Topolino e l’imperatore della Calidornia

12 MAR 2021
James Addison Reavis, il

James Addison Reavis, il “vero” imperatore

Firmato: Baron de Arizonac y Caballero de los Colorados“.

Lo spunto per questo pezzo su una delle storie simbolo di Romano Scarpa viene da molto lontano.

Sono i primi anni Novanta quando mi imbatto in un singolare personaggio, uno di quelli che, appunto, si direbbe uscito da un fumetto (o da un film): di lui si parla in un libretto dedicato alle grandi truffe della storia allegato a uno Speciale Nick Raider. Il nome, nonostante la particolarità della vicenda che lo ha visto protagonista, credo dica poco alla maggior parte delle persone ancora oggi: James Addison Reavis, sedicente signore dell’Arizona.

Reavis era un avventuriero che, con un paziente e lungo lavoro di preparazione e di falsificazione, era riuscito a produrre una serie di documenti apparentemente autentici che gli attribuivano la proprietà di una vasta porzione dell’Arizona con tutti gli annessi e connessi, come miniere, linee ferroviarie, la città di Phoenix, eccetera…

La truffa venne infine scoperta, ma intanto l’autore era riuscito a vivere davvero come monarca di una parte degli Stati Uniti per più di dieci anni, accumulando e sperperando cifre astronomiche e firmandosi sui documenti ufficiali, appunto, “Baron de Arizonac y Caballero de los Colorados”.

I domini dell’imperatore

All’epoca, ventenne divoratore di fumetti, comincio ad affiancare ai classici Bonelli la lettura delle riviste, ma le peripezie di questo originale truffatore mi causano un déjà-vu: “Io questa storia l’ho già sentita!”.

Qualche ricordo lontano riaffiora alla mente, elementi residuali di una storia che devo aver letto sicuramente da ragazzino e che nel tempo ho completamente dimenticato. Ricordo solo che era un’avventura di Topolino con una trama in qualche modo simile alle vicende appena narrate. Una ricerca assai “pedestre” (oggi ci avrei messo probabilmente pochi minuti), consistente nello sfogliare una ad una tutte le testate di ristampe in mio disordinato possesso, finalmente mi porta a trovare l’albo incriminato, I Classici Disney 39, e la storia che cercavo.

I Classici Disney 39, numero che ristampa L'imperatore della Calidornia

I Classici Disney 39, numero che ristampa L’imperatore della Calidornia

Dopo una lettura fatta anni addietro e di cui non avevo molta memoria, finalmente la bellezza e la complessità di Topolino e l’imperatore della Calidornia mi si rivelano in pieno, dunque? No, non ancora.

È un mondo molto diverso da quello di oggi. Cercare qualcosa, un riferimento o una semplice curiosità richiede tempo, mezzi, conoscenze. Cosa diavolo è, ad esempio, la Calidornia del titolo? E perché nella quadrupla iniziale, su un profilo che ricorda vagamente la West Coast degli Stati Uniti compaiono insieme Paperopoli, Topolinia e persino una a me sconosciuta Giuncavilla? No, L’imperatore della Calidornia non è una storia che esaurisce il suo compito alla prima lettura. Al contrario, va letta e riletta più volte nel tempo perché, come tutte le grandi storie, ogni volta vi si trova qualcosa di nuovo, elementi che erano sfuggiti, dettagli che si notano solo perché nel frattempo si è fatte nuove esperienze, richiami che si colgono perché finalmente si sono colmate lacune preesistenti.

Cominciamo per esempio dalla trama, cioè l’aspetto di una storia che è più immediatamente fruibile da tutti: abbiamo una vicenda che alterna umorismo e tensione, comicità e indagine poliziesca in un equilibrio non banale che viene direttamente dal lavoro di Gottfredson e che Scarpa aveva già sperimentato con successo fin dalla sua prima storia come autore completo con Topolino (Il mistero di Tapioco Sesto).

La vicenda parte con un flashback che ci porta indietro di circa ottant’anni rispetto al momento in cui effettivamente si svolge ma, concluso questo antefatto in pieno stile western, la narrazione si sposta nel presente e sui binari del mystery.

Il plot narrativo è di quelli piuttosto amati da Scarpa: mutuato da Topolino e il mistero di Macchia Nera e già personalizzato con Topolino e l’unghia di Kalì, lo ripropone ora, perfezionandolo ulteriormente. Anche qui i protagonisti sono alla caccia di un oggetto misterioso in diretta concorrenza con il cattivo della situazione e, come in quella sua avventura di tre anni prima, c’è un brano musicale a fare da leitmotiv alla ricerca.

I richiami al Topolino delle strisce americane emergono anche dalla figura di Topo the Kid, epigono nel nome del famoso fuorilegge “bambino” del West che, con le sue tre differenti incarnazioni (il giovane, il vecchio e l’impostore), riporta di nuovo nelle storie Disney il tema del doppio (dopo i Re Sorcio, Miklos e Billy il Topo gottfredsoniani). Un doppio estremamente pericoloso, che contribuisce a creare quell’aura intricata di mistero e indeterminatezza che dona alla storia gran parte del suo fascino.

Diversi i sosia di Topolino, alcuni amichevoli, altri meno

Fondamentale e perfettamente integrato nella trama è poi Atomino Bip-Bip, qui alla sua ultima apparizione come coprotagonista in una storia di Scarpa. Anche se, come sempre quando si tratta di lui, è necessaria un piccolo supplemento di sospensione dell’incredulità, l’atomo ingigantito due birilliardi di volte è perfetto nel ruolo di spalla, un ruolo pensato appositamente per lui e per le sue peculiari abilità.

Gli straordinari poteri di Atomino

Ma questa storia fornisce, a un esame più attento, tanti elementi da analizzare che portano anche alla scoperta di aspetti e riferimenti che arricchiscono la lettura.

Il primo che si nota subito è la già menzionata vignetta di apertura: Barks negli anni Cinquanta aveva già creato il Calisota, lo stato fittizio con capitale Paperopoli, che incontrerà nel tempo il favore e l’adesione della maggior parte degli autori, ma nel 1961 l’opera del cartoonist americano non era ancora nota da noi come lo è oggi. Scarpa è quindi il primo in Italia a porsi il problema di una collocazione geografica del mondo Disney cercando anche di far coesistere Paperopoli e Topolinia (una esigenza probabilmente accentuata dalle storie corali di produzione nostrana) e inserendo anche la Giuncavilla (Junkville) di Buci che, all’epoca, gode ancora di una residua fama tra i lettori italiani.

La vignetta iniziale della storia con la collocazione delle città del mondo Disney

La vignetta iniziale della storia con la collocazione delle città del mondo Disney

La Calidornia non tornerà quasi più agli onori della cronaca e in fondo l’autore veneziano non ha nemmeno ben specificato se nella sua visione dovesse essere uno stato o, più genericamente, un’area, il che favorirebbe una coesistenza con il barksiano Calisota. Resta comunque un’intuizione felice e non banale nel tentativo di avvicinare alla nostra realtà il mondo Disney.

Altro elemento caratteristico è il brano musicale suonato lungo tutto l’arco della storia, il De quello, eseguito rigorosamente alla tromba, che uno dei personaggi secondari della storia etichetta come “portasfortuna”.

Se ne L’unghia di Kalì l’incisione giavanese dei canti della siccità sembra uno sberleffo generico, in questo caso non si fatica a riconoscere, dietro il nome parodiato, il Degüello, una marcia suonata dai trombettieri dell’esercito messicano divenuta famosa in una versione molto più solenne di quanto non lo sia in realtà ad opera del compositore russo Dimitri Tiomkin ed inclusa nei film La battaglia di Alamo e Un dollaro d’onore.

Degüello è una parola spagnola che vuol dire “sgozzare” e il titolo del brano, in senso figurato, assume il significato di “senza quartiere” (ovvero nessun prigioniero, alla fine dell’attacco a tutti i superstiti sarebbe stata tagliata la gola).

L’evento “sfortunato” a cui si accenna fugacemente nella storia è appunto la battaglia di Alamo del 1836, durante la quale il generale messicano Antonio López de Santa Anna si dice abbia fatto suonare in continuazione il brano per segnalare agli assediati che non avrebbero avuto tregua fino alla morte dell’ultimo di loro.

Il Degüello cinematografico: non esattamente una marcia di guerra…

Pur celato dietro una ovvia maschera scherzosa, a cominciare dal nome, il De quello di Scarpa va ad assolvere in qualche modo lo stesso compito dell’originale, venendo suonato ripetutamente durante tutta la durata della storia a scandire in questo caso, non un massacro chiaramente, ma una spasmodica ricerca.

E in questa ricerca Scarpa è abile nel portare il lettore fuori strada ingannandolo e costruendo un giallo su un falso indizio credibilissimo: solo dopo molte ed infruttuose indagini, Topolino si rende conto che tutta la vicenda va guardato da un punto di vista differente che dà corpo a uno scenario diametralmente opposto a quello immaginato fino a quel momento.

Da qua in poi gli eventi subiscono una accelerata, viene smascherato il misterioso “incursore notturno” (a seguito di una zuffa che ricorda molto quella con Gambadilegno nel Mistero di Tapioco Sesto), viene ritrovata la parte mancante della mappa che consegnerebbe la Calidornia al suo possessore e fa la sua apparizione l’ultimo protagonista della storia, che fino a quel momento era stato sempre soltanto evocato: Topo the Kid.

L’entrata in scena è degna della sua fama, l’abilità, la grinta, la personalità del leggendario fuorilegge sono immutate, anche a novantanove anni orgogliosamente dichiarati. Ma è sufficiente la vista della mappa tanto a lungo cercata per mostrarcelo per ciò che è veramente: uno sconfitto, uno che ha assaporato il potere totale ed ha dovuto rassegnarsi a perderlo, a vedere svanire un impero tra la sabbia sollevata scavando per anni in mezzo alle regioni desertiche alla ricerca del prezioso documento. In definitiva un vecchio che prende coscienza di essere arrivato ormai alla fine in una scena camuffata come umoristica ma che trasmette tutta l’inesorabile decadenza dovuta all’età.

Topo the Kid accusa il colpo degli anni

Comunque gli anni possono averlo indebolito, ma non lo hanno cambiato, l’indole è sempre quella del fuorilegge e Topolino lo scopre nel modo più crudele: anche lui assapora solo per breve tempo il dominio sulla Calidornia (ci penseranno un poliziotto zelante e una fidanzata troppo lenta a disperdere il poco tempo di regno ancora a sua disposizione) per poi ritrovarsi senza niente in mano, quasi che Topo the Kid avesse voluto far provare lo stesso dramma vissuto da lui a chi ne aveva assunto indebitamente le sembianze. E al lettore resta il dubbio su chi si trova davvero di fronte: una figura tragica o un filibustiere irredento?

Il fascino indiscreto del potere

Il fascino indiscreto del potere

Le tavole conclusive della storia ci forniscono un ultimo spunto interessante: Topolino non è incorruttibile e integerrimo come appare. Per tre lunghe tavole accarezza l’idea di diventare sovrano assoluto, una prospettiva seducente fatta non solo di ricchezze ma anche di riconoscimento e affermazione sociale. Il piccolo topo si esalta soprattutto all’idea di transitare tra ali di folle osannanti, di essere incoronato dal sindaco, di poter a sua volta incoronare come propria consorte Minni (colei che invece spazzerà definitivamente gli avanzi di una breve illusione).

La scoperta dell’effimerità della sua condizione “regale” sembra farlo tornare con i piedi per terra, portandolo ad accontentarsi di una serata indimenticabile con la sua compagna di sempre, ma certamente l’autore ci fa conoscere qui un aspetto di Topolino inedito e per certi versi insospettabile. È un tema questo su cui, sempre Scarpa, tornerà nello stesso anno con la storia Topolino e il gigante della pubblicità, dove il piccolo eroe vacillerà di nuovo, abbagliato questa volta dal facile successo economico promosso dalla TV.

Anche Barks, una decina d’anni prima, aveva fatto qualcosa di simile con Paperino, lasciando che venisse corrotto dalla brama di dominio emanata da un cimiero vichingo. Insomma le due icone del mondo Disney improvvisamente si scoprono affamate di potere, gloria e ricchezze. E se per Paperino, da sempre alle prese con una situazione economica e sociale precaria, questo sentimento di rivalsa può apparire comprensibile se non proprio giustificato, veder cadere in tentazione l’incarnazione del cittadino modello può apparire un po’ destabilizzante.

In realtà tutto ciò non fa altro che avvicinare ancora di più Topolino e Paperino a noi, mostrandoli con le contraddizioni e i turbamenti che li rendono più “umani”. Topolino imperatore della Calidornia è in definitiva una storia memorabile, scritta da un autore che, grazie al profondo amore per il personaggio, è riuscito a proseguirne le avventure immettendosi nel solco di Gottfredson, rispettando il suo lavoro ma arricchendolo di spunti, di personaggi e di sfaccettature

Autore dell'articolo: Gianni Santarelli

Abruzzese, ingegnere elettronico riconvertito in quel che serve al momento. Il mio rapporto con i fumetti segue tutta la trafila: comincio a cinque anni con le buste risparmio della Bianconi (sovvenzionato da mia zia), poi Disney, i supereroi Corno, i Bonelli (praticamente tutti, anche se abbandonati man mano). Verso i 18 anni scopro le riviste della Comic Art, leggo "Stray toaster" di Sienkiewicz e inizio un giro del mondo fumettistico che ancora non termina. Fumetto franco-belga, argentino, americano, autori celebri e sconosciuti, tutto finisce nella mia biblioteca, molto aspetta ancora di essere letto, nel frattempo dilapido una fortuna. Su due cose sono profondamente ignorante: i supereroi "classici" (ad eccezione di Batman, per cui ho una venerazione, non leggo una storia dell'uomo ragno & c. dagli anni 80) e il fumetto giapponese. Per il Papersera, con il nick "piccolobush", collaboro all'annuale premio, scrivo qualche articolo quando necessario e mi occupo, con puntuale ritardo, del settimanale "Topolino"