Topolino e il mistero di Tapioco Sesto
Il ruolo svolto dai Maestri Disney fu di capitale importanza nella storia delle pubblicazioni Disney in Italia.
Purtroppo per me, negli anni in cui questo progetto prese il via, non ebbi modo di seguirlo, sia per assenza dagli scaffali delle edicole della mia cittadina, sia perché in quegli anni i miei acquisti disneyani non erano ancora orientati in direzione così raffinata.
Recuperai i diciotto numeri del suo primo ciclo di vita editoriale e i primi quattro della cosiddetta “serie Oro” solo diversi anni dopo, tra Topocatologhi, fiere e fumetterie, ma dal n. 23 il periodico iniziò ad essere distribuito anche dalle mie parti e i tempi erano maturi perché iniziassi a seguire in diretta il progetto in questa sua ultima fase.
A inizio 2005, con il n. 29, uscì un nuovo volume su Romano Scarpa – dopo il precedente sull’autore uscito due anni e mezzo prima – con una bella copertina che mostrava un Topolino con le mani legate combattere in punta di fioretto con un Gambadilegno in frac armato di scimitarra. Un disegno assolutamente riuscito, sia nel concept che nella qualità dell’illustrazione, e sperai che facesse riferimento a una storia contenuta all’interno dell’albo.
Effettivamente era così: ebbi dunque l’occasione di leggere per la prima volta Topolino e il mistero di Tapioco Sesto, del 1956.
Il primo elemento degno di nota è la sua struttura: la divisione in due tempi non è un semplice modo per avere più pagine in cui svolgere la vicenda, ma costituisce per Scarpa la possibilità di tarare su due registri diversi i momenti narrativi.
La prima parte, di ambientazione urbana, si concentra in particolare sulla situazione bislacca – e perciò ricca di gag simpaticissime e surreali – in cui si trova Topolino: il protagonista incappa infatti in un placido vecchietto di nome Tapioco Sesto, senza dimora né memoria e con le capacità intellettive di un bambino di sei anni, che in qualche modo si lega a lui installandosi nella sua villetta e stringendo amicizia con uno “spirito affine” come Pippo.
Risulta evidente l’ispirazione a quelle dinamiche destabilizzanti delle strisce quotidiane americane scritte da Bill Walsh, sempre su disegni di Floyd Gottfredson: quando il geniale sceneggiatore prese le redini delle storie a continuazione, vi inserì gradualmente personaggi e situazioni che portavano nella vita di Topolino l’irrazionale o situazioni al limite del grottesco, scatenando risate che avevano spesso un retrogusto inquieto. Le avventure con Eta Beta e la storia con Sfrizzo (inventore e zio di Pippo) sono esempi perfetti di questa dinamica, tramite la quale il protagonista si trovava a vivere avventure “allucinate” e spesso insieme a comprimari fuori dal comune e dai contorni poco chiari.
Uno spunto simile a quello scarpiano, con un personaggio che ricorda in diversi punti Tapioco, lo avrebbe sfruttato molti anni dopo Casty in una delle sue primissime storie: in Topolino e la macchina dell’oblio (2003, disegni di Massimo De Vita) il protagonista incontra infatti Vanni, un simpatico signore che non rammenta nulla del suo passato e che sarà per questo motore dell’avventura.
Momenti di inconfondibile umorismo scarpiano
La seconda parte della storia si tinge invece di mistero, affrontando di petto quei primi sospetti – incentrati su Gambadilegno – nati durante il primo tempo.
Topolino si reca così nello staterello mitteleuropeo di Pampania per cercare di chiarire le origini del suo ospite e per capire cosa c’entra in tutto questo il suo acerrimo rivale.
Cambia quindi il registro narrativo, ma ciò non avviene in maniera schizofrenica o artificiosa, tutt’altro. Il passaggio tra le due metà è anzi molto naturale grazie alla costruzione dell’intreccio operata da Scarpa già in precedenza, tra una gag e l’altra.
È interessante notare come questa finezza, raramente osservabile nella produzione di altri autori, sarà ripresa in maniera brillante e spiazzante ancora da Casty, stavolta in coppia con Enrico Faccini, in Topolino e i 7 Boglins del 2014, dove analogamente alla vicenda di Tapioco Sesto la divisione in due tempi faceva da spartiacque al tono e alla direzione della trama impostata.
Tornando alla storia di Scarpa, anche in questa svolta si respirano echi di avventure classiche: un piccolo regno e uno straordinario caso di somiglianza erano stati al centro di Topolino sosia di Re Sorcio (1937), di Ted Osborne e Gottfredson, che offriva peraltro una visione molto simile su difficoltà e concezioni della monarchia da parte dei regnanti.
Inoltre il modo in cui Gamba viene rappresentato a un certo punto, seduto dietro una scrivania da cui trasuda potere, richiama esteticamente una vignetta di Gottfredson molto simile ne Il tesoro di Mook (1950), quando il criminale si rivela agli esterrefatti Topolino e Eta Beta quale capo militare in un Paese sovietico.
Il climax narrativo del Mistero di Tapioco Sesto vede Mickey e Pietro duellare all’arma bianca, così come da cover de I Maestri Disney citata all’inizio: quattro tavole intere per visualizzare lo scontro fisico tra i due, alternando azione con comicità grazie ad alcune gag fisiche e anche all’umorismo verbale di alcuni dialoghi. In questo modo la scena mantiene un ritmo alto, non annoia e irrobustisce la storia nel complesso, aggiungendo pathos. Tale situazione verrà ripetuta con gusto da Scarpa nella risoluzione di altre sue storie con Topolino e Gambadilegno, quali Il Pippotarzan (1957) e La dimensione Delta (1959).
Come si premurava di sottolineare Luca Boschi nel sempre interessante articolo introduttivo, gli echi dalle strisce giornaliere USA sono rintracciabili in almeno altri due fattori.
Il memorabile duello tra Topolino e Gambadilegno
Innanzitutto nella fittizia firma “Walt Disney” che Scarpa inserisce – previa autorizzazione della Casa Madre e di Mondadori – nell’angolino di alcune vignette, come accadeva nella produzione quotidiana, per simulare l’appartenenza di questa storia a quella tradizione.
Inoltre, nella struttura del racconto. Le strisce di tre-quattro vignette l’una, infatti, pur appartenendo a una macro-trama dovevano avere una sorta di autonomia di fruizione, venendo pubblicate una alla volta: di conseguenza il ritmo narrativo richiedeva che ogni giorno ci fosse una gag e/o un colpo di scena, da una parte per intrattenere di per sé e dall’altra per tenere desta l’attenzione in vista della striscia successiva. Scarpa applica questo andamento alla sua storia con la stessa cadenza, ottenendo così un intreccio assai movimentato e stimolante.
Pur essendo ancora nei primissimi anni di attività, l’autore dimostra di avere già un’ottima mano: i personaggi sono caratterizzati da una linea molto pulita e morbida, con un Mickey Mouse di chiara derivazione gottfredsoniana per quanto riguarda l’aspetto, all’interno del quale però il Maestro lavora per renderlo più personale, più “italiano” forse. Anche Tapioco si rifà agli archetipi USA per questo tipo di comprimari, mentre per Pippo e Gamba l’ispirazione è già più varia e con declinazioni peculiari di quello che diverrà il proprio stile nel corso degli anni successivi.
Le vignette appaiono quasi sempre dotate di sfondo, pur senza mai eccedere nei dettagli superflui: difficilmente appare un generico fondale colorato senza contesto, ma gli elementi utili a delinearlo sono sempre dosati con grande sapienza: questo si nota in particolare quando vengono visualizzate le zone della Pampania.
Il mistero di Tapioco Sesto è senz’altro una storia esemplare, perfetta testimonianza dell’amore di Romano Scarpa per il personaggio di Topolino e del debito che aveva come autore verso l’epopea a strisce del Mickey Mouse di Floyd Gottfredson e collaboratori.
10 SET 2020