Topolino 3285
Terminata la lettura della ennesima avventura dei “Wizards of Mickey” subito ho l’impressione, prepotente, che mi sia sfuggito qualcosa, qualcosa di necessario, un po’ come il classico dettaglio che permette al detective di risolvere, in un colpo, l’enigma in cui è invischiato. Si impone quindi una seconda lettura più attenta ma, arrivato ancora una volta a conclusione, devo prendere atto che no, non si tratta di una mia svista, ma di una vera mancanza: manca una storia, una trama, un qualcosa che tenga insieme le circa 50 tavole di battaglie, combattimenti e pipponi sull’amicizia. Lo stesso Venerus deve essersene reso conto in fase di rilettura, tanto che accrocchia lì per lì una supercazzola fatta di prescelti, universi tascabili e pipponi sull’amicizia.
Il paradosso è che finisce per fare più danni che altro alla storia stessa: dopo le prime saghe partorite da Ambrosio, che cercavano di avere delle pretese narrative, saccheggiando di qua e di là il classico immaginario fantasy e coniugandolo con orribili contaminazioni prese dalla realtà odierna, WOM aveva già esaurito quel poco che aveva da dire. Ma il successo tra alcune fette di pubblico (vorrei nomi e cognomi!) ha imposto di tenerlo in vita oltre il lecito. Infine proprio questa volta Venerus sembrava aver trovato la strada: via ogni velleità romanzesca, si trasforma tutto in un videogame, uno Street fighter spruzzato di Disney e di fantasy o, se preferite, in un torneo di wrestling con tutto il suo corredo di buoni, cattivi, faide, etc… Combattimenti senza pensieri e una riciclabilità senza fine. Invece no, hanno voluto per forza cacciarci dentro le solite cose, leggende, maghi, eroi, pipponi sull’amicizia (l’avevo già detto? Scusate, ma è pur vero che il modo che usano per far passare il messaggio sull’amicizia è talmente infantile, banale e stereotipato… Ogni volta che vedo i tre che guardano dritti in camera, sorridenti, declamando “stiamo uniti”, mi torna in mente Morandi a Sanremo e un brivido di raccapriccio mi percorre la schiena).
Va beh, WOM è questo, buona lettura a chi piace, gli altri hanno comunque qualcosa di interessante da leggere. In particolare, delle due storie firmate da Zemelo in questo numero, voglio citare quella che è più tipicamente sua, anche se piuttosto breve. “Qui, Quo, Qua in: al mostro, al mostro” si fa notare non solo per i disegni di Lavoradori ma anche per essere una rilettura (immagino volontaria) del “colombre” di Buzzati, in cui però viene totalmente riscritto il finale prediligendo, giustamente, una versione più in linea con la rivista e anche più propositiva. Se nel racconto originale il protagonista trascorre l’esistenza a fuggire dalle paure altrui (in particolare del padre), in questa rivisitazione i tre fratelli riescono invece a sconfiggere le proprie.
Simpatica la seconda storia dell’autore, anche se con un Filo Sganga intrallazzatore come sua natura, ma a un livello più basso del solito, costretto ad inseguire un pasto e qualche pagamento di bollette piuttosto che affari mirabolanti per quanto, appunto, “sgangherati”.
La chiusura è per una classica storia di sfide affaristiche tra Zio Paperone e Rockerduck, dove però il finale è poco soddisfacente. Salati si muove ottimamente sui binari tracciati da Pezzin e soci, ma l’obbligo di arrivare all’esito scontato e fin troppo prevedibile (dettato dalla componente ecologica insita nelle Giovani Marmotte) lo costringe ad un salto mortale narrativo che alla fine rende la vicenda poco credibile.
Non solo fumetto: per i nostalgici dei Pokemon (ma che davvero?) e per chi li ha appena scoperti, intervista agli sviluppatori dei loro videogame.