Paperino agente dell’F.B.I.

11 GIU 2015

Ci sono storie che entrano nella tua vita quando sei piccola, magari prima ancora che impari a leggere.

La testata della storia pubblicata per la prima volta su Topolino 285 del maggio 1961.

Mia mamma, ad esempio, racconta che avevo forse tre anni e mi facevo leggere e rileggere “Paperino e le lenticchie di Babilonia” a ripetizione. Quindi sì, Romano Scarpa è stato nella mia vita sin da prima che io me ne ricordi… perché di quelle letture forzate (forzate per mia mamma, beninteso) non ho memoria, davvero. Crescendo, quando mi capitò l’occasione di rileggere quella storia, mi ci lanciai con ferventi aspettative, pregustando un momento di proustiana reminiscenza che mi avrebbe riportato alla primissima infanzia. Non ci fu, nessun ricordo sepolto riemerse; apprezzai la storia per la sua bellezza, ma in un certo senso ne rimasi quasi delusa.

Ci sono storie di Romano Scarpa che invece ricordo di aver amato sin da piccola: nel bellissimo classico “Supergiallo di Topolino” c’erano tre “pezzi da novanta” che hanno segnato la mia infanzia: “Topolino e la Dimensione Delta“, “Topolino e l’unghia di Kalì“, “Topolino e il Pippotarzan“. Leggere e rileggere queste storie non bastava: bisognava riviverle, interpretarle, giocarle. Quante ore passate a mettere in scena quei capolavori, mentre giocavo con le bambole o anche da sola, interpretando a turno tutti i personaggi e deliziandomi a coglierne tutte le sfumature!

Eppure, paradossalmente, per commemorare Romano Scarpa ho deciso di celebrare una storia che ho conosciuto “da grande”. “Paperino agente dell’F.B.I.!“, per inspiegabili motivi, non giunse sotto ai miei occhi che nel 1989, grazie al numero 154 dei Classici di Walt Disney (quella che oggi noi “collezionisti” chiamiamo “seconda serie”). Questa gloriosa rivista, nel 1989, era già decisamente in declino rispetto agli strepitosi numeri degli esordi: abbandonato il “Prologo” che aveva contraddistinto i primi numeri, all’epoca raccoglieva storie solo vagamente accomunate da un filo conduttore comune.

Eppure anche in quel formato non era raro che apparissero dei numeri pregevoli. I “Classici” 154 rientra sicuramente fra questi ultimi: numero celebrativo per i 55 anni di Paperino, nel proprio indice ospitava Rodolfo Cimino, Giorgio Pezzin, Massimo De Vita, Maurizio Amendola… e ovviamente Romano Scarpa. Ben due pietre miliari della sua produzione apparivano per la prima volta davanti ai miei occhi: “Paperino e il colosso del Nilo” e “Paperino agente dell’F.B.I.!

“Chi non sa cos’è l’F.B.I.?”… un sospetto ce l’abbiamo…

E qui arriviamo al vero motivo per cui amo queste due storie in modo particolare. Avevo vent’anni all’epoca, una età in cui il “sense of wonder” scema alquanto, l’interesse per i fumetti declina o si sposta verso prodotti più “da grandi”, e l’entusiasmo in calo ti porta a pensare che ormai le storie valide siano già state scritte, e lette, tutte. Un’età in cui le “gag” di una storia a fumetti ti strappano un sorriso, non una risata, e finita la lettura butti da parte il giornalino e ti metti a pensare ad altro.

Invece, a sorpresa, quel Classico 154 non fece quella fine. Leggendo le due storie di apertura (ancora non ne veniva riportato l’autore: avrei dovuto attendere ancora alcuni anni prima di sapere che si trattava di quello stesso Romano Scarpa che da piccola avevo visto disegnare Topolino in TV) mi ritrovai a ridere di gusto, appassionarmi alle vicende, apprezzare la resa grafica e la caratterizzazione dei personaggi. Mi ritrovai a scoprire con sorpresa che c’era ancora, davanti a me, un ricco tesoro di storie da recuperare… se penso quante non ne avevo ancora letto all’epoca! Solo per citare Scarpa, negli anni successivi avrei scoperto capolavori come “la collana chirikawa”, “la fondazione De’ Paperoni”, “i gamberi in salmì”, “lo scozzese volante” e “l’ultimo balabù”.

Ma cosa avevano, di speciale, quelle due avventure? Altri vi parleranno del “colosso del Nilo”, io mi dilungherò sulla esilarante “Paperino agente dell’F.B.I.!“. Rispetto ad altri capolavori dell’artista veneto potrebbe parere meno importante, impostata com’è prevalentemente sulle gag comiche più che su una trama articolata. Eppure le gag sono di altissima qualità, e da sole reggono perfettamente in piedi una storia fantastica. Scarpa qui rappresenta Paperino in quella che è la sua personale chiave di lettura: la pigrizia e la sfortuna, le caratteristiche che oggi associamo per antonomasia a Donald Duck, non sono gli elementi chiave del personaggio. Il Paperino di Scarpa è anzi un entusiasta, si lancia anima e cuore nel suo nuovo impiego (esattore per una società elettrica), senza risparmiarsi. è anche un sempliciotto, l’unico ad ignorare nozioni basilari note ai suoi svegli nipotini, come ad esempio il nome della mitica polizia federale americana. “Chi non sa cosa è l’F.B.I.? Ma Paperino, naturalmente!“.

(Da qui in avanti seguiranno grossissimi spoiler sulla storia, chi non volesse guastarsi la lettura dovrebbe davvero procurarsela e correre a leggerla!)

Paperino comunica ai nipoti il suo “arruolamento” nelle fila dell’F.B.I.

Paperino agente dell’F.B.I.!” è una “commedia degli equivoci” basata interamente su un unico, grande malinteso: Paperino viene assunto dalla E.B.L. (Esattoria Bollette Luce), ma per un caso crede che il nome della compagnia sia F.B.I. (“scommetto che vuol dire ‘Fate i Bravi e Incassate’!“). Gonfio di orgoglio per l’importante incarico ricevuto, va in giro a vantarsi di “lavorare per l’F.B.I.” con la stessa spavalda baldanza che avrebbe un vero G-man! Dopo una serie di godibilissime gag una più spassosa dell’altra, la storia prende una piega avventurosa: il caso infatti porta lo scrupoloso esattore ad interferire con una banda di malviventi, del cui arresto sarà l’inconsapevole artefice.

Scarpa gioca moltissimo sulla comicità derivante dalla situazione: da un lato, ridiamo del pomposo orgoglio di Paperino, che vive un lavoro tutto sommato ordinario come una sacra missione; dall’altro, dell’inganno di quanti lo circondano e che credono di avere a che fare con un ardimentoso agente. Si ride, e molto, nella animatissima sequenza della fuga in elicottero (con Paperino che urla “Sono 7 dollari e 75 cents che dovete all’F.B.I.!” e i banditi che, non sentendo le sue parole a causa del frastuono del motore, assumono che li stia dichiarando in arresto), e nella concitata sequenza finale a base di “polvere gratta-gratta” e “polvere etcì-etcì”.

Lo straordinario comportamento di Paperino, che non esita a mettere in pericolo la sua vita per riscuotere una bolletta della luce!

Nel finale Scarpa gioca abilmente con gli opposti: nel momento stesso in cui glorifica il suo eroe (arrivando a mandargli a casa nientemeno che il capo dell’F.B.I. intenzionato ad assumerlo fra i propri agenti), istantaneamente lo declassa (facendogli rassegnare le dimissioni da esattore, con i nipotini che delusi commentano “Dovevamo immaginarlo che non avresti resistito per più di una giornata!“). Alla fine della storia, il lettore è l’unico ad essere consapevole di quanto sia realmente accaduto, e cionondimeno si ritrova spiazzato da una storia che è al tempo stesso un trionfo ed una sconfitta per il protagonista: lui che crede di aver fallito come esattore, agli occhi del mondo è invece un infallibile agente. Ma in definitiva, ci si chiede, Paperino è uno sciocco o un eroe? Forse entrambe le cose, un eroe infantile, con lo sguardo da fanciullo e l’entusiasmo di chi non sa distinguere le cose veramente importanti da quelle futili e affronta tutto con la stessa incontenibile irruenza. La storia è tutta lì: da un lato Paperino, l’esattore della luce che affronta il proprio incarico con la fierezza di un agente dell’F.B.I.; dall’altro gli altri, che lo credono un agente in grado di agire “con la noncuranza di un esattore della luce!“. è un “chiasmo narrativo” di grande effetto, che da solo costruisce una storia fra le più esilaranti che io abbia mai letto.

Autore dell'articolo: Brigitta McBridge