dare loro uno sguardo con gli occhi di un bambino di dieci anni, pronto alle nuove scoperte?
Fu la folgorazione. La prima storia che lessi fu la seconda parte di un classico come “La vittoriosa sconfitta di Paperinik” di Martina e M. De Vita, e mi innamorai di quel mondo così diverso, così variegato, così pieno di sfaccettature di paperi e topi antropomorfi. E capii subito che il lavoro tendeva ad essere diversificato tra sceneggiatori e disegnatori, con stili variegati per tematiche e lessico da un lato, e semplicemente tratto dall’altra.

Così, non ebbi problemi a ricondurre allo stesso sceneggiatore la citata “Vittoriosa sconfitta”, “Zio Paperone e la nube decolorante” e “Topolino e i segreti di Casadiavolo”, tutte molto simili per lessico e stile narrativo (Guido Martina era inconfondibile), ma disegnate da mani diverse e tutte di prim’ordine, posto che la seconda era stata realizzata da un Carpi in perfetta forma, e la terza recava le matite di Romano Scarpa.

Un tipico scontro tra lo zione e Rockerduck.

Oh, non sapevo il nome di quest’ultimo autore, ma il suo tratto riapparve appunto in “Zio Paperone e la febbre del rodio”, e non potei non notare le diversità di stile e di lessico nella sceneggiatura della storia. Non sapevo all’epoca come si chiamassero lo sceneggiatore ed il disegnatore di questa storia, né che fossero la stessa persona, ma la differenza con le storie di Martina (anche lui ignoto, ma “riconosciuto nella mano”) si faceva sentire. Se delle altre apprezzavo la punta di cinismo estremo, la cattiveria, la litigiosità dei personaggi anche nei contrasti più banali, nella “Febbre del rodio” avevo scoperto gli aspetti più altruistici, familiari, generosi della banda Disney, completando il quadro delle mille sfaccettature di quei personaggi Disney che avevo appena iniziato a conoscere.
Ed il bello è che le due cose non mi apparivano contrastanti… Uh, mi rendo solo conto adesso dei ragionamenti che la mia mente di bambino aveva iniziato a fare. Mi apparivano solo come le due facce della stessa medaglia, alla quale ogni sceneggiatore si riferiva secondo le esigenze della storia.
E dunque, bene aveva fatto quel misterioso sceneggiatore a costruire una storia non sui contrasti, ma sull’amicizia che legava la banda dei paperi in quella vicenda. E che vicenda appassionante mi era comparsa davanti agli occhi: una caccia al tesoro, letterale, che vede Paperone e Rockerduck concorrere, in modo non del tutto sleale tra loro, per accaparrarsi quanto più rodio possibile, mezzi meccanici estremi ma molto simpatici, una tribù che spia il tutto ed un grande mistero da risolvere… Cosa volere di più dalla vita?

Beh, che la storia suddetta fosse condita da un giusto valore da trasmettere al lettore, ed in questo caso era proprio quello dell’amicizia disinteressata tra Paperone e Penna Stinta, diventati addirittura “fratelli di latte” in seguito ad un episodio narrato nella prima parte e che all’epoca non avevo potuto leggere.

Il divertentissimo momento dell’incontro dei due “fratelli di latte”.

Ma adorai quel che lessi, adorai quel concetto oltre ogni confine e chissà se ancora oggi, che posso contare un coacervo di tradimenti e di amicizie saltate perché basate sull’interesse e non sul puro e semplice rapporto, non fu la lezione che trassi da “Zio Paperone e la febbre del rodio” in qualche modo a plasmare le mie idee in merito proprio nell’età in cui riflessioni più profonde sul punto iniziano a fare capolino nella mente dei bambini.
Impiegai almeno sette anni per trovare una ristampa completa della storia, quando finalmente lessi perché il legame tra Paperone e Penna Stinta fosse così forte. Ma in quei sette anni era successa la rivoluzione sui fumetti Disney: i nomi degli autori avevano iniziato ad essere pubblicati in calce alle storie.

Scelta decisamente poco saggia…

Avevo quindi già scoperto tutte le sfaccettature non solo dei personaggi Disney, ma anche dei loro autori principali, e non fui quindi sorpreso dallo scoprire che (o meglio, dall’avere la conferma ai miei sospetti che) Romano Scarpa fosse al contempo sceneggiatore oltreché disegnatore di “Zio Paperone e la febbre del rodio”. Quello stile, al contempo più pacato e meno aulico di quello martiniano, eppur capace di costruire intrecci di spessore pari per valore e per lessico, mi era ormai familiare, ma finalmente sapevo chi ringraziare con certezza per la realizzazione di questa storia, estremamente formativa a qualsiasi età la si voglia leggere, ma che per me è stata un punto di riferimento morale nei tempi a venire, chiedendo al lettore di fidarsi sulla parola di quel che ho detto, dato che preferisco non dilungarmi su vicende personali che tedierebbero soltanto senza nulla aggiungere al valore dell’opera stessa.

Ma da allora sapevo che lo Scarpa autore completo sarebbe sempre stato per me una garanzia di qualità assoluta nelle storie, cosa che posso confermare senza tema di smentite, posto che solo un paio sono state le delusioni (non me ne vogliano gli oltranzisti scarpiani, ma “Paperin Hood” e “Topolino e le rane saltatrici” mi son sempre state parecchio indigeste), mentre le certezze sono state decine e decine.
Ed anche a me l’immensa classe del Maestro, nonostante le riletture continue dei capolavori che lo hanno consacrato all’immortalità, sta mancando ormai da troppo tempo sulla pagine del settimanale, benché una nuova schiera di sceneggiatori e disegnatori abilissimi ne abbia raccolto l’eredità con sapienza e maestria.

Autore dell'articolo: Alberto E. Lunghi

Leguleio da tribunale, si è avvicinato al mondo Disney alla tarda età di dieci anni nel 1985, e da allora non ha più mollato “Topolino”, acquistando a spaglio qua e là le altre pubblicazioni dove e quando era più interessato. Appassionato di fantascienza robotica anni ’70 e ’80, con qualche capatina verso serie più recenti, si interessa del modellismo da esse derivato, e pratica molto più sport di quanto la gente sia portata a pensare. Rossonero praticamente da sempre grazie alla nonna che lo ha ben educato sotto tale profilo, voci attendibili vogliono che sia uno dei dodici Onniscienti Supremi Pikappici sparsi nell’universo, e che la sua missione sia, sotto sotto, quella di diffondere ovunque la totale conoscenza del supereroe più beccuto del mondo, unitamente a quella di Goldrake e del Grande Mazinger.