Le interviste del Papersera – Massimo Marconi

12 SET 2008

In occasione della saga olimpica recentemente pubblicata su Topolino, abbiamo raggiunto telefonicamente Massimo Marconi, una delle figure “storiche” della redazione Mondadori (allora editore di Topolino) a partire dagli anni settanta. Il lungo lavoro di “sbobinatura” (si dirà ancora così anche se la registrazione è digitale?) ha fruttato questa lunga ed interessante intervista, suddivisa in tre parti.

Prima parte

Una caricatura di Massimo Marconi eseguita da G.B. Carpi.

Paolo: Raccontaci dei tuoi inizi, come sei arrivato a Topolino?
Massimo Marconi: Era verso la fine del 1968, ed io avevo appena finito gli esami della laurea in Giurisprudenza, e mentre ero in attesa di discutere la tesi, dato che allora c’erano molte offerte reali di lavoro reali ed affidabili sui giornali, io avevo risposto ad una ventina di queste, tra le quali una che mi aveva fatto notare mia mamma, relativa ad un giornale sportivo. Mi hanno risposto in tanti, ma io ho scelto il giornale sportivo, era dedicato allo sci e si chiamava “NeveSport“, oggi non esce più, ma è uscito per parecchi anni, era settimanale da Ottobre a Marzo durante la stagione invernale, e mensile negli altri mesi.
Ho cominciato lì anche con un certo successo, si trattava di un buon giornale, dove sono “passate” parecchie persone, mi ricordo di Claudio Sabelli Fioretti e Walter Tobagi; è stato un po’ una palestra di talenti.
Da lì, nel 1970, sono passato a “Bolero“, uno dei periodici Mondadori che all’epoca vendeva milioni di copie, e il cui direttore, oltretutto, era Luciano Pedrocchi, fratello di Federico, il grande autore Disney degli esordi.
Nel marzo dell’anno dopo, sempre nell’ambito della Mondadori, si era aperta la possibilità di un “passaggio interno”, di uno scambio, così una redattrice è passata a Bolero ed io sono andato a Topolino, e con molto entusiasmo: dopo lo sport la mia grande passione è sempre stata quella dei fumetti, e lì ho potuto occuparmene fin da subito, e anche della parte redazionale.
Tra l’altro, avendo avuto una famiglia numerosa con quattro figli, ho comunque continuato a collaborare sia con “NeveSport” che con altri giornali, anche perché a Topolino quello che mi interessava di più fare erano le storie, ma non c’era molto spazio, in quanto il grosso delle storie era realizzato Guido Martina e Gian Giacomo Dalmasso, che allora era il responsabile delle sceneggiature, e a me non restavano che 2-3 storie l’anno…

Carpi e Scarpa partecipano a Canzonissima nel 1969.

P: Eri un appassionato del fumetto Disney? Quali sono i tuoi autori preferiti?
Sin da piccoli, io e mia sorella ci divertivamo a riconoscere i disegnatori che apparivano sulle pagine di Topolino, ovviamente senza poter dar loro un nome. Quello che ci piaceva di più era Barks, che si capiva essere americano, e subito dopo Scarpa, che avevo capito, pur avendo una mano felicissima, essere italiano dall’argomento di certe storie. Poi negli anni sessanta ho assistito ad un programma (Canzonissima, N.d.R.) dove venivano presentati Scarpa e Carpi, non riuscii a capire chi fosse l’uno e chi l’altro, anche perché i nomi erano abbastanza simili, però ho visto benissimo chi era quello più alto, che disegnava i paperi che mi piacevano tantissimo, quelli che con mia sorella chiamavamo “i paperi coi becchi lunghi“, così io per anni quei disegni li ho chiamati di “Scarpacarpi”…
Devo dire che ero abbastanza bravo, riuscivo ad individuare gli autori Disney anche su altre pubblicazioni: Bottaro che faceva Pepito, le storie di Nonna Abelarda di Cucciolo, e tutte le altre fatte da Carpi e Chierchini, però dar loro un nome era praticamente impossibile. Poi li ho conosciuti personalmente ed è stata una grande emozione, anche se devo dire che poi non erano quei personaggi che mi immaginavo, erano gente molto alla mano, molto modesta… e sì… anche abbastanza simpatica tutto sommato (ride)!

P: Certo, il tuo ruolo di redattore ti ha portato a lavorare con tutti i grossi nomi della Disney di allora…
MMa: Quando nel 1971 sono arrivato io, era Dalmasso che si occupava del controllo delle sceneggiature, e la produzione italiana non era altissima: erano circa 2 a numero su Topolino, più qualche cosa sull’Almanacco, di queste molte le faceva Martina, che logicamente non passava per il controllo di Dalmasso, altre le faceva Dalmasso stesso, al quale, quindi, non ne rimanevano molte da controllare, forse solo quelle dei più giovani come me e Pezzin.
Poi, quando la Mondadori si trasferì a Segrate, Dalmasso lasciò il suo ruolo, e la gestione delle sceneggiature è stata un po’ anarchica finché nel 1980 non ha preso in mano il settore Franco Fossati, facendo un po’ di necessario repulisti, e mettendo ordine.
Siccome avevo una certa esperienza di “cucina redazionale”, la prima cosa che Capelli, allora caposervizio, mi diede in mano fu una boccetta di china, un pennino e mi disse di controllare tutte le storie disegnate per verificare se le code di Topolino e di Minni fossero state sempre disegnate! Era una cosa che mi spaventava: se la coda c’era ok, ma se non c’era, l’avevano dimenticata o semplicemente non si vedeva? E poi non è che io avessi una mano molto felice nel disegno, e quindi per fortuna quella cosa decadde e il direttore mi ha passato alla revisione delle sceneggiature, e lì cominciai a fare delle correzioni più massicce: ad esempio Martina era bravissimo, ma era di un prolisso che non finiva mai, mentre Dalmasso faceva un sacco di incisi, si è cercato di togliere quello che si capiva già dal disegno. E poi c’erano sceneggiature facili da controllare ed altre che invece erano disastrose (come succede anche adesso e come è sempre successo), non avevano un senso logico, e dovevi cercare di salvarle in qualche modo…

P: Ma non c’erano solo le storie italiane, in quegli anni Topolino pubblicava un buon numero di storie straniere.
MMa: Esatto, infatti un altro lavoro molto impegnativo era quello di correggere le traduzioni delle storie straniere, e spesso si trattava di storie già molto scadenti nell’originale: storie degli studi Disney, qualcosa che cominciava ad arrivare dal Brasile… Venivano tradotte in genere da gente che sapeva molto bene l’inglese ma che non aveva alcun “frasario” fumettistico, ed anche quel compito fu una buona palestra, perché riuscire a dare un senso logico, o riuscire ad accorciare queste storie si è rivelato un buon esercizio.

P: Era Gentilini la persona che prendeva sempre l’ultima decisione su cosa pubblicare?
MMa: Sai, tutto quello che ti ho raccontato finora avveniva negli anni settanta, nell’ultimo periodo di Gentilini. Io ho avuto la sfortuna di conoscerlo quando già era in fase calante ed oltretutto già non più in buoni rapporti con la direzione Mondadori: le cose non andavano molto bene, tanto è vero che alla fine degli anni 70 Topolino aveva perso un po’ tutti i migliori disegnatori, perché era riuscito a litigare un po’ con tutti: o perché non dava gli aumenti, non dava particolari riconoscimenti, e Topolino aveva preso una china un po’ in calando: pur essendo una testata molto forte andava giù in un momento in cui tutti gli altri giornali tipo Lanciostory, L’Intrepido ed altri incontravano una sorta di rinascimento del fumetto.

Topolino 1302, il primo firmato da Gaudenzio Capelli.

Nel 1980 Gaudenzio Capelli diventò direttore, e le cose cambiarono radicalmente: fu data più visibilità agli autori, si intensificarono i contatti, ci furono più gratificazioni a disegnatori e sceneggiatori, ed anch’io ho avuto un ruolo più sostanzioso con la possibilità di operare anche a monte: per dire, invece di limitarmi a correggere una traduzione, potevo finalmente parlare direttamente col traduttore
Un altro esempio è Marco Rota: nonostante fosse Art Director nella gestione Gentilini, era arrivato al punto di non controllare più le tavole che gli davano da correggere, perché tanto non poteva fare niente: alla prima correzione che faceva, il disegnatore andava da Gentilini “a piangere”, ed otteneva l’annullamento della correzione.

P: …il disegnatore ha sempre ragione…
MMa: Erano altri tempi, e comunque bisognava fare i conti con la permalosità dei collaboratori, dato che servivano sempre più storie, e non è che allora ci fosse moltissimo da poter scegliere. In quegli anni un disegnatore appena appena meno che scadente avrebbe trovato subito lavoro… e comunque non ce n’erano. Oggi che ci sono dei disegnatori bravissimi, sono a spasso, per mille motivi…
E non solo Topolino: Bonelli negli anni 80 non poteva far decollare nuove serie perché non aveva a disposizione abbastanza disegnatori bravi, e quei pochi che aveva lavoravano già a tempo pieno su testate “protette” tipo Tex… Ma ora anche lui deve mandar via dei disegnatori.

P: Di certo la gestione Capelli fece degli ottimi risultati, inanellando molti record di vendite, specialmente in concomitanza con il gadget estivo allegato al fascicolo. Furono i gadget il traino principale di queste vendite record o individui qualche altra causa?

Uno dei tanti numeri di Topolino “da record”.

MMa: Credo che molto fosse dovuto al momento: c’era un fascino Disney molto forte, ricominciavano ad uscire i cartoni animati, poi, certo, anche i gadget hanno avuto il loro ruolo. Comunque il milione di copie si raggiungeva anche negli anni 70 con la Mondadori, ed anche allora con i gadget, in particolar modo con le monete, che erano molto appetibili.
Ma considera che comunque un risultato “normale” era la vendita di 800.000 copie, e con un prodotto che a dire la verità negli ultimi anni 70 era piuttosto scadente! Tu sai che i lettori non scrivono mai per dire questa storia è bella, questa è brutta… adesso magari succede su internet (e noi ne sappiamo qualcosa… N.d.R.), ma direttamente a Topolino è rarissimo che scrivano. In quel periodo, poi, scrivevano cose tipo “non posso comprare topolino, me lo mandi gratis?” oppure “chi sono i genitori di Qui, Quo e Qua?“. Be’, ci furono momenti in cui scrivevano anche per dire “questa storia è brutta“, “non comprerò più Topolino“, eppure si vendevano 8-900.000 copie!
Oggi che è fatto decisamente meglio che in altri anni… i numeri non sono più gli stessi: io non credo sia legato alla qualità.
L’obiettivo, anche allora, è sempre stato quello di fare delle storie “da sei” perché sai benissimo che non puoi fare troppi capolavori, è impossibile. L’importante è non fare delle belle schifezze, perché quelle puoi evitare di farle! Ne può scappare qualcuna, e devo dire che negli anni 80, 90 e anche adesso la media ha tenuto, anche se ogni tanto c’è qualcosa che la fa calare… però è sempre stato così…

P: Riguardo le storie “da sei” non sono molto d’accordo: forse la media allora come adesso era intorno al sei, ma perché prima c’erano dei “capolavori” da 9-10, accompagnati da molte storielle parecchio sotto il 6, oggi non ci sono più storie così scadenti, ma nemmeno capolavori, o per lo meno, sono molto più rari…
MMa: Forse c’è anche meno personalità… Io vedo qualche volta dei disegnatori che sono veramente bravi, a livello di “genio”, ma poi di fatto non sanno raccontare: andrebbero benissimo per l’illustrazione, e infatti se vedi i libri illustrati Disney sono tutti dei capolavori, però poi i personaggi non recitano, non fanno niente, le storie hanno un taglio televisivo…

Una tipica scena di interni realizzata da Chierchini.

Le storie una volta erano dei film, adesso sono diventate un po’ troppo un prodotto televisivo, e spesso non riescono a farti sognare, mancano di un qualche cosa. Prendi ad esempio le storie di Chierchini, che forse è l’unico disegnatore che non si è mai evoluto, nel senso che è sempre rimasto uguale, con tutti i difetti che possono avere quelle storie, i muri che sono quelli della Genova periferica, i personaggi che sono chiaramente italioti, però ha una “personalità”: ti fanno ridere, ti danno qualche cosa in più.
Riguardo, poi, alla qualità di certi autori, da lettore io sapevo che prima o poi, tipo una volta al mese, una storia di Scarpa mi sarebbe capitata, sapevo che prima o poi una storia di Barks sarebbe uscita. Però se eri sfigato usciva un numero con due storie di Perego, e comunque lo sopportavi perché tanto sapevi che era così e perdonavi: per tutti i prodotti seriali c’è molta più indulgenza da parte del pubblico.
Comunque, per tornare alle vendite degli anni passati, bisogna tener conto anche del fatto che la generazione degli anni 90 è necessariamente diversa dalla mia che sono nato nel 1945. Noi al cinema quando c’erano le pubblicità dei film Disney che sarebbero usciti – e già ne usciva uno ogni sei anni – non avevamo neanche la possibilità di vedere il titolo completo, al massimo ci mostravano il logo del titolo, senza alcuna immagine Disney, perciò leggere Topolino era l’unico modo per essere in “contatto” col mondo Disney.

P: Un “contatto” che era una vera e propria istituzione, diffuso ovunque e letto da fasce di pubblico molto ampie ed eterogenee…
MMa: Io ricordo che una volta, prima di partire per le ferie ho perso un numero perché non era ancora uscito a Milano: quando sono arrivato sulla riviera adriatica lì era già finito, ed ho perso quel numero (infatti una delle prime cose che ho fatto quando ho iniziato a lavorare a Topolino è stato leggere quel numero perso). Non ero un ragazzino, avrò avuto 15 o 16 anni, ma non ero l’unico aficionado, Topolino era allora come negli anni 70 e 80, il settimanale italiano in assoluto con il più alto tasso di fedeltà di lettori. Mi pare di ricordare da una ricerca dell’epoca che sui lettori degli ultimi 30 giorni, i lettori di Topolino leggevano 3 numeri su 4: una fedeltà eccezionale, una cosa che sicuramente non avevano né i giornali femminili né Panorama e né altri; forse La Settimana Enigmistica aveva una fedeltà come quella lì.
Oggi cosa vuoi… Topolino, almeno la storia principale, lo riesci a leggere su internet se sai un poco come andare a smanettare…

P: Ma questa tanto chiacchierata “crisi” di Topolino c’è davvero?
MMa: Non lo so, a quanto sento, se Topolino non avesse gli abbonati sarebbe quasi sparito dall’edicola: ti ricordi come si faceva una volta, quando usciva il sabato? Andavi in edicola e c’era il mucchio di Topolino e quello de La Settimana Enigmistica.
Mi ricordo che avrò avuto 19-20 anni, e non volevo più comprare Topolino, né La Settimana Enigmistica, però andavo giù in edicola, a comprare la Gazzetta dello Sport, li vedevo e mi dicevo “Vabbè, è l’ultima volta…“. Era come smettere di fumare, si facevano pubblicità da soli. Oggi non lo noti neanche più, non c’è più quel bel pacco che c’era una volta: lo vedevi e “…ah si, è uscito Topolino“.
Però… sai, a Milano ad inizio novecento c’erano 7-8 piste di pattinaggio, ed ora non ce n’è più neanche una… cambiano le mode… spero che Topolino possa riprendere in qualche maniera, magari sotto altre forme. E comunque è un discorso per tutto il fumetto in generale, che meriterebbe di essere conservato come fanno in Francia, ed anche protetto, cosa che qui in Italia non succede, perché comunque è un’introduzione alla lettura, perché comunque è qualche cosa di più che non fare niente.

P: Però è tutto il settore del fumetto ad essere in fase decisamente calante: una volta l’edicola era piena di testate dedicate al fumetto comico: Tiramolla, Cucciolo, Nonna Abelarda, Trottolino, Braccio di Ferro, il Corriere dei Piccoli e tantissimi altri…

Il numero 1520 di Topolino, dove furono distribuiti i dati sull’età media dei lettori.

MMa: Certo! Ed erano tutte più o meno dignitose, e poi c’era una certa regola di mercato: quelle che non erano fatte bene cadevano, quelle che erano fatte bene duravano, non per niente Tex che è un prodotto completamente fuori target e fuori mercato, continua ad andare…
Io ricordo quando un fascicolo di Topolino aveva 7 milioni di lettori, di cui 4 milioni al di sopra dei 15 anni, e quindi considerati adulti; allora si diceva “Topolino lo leggono tutti“, ma non era esatto: Topolino lo leggevano, e lo leggono, tutti quelli che hanno qualcosa in più, non dico che necessariamente fossero più intelligenti, ma più orientati alla lettura, e poi considera che era un giornale un po’ più da fighetti, non ti facevi vedere in giro a leggere Topolino se avevi 14 o 15 anni. Ed infatti il merchandising Disney non è mai andato bene in quegli anni, stranamente va di più adesso che il fumetto vende di meno: in quegli anni c’era il boom economico, ma ci si sarebbe vergognati ad avere qualcosa col marchio Disney, solamente i collezionisti acquistavano cose del genere.
Credo che comunque sia cambiato tutto il pubblico: se prendi un Topolino degli anni 50, ti chiedi “ma come faceva un bambino a capire queste storie? a capire questi servizi?“… ed invece si interessavano evidentemente viste le vendite; poi magari qualcuno saltava i redazionali, però in molti li leggevano. Era un po’ quello che succedeva nel cinema: se la nostra generazione fosse andata a vedere solamente film per ragazzi avremmo visto si e no 10 film in una vita, invece noi li vedevamo tutti, vedevamo qualsiasi cosa: io mi ricordo di aver visto “Rebecca“, cosa avrò capito a 7-8 anni di quel film? Comunque lo guardavo, e qualche cosa in testa mi sarà rimasto forse.

P: Oggi si tende a dare il prodotto più facile, che possa essere fruito senza alcuno sforzo da parte dei bambini, sottovalutandone le capacità.
MMa: Infatti, non credo si possano applicare le regole del marketing ad un prodotto come Topolino, era un vero e proprio fenomeno, un po’ come Carosello: si diceva che Carosello era uno schifo che non poteva funzionare, contrario ad ogni regola, con sketches pubblicitari di due minuti… però poi Carosello ha segnato un’epoca, a dispetto di tutti: era un “prodotto” che non sarebbe mai dovuto uscire se si fossero seguite le regole delle ricerche di mercato.
Topolino allo stesso modo non sarebbe mai stato pubblicato, perché non aveva un target di riferimento, perché non aveva un pubblico di riferimento, anche la scelta del formato tascabile fu casuale: nessuno voleva farlo in quel modo: Gentilini, questo me l’ha detto Ambrogio Vergani, quando fu deciso il formato “Selezione“, era contrario, e non mancò di farlo sapere alla direzione Mondadori, poi però si vantava di averlo inventato lui…
Il fatto è che nessuno credeva in questo prodotto ed invece andò bene sin da subito, e fortunatamente hanno capito che valeva la pena di non toccare mai niente, solo dei minimi cambiamenti, per mantenere quest’alchimia forse un po’ casuale ma vincente.
Poi, invece, fu come per le automobili: supponiamo di avere un’automobile di successo, che usano tutti: quelli che vogliono la macchina grande, quelli che vogliono l’utilitaria e quelli che vogliono la macchina sportiva. Bene, compito del marketing è quello di sostituirla con altre tre vetture: una grande, un’utilitaria ed una sportiva…
Così già quando si è iniziato a creare Cip & Ciop, e tutto il segmento del pre-school, un po’ ci si è danneggiati il prodotto principale: Topolino era un fenomeno, senza che nessuno si fosse messo a studiarlo, funzionava e funziona, è irripetibile, un “monstrum“.
Tu pensa a Guido Martina, aveva un’intelligenza e una cultura eccezionali, veniva dal cabaret, aveva scritto delle commedie musicali, era completamente al di fuori di questo genere, le sue battute erano pesanti, di difficile comprensione eppure funzionavano. Ed è stato lui quello che praticamente ha determinato il fenomeno del Topolino italiano. Indubbiamente l’apporto di Barks e Gottfredson ha contribuito, ma il grosso del Topolino Libretto sono state le storie italiane. Eppure a Martina oggi non faresti fare nemmeno due tavole di sceneggiatura, purtroppo. E sono molti i casi simili del passato: cose in cui nessuno credeva e che hanno poi avuto un grande successo.

P: Qualche cambiamento deciso, comunque, c’è stato negli ultimi anni, mi riferisco in particolare alle testate di PK e del Mistery Magazine di Topolino. Tu che opinione hai di questi filoni?
MMa: Devo dire che sono state ottime iniziative. Io ero già fuori, ho giusto vissuto l’avvio di PK, ma borderline perché non me ne occupavo. Però non ho mai capito perché quelle iniziative non sono partite sul Topolino…

P: Immagino per il formato delle tavole innanzitutto…

Un’innovativa tavola dalla prima serie di PK.

MMa: Be’, le puoi far partire su Topolino, e se poi hanno successo le tiri fuori. L’Almanacco Topolino vendeva bene, Mondadori l’ha chiuso perché vendeva “solo” 120.000 copie, adesso farebbero i salti mortali, e secondo me riusciva a vendere così bene perché c’era Topolino alle spalle. I classici vendevano 400.000 copie quando Topolino ne vendeva 800.000, e quando ne vendeva un milione, i classici ne vendevano 500.000.
In pratica, era come se Topolino fosse la corazzata, e si portava dietro tutta la flotta.
Quindi, si può fare Anderville su Topolino, certo la storia sarà un po’ mortificata dal formato, però considera che abbiamo conosciuto anche “L’Inferno di Topolino” sul libretto, abbiamo conosciuto il meglio su quel formato, ed anche quando erano stampati piuttosto male.
Poi c’è sempre tempo per farli uscire in testate proprie, ma intanto tieni il meglio su Topolino. Quello è stato secondo me un errore: creare delle testate (che poi infatti non sono durate) che non potevano avere una vita autonoma. Lo stesso Paperinik (non PK, quello classico), se pensi bene ha fatto una cinquantina di storie in 10-15 anni e poi fatalmente è dovuto scendere a dei compromessi, cioè diventare anche lui un po’ una macchietta. La stessa cosa ha rischiato PK perché avevano messo in piedi delle cose talmente complicate, aperto talmente tante sotto trame, tante possibilità che alla fine si perde anche lo sceneggiatore, ma soprattutto si perde il lettore, che ha troppe cose da seguire, da ricordare, da fare…
E poi, per tornare al discorso del formato, è importante mantenere una propria identità: Bonelli fa il formato “bonelliano”, non si sognerebbe mai di mettere in piedi un formato Topolino, e allora Topolino soprattutto deve fare il formato Topolino! Se avessero fatto delle belle storie di PK, di MMMM o anche di X-Mickey, avrebbero funzionato molto bene sul Libretto, e poi avrebbero dato luogo ad altre testate specialistiche e comunque avrebbero “costretto” la gente a continuare a dipendere da Topolino: se negli anni della mia gioventù avessero messo le storie dei disegnatori migliori sull’almanacco, col cavolo che avrei comprato Topolino, rischiando di prender dentro storie di Ezechiele Lupo, o certi orrori che venivano fuori da non so dove, o storie di Perego, o di De Vita padre che, mi dispiace, ma non mi piaceva. Avrei comprato soltanto l’Almanacco, non ti pare?
Ma Topolino è sempre stato un po’ trascurato, tutto sommato. Negli anni che sono stato in redazione ho sempre notato un po’ di “puzza sotto il naso” nei riguardi delle storie, sembrava quasi che le storie fossero una cosa marginale, e ci si dedicava di più ai redazionali, ai giochi agli inserti… forse perché era più vicino al nostro spirito giornalistico non essendo noi autori e soprattutto non essendo disegnatori: mi ci metto dentro anch’io pur avendo io sempre preferito di gran lunga i fumetti ed infatti devo dire che sono l’unico della redazione che in tutti questi anni ha fatto anche l’autore, perciò ho sempre rispettato molto gli autori, anche quelli che mi stavano antipatici.

Seconda parte

Paolo: Hai lavorato con tutti i disegnatori “classici” della scuola Disney in Italia, hai un ricordo particolare di qualcuno?

La prima storia di Marconi su Topolino: ‘Paperino e le disavventure della Grat-Super’.

Massimo Marconi: Sai, in redazione una volta venivano poco, capitavano le visite “canoniche”, una volta ogni tanto, poi qualcuno come Massimo de Vita, che stava a Milano portava la storia di persona e lo si vedeva un po’ più spesso, anche Asteriti, però tutti gli altri era difficile incontrarli. Io sono una persona abbastanza riservata, ma il fatto di essere lì, di vedere questa gente mi emozionava, anche se non ho mai chiesto una tavola, né un autografo, però stavo ad ascoltare, e devo dire che erano tutti abbastanza lusingati.
Va detto anche che li ho conosciuti tutti in un periodo particolare, in cui stava nascendo l’interesse per un approccio più filologico allo studio sugli autori, ed ho visto della gente addirittura riscoprirsi attraverso le ricerche, attraverso i lavori critici dei vari Boschi, Brunoro ed altri. Specialmente per i disegnatori è stata una grande novità: io penso che molti prima nascondessero il fatto di fare “solo” fumetti, e qualcuno sotto sotto forse si sentiva un po’ fallito perché aveva altre ambizioni, venendo dalla pittura!
Comunque devo dire che, pur con i loro difetti ed umanamente tutti un po’ caratteriali, ma come in qualsiasi altro settore, erano tutte persone di notevole spessore, specialmente i più bravi. C’è poco da fare: i migliori erano quelli che avevano una personalità migliore, non i più buoni eh, per carità, ma con una personalità!

P: E tra i più giovani, c’è qualcuno che ti ha colpito maggiormente?
MMa: Ultimamente faccio fatica a distinguerli, una volta li riconoscevo subito al primo colpo, adesso sono rimasto un po’ indietro, però ce ne sono di bravi… forse oggi il difetto più diffuso è quello di non saper “raccontare”. Credo che l’ultimo raccontatore sia stato Alessandro Barbucci, e con lui quelli dell’infornata dei primi anni dell’Accademia Disney: i vari Sciarrone, Camboni, ed altri, che si sono formati quando i maestri erano loro molto vicini, li seguivano di più, guardavano, vedevano, correggevano. In particolare c’era Carpi che li seguiva, poi i consigli arrivavano un po’ da tutti, compreso il sottoscritto, ed era anche abbastanza lunga la trafila.

Il “Paperino Paperotto” di Alessandro Barbucci.

Oggi probabilmente il corso li rende un po’ tutti omologhi: ho visto disegnatori che prima di fare il corso Disney gli avresti sparato ad una tempia e dopo uno-due anni di corso Disney dicevi “non può essere lui, è veramente diventato un’altra cosa! Grandissimo! Bravissimo!“. Però quella che uno non imparerà mai, perché non la si può insegnare, è la capacità di raccontare: quella devi averla un po’ innata. È un po’ come la sceneggiatura: della sceneggiatura puoi insegnare la tecnica, che è abbastanza poca, ma non puoi insegnare l’arte di raccontare fatti.
Mentre tanti disegnatori sono usciti dall’accademia ad un alto livello, non è stata la stessa cosa per gli sceneggiatori, quelli che sono i bravi sceneggiatori di adesso non sono passati per l’accademia, o ci son passati casualmente: un Casty non è passato per l’accademia, un Fausto Vitaliano non mi pare proprio sia passato per l’accademia. Perché la sceneggiatura, il racconto, l’arte di muovere i personaggi non la puoi insegnare, puoi insegnare l’arte della scrittura, ma se non hai niente da raccontare come fai ad imparare? Al massimo puoi copiare da altri, ma… non credo sia molto bello!

P: Capisco, è un po’ come se uno volesse scomporre le sceneggiature negli elementi che le compongono e rimontarli cambiando qualcosa, o ordinandoli diversamente: il risultato non può essere soddisfacente, mi vengono in mente le storie di Rodolfo Cimino: le tematiche sono riconducibili sempre a pochi elementi, ma bisogna saperli fondere, magari con quello che chiamiamo “lo stile Disney”.
MMa: Certo, e ti dirò di più: la storia è quella cosa che non esiste finché non la vedi realizzata; e lo stesso vale anche per un film, o per un’opera teatrale. Anche per questo una storia dipende sempre molto da chi la disegna, non è casuale che uno si ricordi le storie più belle di Cimino come quelle realizzate da Scarpa o da Cavazzano, certo non ti ricordi quelle disegnate da Bargadà o da altri…

L’innovativo rapporto Topolino-Gambadilegno di Tito Faraci.

Rimane il fatto che insegnare a raccontare è impossibile, non dico che sia una cosa innata, però forse uno l’acquisisce con tanta pazienza. Io ad esempio non mi reputo un bravo sceneggiatore, nel senso che non sono uno sceneggiatore “di pancia” come può essere un Tito Faraci: lui è uno sceneggiatore di pancia, ed anche con una grossissima testa. Io ho una “testa grossa” nel senso che ho dentro tante cose perché mi sono passate davanti migliaia e migliaia di storie, che leggevo e controllavo, comprese tutte quelle orribili del Mega Almanacco, che mia moglie traduceva, alle quali dovevo fare i salti mortali per dar loro un senso logico… Se metti insieme tutta questa esperienza, il mio lavoro di creazione è un po’ un patchwork perché, senza rendertene conto, si prendono pezzi un po’ da tutte le fonti. Diciamo che faccio un buon lavoro di “cultura”, cosa che non puoi pretendere da uno sceneggiatore giovane, che non può avere tutta questa conoscenza, se non è un deficiente come me che sono cresciuto con Disney e continuo ad andare a vedere i cartoni animati!
E allora devi avere qualche cosa di innato. D’altra parte se uno è bravo a fare lo sceneggiatore ed è anche abbastanza intelligente, chi glielo fa fare di fare lo sceneggiatore di fumetti? Appena riesce a mettere piede in televisione o al cinema forse gli conviene. Una persona come Faraci, che oltretutto è uno che sa anche vendersi bene e che conosce tutto e tutti, mi domando perché non si mette a fare qualcosa di televisivo se non proprio di cinematografico… (basta che Tito non abbandoni i fumetti! N.d.R.).

P: Be’ comunque anche la realizzazione di un buon fumetto è una fonte di soddisfazione personale per il suo autore, non c’è l’obbligo della televisione per poter essere considerati bravi!
MMa: Considera comunque che quello dello sceneggiatore non è un lavoro molto ben remunerato: io dovessi vivere di fumetti non saprei da che parte cominciare, fare 3-4 o anche 10 storie all’anno non ti permette di mantenere una famiglia.
Quando ero io responsabile delle sceneggiature mi sarei potuto approvare tranquillamente molte più storie. Al proposito c’è un aneddoto: la prima volta che ho realizzato una storia, sono andato da Capelli e gliel’ho raccontata, e lui mi ha detto “Ma è scemo? Se l’approvi lei, e non mi venga a raccontare niente, come non mi racconta niente delle altre…“. Eppure poi non riuscivo neanche a farle perché qualcuna non mi convinceva, un’altra non funzionava…
Paradossalmente per vivere di sceneggiatura devi essere scadente, nel senso che butti dentro tutte le cose senza accorgertene, fai un bel lavoro di mestiere e vai… Appena appena sei un po’ bravino ed hai un po’ di amor proprio, ti blocchi: trovare tutti i giorni, o almeno una volta alla settimana, una buona idea è difficile, perché se non fai almeno una storia alla settimana con Topolino (o una ogni tre da Bonelli) non riesci a mantenere una famiglia… È dura fare lo sceneggiatore… e oggi è dura anche fare il disegnatore, perché sono a spasso!
Lo sceneggiatore, a parte il dovere o non dovere passare da qualche forca caudina di controlli, deve avere l’estro, avere l’idea, deve scrivere… poi, per carità, lo scadente te ne fa 20, e quello bravo… ne fa anche lui 20 ma le butta via, le accantona, le mette da parte. Io ricordo quando agli sceneggiatori più bravi tipo Concina, Panaro chiedevo un aumento di produzione, più di tanto non riuscivano a fare, se la persona è intellettualmente onesta. Io adesso una sceneggiatura di una storia la riuscirei a fare anche in 2 giorni se mi gira bene, però è possibile che passo anche due anni a pensare a un soggetto.

Una vignetta dal ciclo di storie di “L’economia di Zio Paperone”.

Proprio in questi giorni devo fare per la Disney un soggetto che era lì, giaceva che eravamo ancora in Mondadori, finalmente ora ho trovato la piccola soluzioncina, l’ho proposta e è andata bene, però si tratta di una roba che ha vent’anni! E non è che l’avessi dimenticato, è che col tempo lo riprendevo in mano ma non mi convinceva, e nelle stesse condizioni ne ho tanti altri… e non sono l’unico, tanti altri hanno il soggetto/sogno nel cassetto che non riesce ad emergere, perché sei onesto e sai che manca qualche cosa.
Certo questa non è una garanzia che una volta che tiri fuori il soggetto hai una bella storia, però almeno con te stesso sei onesto. Ma, come dicevo prima, se sei onesto, non vivi, non mangi, un po’ la situazione va “forzata”, e io parlo da privilegiato, ho sempre avuto un posto e uno stipendio, le storie le facevo sempre con calma e senza ansia, tranne quelle obbligatorie da fare in due giorni perché magari non le faceva nessuno…

P: Immagino tu ti riferisca a quelle promozionali?
MMa: Si, oppure quelle de “L’Economia di Zio Paperone“, quelle sponsorizzate dal Sole 24 Ore. Poi un giorno ho scoperto che Alessandro Sisti era più bravo di me, e ne ha fatte parecchie lui.

P: Conosci un certo “Antonio Secondo”?
MMa: Temo che la soluzione del “mistero” di Antonio Secondo non sia niente di eclatante. Si tratta semplicemente del secondo e terzo nome (carta d’identità alla mano) di Massimo Marconi. Una volta, infatti, si usava aggiungere all’atto del battesimo i nomi dei nonni. L’uso dello pseudonimo è nato ai tempi delle prime collaborazioni con il giornale “NeveSport“: non faceva “fine” firmare cinque o sei pezzi a numero con lo stesso nome, perciò alcuni andavano sotto pseudonimo. Antonio Secondo – con quel tanto di regalità o papalità che contiene – funzionava benissimo.
L’uso nelle storie Disney è nato dal desiderio di poter avere un giudizio sincero da parte dei colleghi: chi avrebbe altrimenti avuto il coraggio di criticare i lavori dell’onnipotente responsabile delle sceneggiature? Tuttavia il machiavello si rivelò ben presto un segreto di Pulcinella e l’uso dello pseudonimo è rimasto soltanto come indice da una parte di schizofrenia e dall’altra di una certa dose di presunzione: far finta di essere uno di quei grandi autori che hanno più di un alias…

P: Una tua storia in particolare è entrata nella leggenda, è Topolino in: “Ho sposato una strega”. Ebbe un bel po’ di rumore attorno a sé…
MMa: In quei tempi ogni tanto i giornali parlavano di noi: il Corriere della Sera aveva fatto due pagine quando uscì l’edizione latina di alcune storie Disney; se c’era una storia particolare dove facevi la versione Disney di un qualche personaggio televisivo, era probabile che la storia venisse citata da qualche giornale, e così via.

Scene da un matrimonio.

Io avevo da tempo l’idea di fare una storia che prevedeva di far innamorare Topolino, logicamente non di Minni, e poi riportare tutto com’era prima. Solo che far innamorare era facile, ma poi bisognava rimettere le cose al loro posto, e ne parlai anche con Capelli che era d’accordissimo.
Quando la storia uscì, oltretutto con l’inversione di una pagina (fatto importante perché era un po’ più difficile capire come si svolgeva la storia), passò assolutamente sotto silenzio, e rimanemmo un po’ male, avevamo anche mandato qualche comunicato stampa…
Poi in una trasmissione radiofonica, ora non ricordo se a livello nazionale o regionale, comunque nella zona di Genova, qualcuno si era lamentato, aveva sentito parlare di questa storia, “ma come, Topolino si sposa? Fanno le cose pornografiche su Topolino…” ovviamente non aveva capito niente, non l’aveva neanche letta… Il Secolo XIX ha ripreso la notizia e poi è arrivata anche al settimanale satirico “Cuore“, che l’ha sparata a nove colonne in prima pagina: “Abbiamo le prove: Topolino tromba!“, con tanto di intervista a Pippo che diceva “ah, il mio amico… pensavo fosse gay come me…” e così via su questo tono.
Intanto nel frattempo era uscito il numero seguente di Topolino, e la storia non l’ha potuta leggere nessuno, e a dimostrazione di questo c’è il fatto che dei critici che ne hanno parlato, nessuno ha mai detto che la storia è stata pubblicata con una pagina invertita: ne han parlato in molti senza neanche averla mai letta!
Tra l’altro non era niente di scandaloso, per carità: io mi ero anche spinto un po’ di più in alcune scene, che comunque Cavazzano di sua iniziativa aveva abbassato di tono: li avevo messi anche nel letto più vicini che parlavano… meno male!
Di questo fatto è comunque arrivata una eco in America dove hanno voluto vedere questa storia, che, tradotta, gli è stata mandata e ne hanno bloccato la pubblicazione… completamente a torto perché se vogliamo Paperino si è sposato centomila volte, si e’ innamorato di Reginella, non ha mai fatto scandalo e non l’avrebbe fatto nemmeno questa, se non fosse partita col piede sbagliato, anzi sarebbe stata oggetto di servizi e di pubblicità alla rivista: è partita sulla base di uno scandalo, e poi, senza nemmeno averla letta, hanno parlato tutti sulla base di un sentito dire, ripetendo più o meno quello che avevano scritto il Secolo XIX e Cuore. Anche gli “esperti” di fumetto, su Comix e su altri giornali, ripetevano sempre le stesse cose…

L’addio tra Samanta e Topolino.

P: Peccato che non potrà più leggerla nessuno…
MMa: No, io ho le fotocopie originali, le tavole credo che siano state bruciate o distrutte, o nascoste da qualcuno… e furono distrutte anche le pellicole, non solo della storia, ma di tutto quel numero di Topolino, e quindi anche storie che non c’entravano niente ci sono andate di mezzo…
Tra l’altro nello stesso periodo anche “Topolino in: Ciao Minnotchka” aveva avuto delle noie, anche in quel caso non succedeva niente di strano ma fu deciso di non pubblicarla più per il suo “taglio politico”…

P: Altre due bellissime tue storie sono state ‘Topolino presenta “La strada”‘ e ‘Topolino e il ritorno al passato’. Ce ne vuoi parlare?
MMa: Per la storia de “La strada” di Fellini possiamo dire che sia quasi tutto merito di Cavazzano, ed in parte di Vincenzo Mollica, che l’aveva convinto.
Cavazzano aveva avuto l’idea che Fellini andava a raccontare a Walt Disney questa storia, io l’ho solo fatta un po’ più dettagliata e inserito l’elemento del sogno.

La copertina dedicata alla storia di Marconi-Cavazzano.

Però certo “La strada” è un film bellissimo, tra i miei preferiti e con l’occasione me lo sono rivisto almeno 40 volte! Tra l’altro ebbi anche parecchie difficoltà a trovare la cassetta perché non esisteva in vhs, poi l’ho prestata a Cavazzano… che non me l’ha più restituita! Quella storia è stata proprio un piacere da realizzare e da leggere: i personaggi erano calati in un modo quasi perfetto, Cavazzano ha fatto poi un capolavoro, è una delle sue storie più belle, forse anche più bella come disegni di “Casablanca“.
Mi ricordo che Fellini aveva telefonato a Cavazzano per fargli i complimenti… io mi ero anche un po’ offeso, e l’avevo detto a Giorgio, oltretutto per interposta persona avevo anche incontrato una volta Fellini a casa di un cugino di mia moglie, Gino Maccari uno sceneggiatore suo amico d’infanzia… insomma mi seccava: Giorgio aveva fatto un buon lavoro, però poteva telefonare anche a me! Ma vabbè, il sabato mattina suona il telefono, e sento una voce che fa “salve sto cercando il signor Marconi” (irresistibile l’imitazione che Marconi fa della voce di Fellini! N.d.R.); era talmente la voce di Fellini che secondo me era imitata, e stavo per dire “Giorgio vaffanculo!“, ma l’angelo custode mi ha assistito… era Fellini davvero… mi ha detto 2-3 cose che mi hanno fatto capire, mi ha parlato appunto di Ruggero Maccari, cosa che Cavazzano non sapeva… pensa che stavo per andare giù molto pesante, tipo “Giorgio vaffanculo te e quello stronzo…” una roba così…

Nostradamus in… difficoltà!

Per quella del ritorno al passato, devo premettere che a me piacevano e piacciono molto le storie che rivelano qualcosa, che forniscono la spiegazione di un qualche fenomeno, di qualche cosa che c’è stato, tipo le storia di Jeff Jordan, di Barks, di Scarpa, tipo lo Scozzese Volante, di Martin Mystére.
Mi è sempre piaciuto poi il ciclo della macchina del tempo, e non mi chiedere poi come mi è venuta in mente questa storia con Nostradamus, che non ricordo… forse mi sono imbattuto nella sua data di nascita e mi è venuta la storia, è una di quelle che ti vengono di getto! E devo anche dire che in quella storia Massimo de Vita che di solito cambia moltissimo, non cambiò niente, tranne il fatto che il personaggio parlava non in prosa ma in poesia. Io ho abboccato al suo suggerimento e iniziai a fare i testi delle prime vignette, poi quando mi sono accorto che era difficilissimo era troppo tardi! Ma tutto sommato era anche giusto: le centurie sono espresse in forma di poesia, con una loro metrica. È una storia che mi piace, veramente ben riuscita.
Un’altra storia che mi è riuscita bene, fatta anche questa in un paio di giorni, è “Topolino e il mistero del Mundial“, mi era piaciuta per il fatto che con la macchina del tempo avevano sbagliato e si ritrovavano nel futuro invece che nel passato, e anche l’uso dei finali alternativi, con Pertini che è stato davvero una persona squisita.

P: Ma davvero erano coinvolti Pertini e gli altri? Io pensavo che dessero solo l’autorizzazione all’uso del nome…
MMa: No, un minimo di coinvolgimento c’era. Sono andato io da Rumenigge, in effetti volevo Platini, anche se sono interista: in quel momento il più forte era Maradona, che non poteva perché era già un personaggio di fumetti da qualche altra parte. Da Platini sono andato a chiedere il permesso, poi era evidente che la cosa l’avrei scritta io, ma non ne ha voluto sapere, da quel momento… già era juventino, così l’ho odiato, si è rivelato proprio un cafone. Mentre Rumenigge era tutto contento dell’iniziativa. Mi ricordo che Pertini mi ha detto “Non fatemi fare la figura dello stupido, eh“, poi gliel’ho mandata ma non mi ha più risposto.

Una scena da ‘Paperino e il Natale…spaziale’.

P: Altre due storie cui sono particolarmente legato sono “Zio Paperone e la guerra di cuori” e “Paperino e il Natale… spaziale”.
MMa: Sul “Natale Spaziale“, storia di cui Scarpa mi ha regalato una tavola con scritto “al collega Massimo” (forse è l’unica tavola che ho a casa), ho un bell’aneddoto: durante la scorsa Pasqua eravamo in montagna da mio cognato, e c’era anche il mio nipotino, il figlio di mia figlia che ha 8-9 anni ed è già un grosso lettore Disney; quando gli ho fatto vedere il primo Barks e gli ho chiesto cosa ne pensasse mi ha fatto “Nonno è talmente bello che ho pianto“. Io stavo sfogliando un vecchio classico tutto un po’ smangiato, e ho trovato dentro questa storia (Il Natale Spaziale, N.d.R.), l’ho messa vicino a lui che stava leggendo, quando poi ho visto che l’aveva letta, gli ho chiesto se gli fosse piaciuta: “È bellissima!” e allora gli ho detto che era mia ed è stata davvero una bella gratificazione a venti anni di distanza.
Invece “La guerra di cuori” appartiene ad un periodo quando facevo un po’ fatica a farmi prendere le storie, magari ero un po’ presuntuoso, però mi reputavo più bravo di tanti che passavano allora …senza fare nomi che non è simpatico.

Terza parte

Paolo: Per uno che è già anche autore, revisionare le storie altrui può essere piacevole (scopri e incoraggi talenti), ma c’è il lato più frustrante: ti fai nemici, ti scocci a esaminare e cassare storie pallose mentre potresti scriverne di migliori tu…
Massimo Marconi: Senza presunzione, per carità, però i miei dialoghi funzionavano, anche perché mettevo a posto quelli degli altri perciò…non credo che avessi sotto quell’aspetto dei problemi. Solo che, come ho detto in precedenza, era difficile farmele approvare, non sapevo a chi rivolgermi: Dalmasso non voleva per gli “interni”, con Gentilini non c’era modo di parlarci… Peccato, perché avrei potuto scriverne molte di più, anche perché allora venivano pagate molto meglio di adesso.

Una scena da ‘Qui Quo Qua e il tempo delle mele’.

Comunque fare le storie, se penso adesso a come le facevo allora, era qualcosa che mi piaceva molto: facevo sessantasettemila brutte, dividevo tutto, rileggevo, scartavo, riscrivevo… e forse era meglio farle in questa maniera, avevi meno sicurezza e andavi un po’ più attento… Il problema non è quello che metti dentro, è quello che non metti, tutto quello che devi togliere. Spesso hai cinquanta possibili sviluppi, e non dico tutti e cinquanta, ma due o tre possono essere davvero buoni, tutte e tre non li puoi fare, ma ognuno ha i suoi pregi e tu devi scegliere ed è veramente una sofferenza, e poi quando scegli magari non ti soddisfa, e allora torni indietro, rifai da capo…è un lavoro difficile, non è come costruire muri che dopo un po’ non ti si alzano più le braccia e vai a dormire. Sai che mi succedeva? Stavo tutto il giorno in redazione a pensare su un passaggio, senza arrivare a niente di soddisfacente, poi magari prendevo il tram per cinque fermate, e riuscivo a buttare giù cinque tavole, in bruttissima copia, perché mi veniva la soluzione per sbloccare la situazione in quel momento: con il fatto di non doverci pensare apposta riesci a sentirti più libero e non sei bloccato… Come funziona male il cervello umano!
L’unico fenomeno che ho conosciuto, veramente di quelli bravi – perché di quelli scadenti che fanno le storie in cinque minuti ce ne sono sin troppi – è Tito Faraci. Forse ho visto qualche giornalista di mestiere che riesce a scrivere un buon articolo parlando, magari mentre fa una telefonata… però già è un po’ più semplice: al centesimo articolo che scrivi di sci, di calcio o di ciclismo forse certi meccanismi ce li hai automatici; invece Tito sulla sceneggiatura è l’unico che ho visto così… giusto Martina, però devo dire che la sua produzione non era sempre al massimo, faceva anche stare i personaggi per sette tavole seduti sul divano, non era proprio disciplinato, mentre Tito è disciplinatissimo, diligente, creativo e riesce a “macinare” con facilità… Poi magari mi telefona per dire se quella storia funziona, e funziona benissimo, soltanto perché ha bisogno di un contentino, di un supporto. Ma è unico!

P: C’è stata una storia una bella storia di autore fino ad allora ignoto che ti è capitata sul tavolo?
MMa: No, anche perché nessun esordiente ti mandava una sceneggiatura, e poi durante la mia gestione, non so se per colpa mia, di sceneggiatori nuovi ne sono venuti fuori pochi, e molti anche abbastanza fiacchettini tutto sommato…
Ma non ce n’erano, li abbiamo anche dovuti sollecitare: avevamo fatto delle ricerche a Venezia e da altre parti tramite gli assessorati ai giovani per riuscire a trovare qualcuno di valido, io stesso ad un certo punto non mi fidavo più di me e passavo a Sisti tutti gli esordienti, ma non abbiamo tirato fuori niente. Pensa che quando Alessandro Sisti ha fatto il primo corso di sceneggiatura, è stato addirittura costretto ad andare a ripescare i meno peggio di quelli che avevamo scartato. Si presentavano le persone più assurde, quelli che ti dicevano “Stamattina mi sono svegliato e mi sono detto ‘Perché non vado a lavorare per Topolino?’…“, e poi venivano fuori storie con Tip Tap e… Tup, oppure ripetevano le cose più assurde, che avevi già visto venti volte!
Forse una riscoperta è stato Bruno Concina, di cui non mi piacevano le prime storie… forse perché lo seguiva Elisa Penna e gli confondeva un po’ le idee, poi con la gestione Fossati ha fatto una bellissima storia, ora non mi ricordo qual era, e mi sono ricreduto, poi l’ho anche conosciuto come persona molto gentile e nonostante sia veneto e quindi un po’ pedante, è una persona squisita, e mi dispiace che adesso abbia tirato quella storia in ballo.
Io sono sempre stato molto critico, ma non ho mai sopportato che si parlasse male dei “miei” sceneggiatori, però poi in effetti erano da prendere a calci nel sedere molto spesso, però a tutti, come dice giustamente Massimo de Vita, “Tanto di cappello come soggettisti“, nel senso che trovare un soggetto, con tutte le storie che sono già state fatte, non è certo facile, poi molti però non sapevano risolverlo.

Una delle prime storie di Russo apparse su Topolino.

Un caso tipico è Nino Russo, ha fatto un sacco di storie, a quei tempi servivano, se ne producevano 400 l’anno: più di una al giorno considerando anche sabato e domenica (e infatti dovevo lavorare anche nei fine settimana…), lui faceva dei soggetti molto validi, io li rielaboravo con lui, li rigiravo, tiravamo giù i punti salienti, facevamo delle scalette… e poi mancava solo che nel titolo mettesse “questa è quella storia dove succede questo e quest’altro“, sprecando i finali, però come soggetto come spunti erano tutti piuttosto originali!
Sempre De Vita dice “Datemi un soggetto, e la storia la faccio io“, perché la parte più difficile è il soggetto. Avessimo avuto 2-3 sceneggiatori di quelli bravi che si fossero detti disponibili a lavorare su soggetti altrui (magari accordandosi e dividendo il compenso) si sarebbe potuto fare, l’unico sceneggiatore bravo che avevo a disposizione per fare questo era Alessandro Sisti. E comunque poi non è mai stata incoraggiata questa soluzione. Ma io resto dell’idea che si sarebbe potuto fare: pensa al cinema: se vai a vedere a corredo di un film di Charlie Chaplin ci sono 2 nomi: il suo e il suo. Se vedi un altro film della stessa epoca ce ne saranno 40-50, oggi, lasciando perdere i cartoni animati che hanno 20 minuti di titoli di coda, anche per i film più stupidi ci sono moltissimi nomi. Il fumetto quando c’erano le strip, e non mi riferisco solo a quelle Disney, c’erano gli inchiostratori, chi faceva gli sfondi, chi tagliava i cartoni, e così via, magari ci lavoravano cinque – sei persone. Oggi al massimo ci lavorano due persone, ma la parte creativa vera e propria è sempre stata in solitaria, non si è mai creata purtroppo “la ditta”.

P: Quanche coppia di sceneggiatore-disegnatore si era formata, penso in particolare a Pezzin-Cavazzano…
MMa: Però non erano coppie che si frequentavano, che facevano il lavoro insieme: al massimo Cavazzano faceva una telefonata a Pezzin per discutere qualche punto. solo Chendi forniva il soggetto, aspettava che venissero fati i disegni della storia e poi completava i dialoghi… Hanno fatto qualche cosa insieme Artibani e Faraci, ma poche cose nel complesso, forse perché l’investimento è poco. Se fosse possibile investire diecimila euro su un fumetto di trenta pagine forse si riuscirebbe anche ad avere il top: uno che fa le gag, uno i dialoghi, 3 i soggetti, e riusciamo a starci dentro! Ma non è solo un problema di soldi, è anche un problema di tempo… Purtroppo il lavoro seriale ha questi limiti: meno male che non si vende solo la qualità altrimenti le storie più belle di Asterix dovrebbero vendere cento milioni di copie e la maggioranza dei Topolino una copia… però è anche vero che Asterix quante storie ha fatto? 15? 20? in quanti anni? Per carità poi non è detto che anche limitandosi ad una storia l’anno sia facile farla bella. È come nel cinema: la media di una major mi pare che sia su quattro film, tre sono dei flop e uno guadagna anche per gli altri.

P: È un po’ anche la filosofia di Bonelli, che ha delle testate molto “forti” che riescono a supportare anche quelle più deboli. È così anche per la Disney?
MMa: In Disney forse meno, perché quasi tutte le testate sono delle ristampe o dei cloni, però forse un Cip & Ciop anche se non andasse benissimo forse lo terrebbero. Però certo Bonelli, decidendo e gestendo in prima persona, si è potuto anche permettere di fare dei lavori tipo i “texoni” pagati e non pubblicati, o strapagati, o pagati sette volte insomma… lui può fare il mecenate.

P: Parliamo del personaggio di Topolino, nonostante tutto è ancora visto come quello che vince sempre, saccente, antipatico… Non c’è modo di recuperarlo?
MMa: Infatti se tu chiedi a un ragazzino, o anche ad un adulto, chi preferisce tra Topolino e Paperino, ti risponde Paperino nella stragrande maggioranza dei casi, e se gli chiedi il perché ti risponde “perché Topolino vince sempre!“. Ma la risposta è sbagliata, innanzitutto perché non è vero che Topolino vince sempre, ma soprattutto perché è pieno di personaggi che vincono sempre e sono simpatici: l’Uomo Ragno vince sempre, Superman (magari non è simpaticissimo) vince sempre, Batman vince sempre, vincono tutti i personaggi, la maggior parte vince, anche Paperino nella maggior parte dei casi, specialmente nelle storie più lunghe, vince. E qualche volta è un po’ più pedante e la vittoria un po’ più immeritata di quelle di Topolino.
La verità è che Topolino patisce ancora quella pletora di pessime storie che sono state fatte negli anni passati, è come con gli attori: sbaglia un film un grande attore lo noti di più, se lo sbaglia uno più scarso non ci fai caso, non fa neanche notizia, e alla fine risulta essere più simpatico il secondo, perché sembra che il primo abbia fatto film più brutti, ma non è vero, ha fatto più film brutti il secondo solo che non te li ricordi.
Considera pure che Topolino è più difficile da disegnare e poi è rimasto legato a tante brutte storie, ma proprio brutte brutte brutte!! Mentre una storia butta di Paperino ha altri personaggi di contorno, ha comunque le gag, la violenza, la cattiveria, i temi della fortuna e della sfortuna, e così via, una storia di Topolino “seria” se non funziona bene è una cagata inenarrabile! Io mi ricordo quando controllavo i soggetti: c’erano dei furti misteriosi, arrivava Topolino risolveva tutto perché scopriva un’impronta in giardino… caspita, un’impronta in giardino la scopre un vigile urbano che passa per caso, non ci vuole l’abilità di Topolino, allora l’impronta diventava nascosta da una foglia… non regge!

Topolino e l’unghia di Kali’, la piu’ bella storia italiana secondo l’I.N.D.U.C.K.S.

I gialli sono il genere più difficile da fare, i gialli scritti son difficilissimi: uno si ricorda Agata Christie e Ellery Queen ma c’è anche una pletora di altri autori veramente pessimi, che sono delle brutte copie. Nell’ambito visivo, dove non puoi nascondere gli indizi è anche peggio: quanti film gialli veramente belli uno ricorda? Pochissimi perché il colpo di scena finale è difficile da mettere, non hai spazio per ingannare lo spettatore. E non parliamo poi di quando fai un fumetto dove non puoi neanche metterci dentro i morti… sai che caso “drammatico” è un furto di un diamante… e poi risolto in quattro e quattr’otto, con la variante del furto misterioso, con la variante che Topolino va fuori e sente Gambadilegno che, non si sa a beneficio di chi, sta spiattellando tutto… E poi come vince Topolino? Vince male, con dei gran colpi di culo: perché quello non gli lega bene le mani, perché Pippo ha in tasca il piffero dello zio… Queste sono storie che io mi ricordo da lettore e che mi indignavano!
Giusto ieri cercavo delle storie belle da pubblicare e sono andato a vedere la classifica dell’I.N.D.U.C.K.S.: la prima storia italiana che compare in classifica è “Topolino e l’unghia di Kalì” al quinto posto; la prima storia in cui appare Paperino è “Paperino e le lenticchie di Babilonia“, al quindicesimo posto, e prima ci sono molte storie di Topolino!

P: Inoltre negli ultimi anni le storie migliori hanno visto come protagonista Topolino, e non Paperino.
MMa: Esatto, e ti accorgi che Topolino ti piace di più quando leggi le storie della spada di ghiaccio, Topolino Kid, C’era una volta… in America. È che lo vedi un po’ con un’altra maschera come fosse in costume, e quello paga perché lo tiri fuori dal contesto dove lo si è usato male.
Se andavi al cinema quando c’erano le compilation di cartoni animati, quando usciva la sigla con la testa di Topolino i bambini andavano in sollucchero e gridavano tutti, quando arrivava Paperino non gridavano; se vai nei parchi Disney, quando viene Topolino ha tutti i bambini intorno, Paperino di meno; questo vuol dire che Topolino comunque piace di più. I lettori di Topolino son stati scottati da troppe storie brutte e ormai ne risentono. Paperino poi è il “cattivo ragazzo”, quello che fa casino ma poi lo perdoni, e dici che è più simpatico.

P: Forse andrebbero riproposte al pubblico di oggi le storie migliori di Topolino, quelle di Gottfredson.
MMa: Io non so come sia la situazione nei paesi scandinavi, dove viene pubblicato un Topolino, disegnato molto bene da autori come Ferioli, con i pantaloni corti, però credo che la situazione sia un po’ come la nostra perché a occhio le storie di Topolino sono sempre circa poco più di un di quelle di Paperino, forse perché Paperino è un personaggio meno difficile, però poi, per tornare al discorso di prima, anche se uno non se ne rende conto, le storie memorabili di Topolino che si ricordano sono sicuramente più di quelle di Paperino, e comunque quelle di Paperino che uno si ricorda sono quelle Paperino è più avventuroso, alla Topolino!
In compenso di Paperino puoi ricordare qualche storia breve, storie brevi degne di Topolino non ne ricordo neanche una… forse anche perché non è stato utilizzato nella parte, anche nelle gag, nei cartoni, in fin dei conti Topolino non subisce tutte le sfortune, le botte e le traversie che subisce Paperino. È un po’ come il destino del fratello maggiore: io ho una sorella più grande che era sempre la prima della classe, se una volta prendeva nove era una tragedia nazionale, io, che sono un cialtrone, se prendevo 6 era festa grande… Come si spiega questo? I miei genitori non erano delle bestie, erano anche abbastanza equilibrati, però cadevano in quest’equivoco. Perdoni molto a Paperino e perdoni meno a Topolino, al quale comunque perdoni tanto lo stesso, pensaci: quante saranno le storie memorabili scritte in tutto il mondo con i personaggi Disney? 100? anche fossero 1000 in percentuale che cos’è? l’1%? il 2? il 3? è pochissimo, ma credo che comunque di più non si possa. Ce ne sono poi molte belle che non ricordi, la rileggi e dici sì, è bella…

Strepitoso il ruolo di Gambadilegno nella recente saga olimpica.

P: Concludiamo con i tuoi progetti per il futuro, il tuo ritorno sulle pagine di Topolino è da considerarsi episodico o ci “rivedremo” presto?
MMa: Adesso c’è stata questa storia delle olimpiadi di cui non sono soddisfattissimo… Però ai miei nipoti è piaciuta.

P: …ed in linea di massima è piaciuta anche ai lettori del forum del Papersera!
MMa: Sai, leggo cinquanta commenti dove dicono che è una storia da premio Nobel (non è successo, dico in linea teorica) e poi ne leggo un altro dove viene detto che c’è un finale un po’ così, lì c’è una virgola sbagliata… io sono fatto male, e mi deprime la virgola sbagliata più dei cinquanta commenti positivi.
La colpa del mio ritorno, comunque, è da attribuire a Valentina De Poli (che mi considera il suo papà disneyano: la sua prima scrivania a Topolino era… metà della mia)… e non c’è voluto molto: per incastrami, bastano due complimenti!
Comunque, c’è una storia cui tengo particolarmente e che Valentina mi ha promesso che farà disegnare da Cavazzano, ed è il seguito delle due storie “Topolino e la spada invincibile” e “Topolino e la spada del tempo“, si tratta di “Topolino e la spada invisibile“, soggetto che già avevo proposto alla Muci, ma che fu rifiutato, dato che l’unico modo per combattere una spada invisibile è essere ciechi (tra l’altro non sarebbe stata nemmeno una novità: ti ricordi la parodia di Michele Strogoff, dove Topolino diventa temporaneamente cieco?). La Muci non volle nemmeno sentirla (“no, cieco no…“), invece la Valentina è più portata. Sulle tre puntate previste ne ho già completata una e mezzo.
Poi ho già fatto un ciclo di storie brevi: ho dichiarato il mio amore per Gambadilegno, anche nella storia delle olimpiadi dove alla fine mi son fatto prendere la mano dal vecchio Pietro; Gambadilegno è un personaggio che adoro, e che veramente ha tantissime possibilità! È un cialtrone a tutti i livelli, anche nelle storie dove Scarpa lo usava come capo del crimine, è uno che si sopravvaluta non è certo uno Scarface, non è certo un genio: è quello che comunque anche quando dispiega intelligenza, magari altrui, deve sempre fare qualche cosa di più, è l’Oliver Hardy della situazione. Così mi sono deciso a fare una serie di storie brevi, anche se non è un formato che amo particolarmente, per il rischio di trasformarle in una storia di 30 tavole compressa o in una gag da una pagina dilatata… ed invece devo dire che ho scoperto che mi funzionavano bene. Si tratta del ciclo “Le mie prigioni“, una sorta di teatrino della memoria, dove Gambadilegno racconta episodi di vita carceraria, con evasioni, aneddoti, ecc. Ne ho già fatte 5-6, e ora ne devo fare una tipo “Babbo Bastardo“, dove Gamba, come tutti gli anni, fa la parte di Babbo Natale nella recita natalizia in carcere, ma quest’anno c’è la concorrenza di un suo cugino siciliano mafioso…

Un’immagine dal secondo episodio della saga della spada.

Poi c’è quel soggetto che avevo in mano da anni, di cui ti dicevo prima: si tratta di un’interpretazione de “Il gioco delle parti“: Mickey si presenta o dal direttore di Topolino o, mettiamo, dal numero uno della Disney (senza nominarlo), presentando tutta una serie di lamentele: a partire dal fatto che lui non è più simpatico, mentre invece Paperino, pur essendo un incapace e nullafacente ha più successo, e così via. Contemporaneamente anche Paperino va a lamentarsi “Topolino si che fa una bella vita, assiste Basettoni, va sui giornali, gli affidano i grandi casi, io invece a lucidare monete” e via su questo tono. Allora praticamente gli fanno scambiare le parti, e logicamente le cose non funzionano… e ho trovato anche una soluzione finale che mi ha permesso dopo anni di concludere il soggetto!
E poi c’è da considerare il fatto che io a Novembre, una volta finita l’opera di Barks con il 49.mo volume (non so perché non si sia fatto cifra tonda a cinquanta, può essere perché Luca (Boschi) non ce la fa più!) raggiungerò i 40 anni di vita giornalistica, e penserei di sospendere l’attività in Epierre e di entrare in pensione, per dedicarmi con più tempo alle storie; senza portare via il lavoro a nessuno perché so che c’è una certa crisi del settore. Come punto interrogativo c’è il fatto che se sono superimpegnatissimo riesco a ritagliarmi il tempo per fare 5-6 tavole, se non ho niente da fare me le trascino per mesi senza fare niente…
È bello fare le storie, da una parte è molto faticoso ma poi sei soddisfatto! Certo l’emozione forte è quando vedi realizzata la tua prima storia, poi col tempo queste cose si perdono, è un po’ come col calcio: quando sei tifoso gioisci tantissimo per una vittoria, però soffri anche tanto per una sconfitta; poi col tempo non soffri più per le sconfitte, però in compenso non gioisci più tanto per le vittorie, è il prezzo che devi pagare ad una certa abitudine, però la sofferenza è il prezzo anche della grande felicità…cosi’ chiudiamo con una bella frase di saggezza orientale! Anzi no, hai visto Kung Fu Panda? Vallo a vedere, è notevole, davvero molto bello!

P: Non me lo perderò! Ciao Massimo e a presto, sulle pagine di Topolino!
MMa: Ciao, e un caro saluto anche a tutti gli amici del Papersera!


Note biografiche
Nato a Milano il 13 giugno 1945, è laureato in Legge, la sua prima esperienza nel campo redazionale-giornalistico risale al 1967, quando era ancora studente. Nel 1970 viene assunto dalla Mondadori nella redazione di “Bolero”, e l’anno successivo passa a quella di “Topolino”. Da allora si è sempre occupato di rivedere e vagliare le sceneggiature disneyane, divenendo prima capo servizio, e poi coordinatore-capo al posto di Franco Fossati. Ha scritto anche racconti in testo e curato diverse rubriche, e dal 1974 (prima storia sceneggiata “Paperino e le disavventure della ‘grat super'”, Topolino 946 del 13/01/1974) ha scritto anche molte sceneggiature disneyane assai godibili. Sue sono, tra l’altro, tutte le storie “sponsorizzate”, tra le quali “Minivolley Story”, “Qui Quo Qua e le gioie del BMX”, “Il segreto di Sport Goofy” e la bellissima “Topolino e la spada invincibile”, tutte disegnate da Giorgio Cavazzano.

Autore dell'articolo: Paolo Castagno

Sono appassionato lettore e collezionista di fumetti Disney sin da quando ho imparato a... guardare le figure. Il Papersera - sia il sito sia l'associazione - sono per me motivo d'orgoglio!

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