Le interviste del Papersera – Rudy Salvagnini

16 FEB 2009

Salvagnini ha tentato di sviare gli inviati del Papersera, ma con scarso successo!

Rudy Salvagnini è uno dei pochi autori che possono vantare più di 500 storie Disney al loro attivo: attivo sin dal 1979 sulle pagine di Topolino, ha sempre differenziato i suoi interessi, passando dal fumetto alla critica cinematografica alla letteratura horror.
Arrivato al fumetto Disney dopo una buona militanza sia come lettore che come autore di altri fumetti, viene oggi apprezzato soprattutto per la serie “I mercoledì di Pippo“, alla quale si affianca la minore e misconosciuta “Topolino e Pippo space cab” una buona serie di racconti di fantascienza (altra passione dell’autore) che ricordano molto le avventure del duo “Clarke & Kubrick” realizzzate dall’autore spagnolo Alfonso Font.

Samuele: La tua prima storia viene pubblicata nel 1971, quando hai soltanto sedici anni. Come nasce in te tale passione? Ami molto leggere libri e fumetti?
Rudy Salvagnini: Mi è sempre piaciuto leggere fumetti e sin da piccolo ho cercato anche di realizzarne. Facevo dei giornalini che vendevo ai miei genitori e ai parenti. A vederli oggi —ne conservo ancora alcuni— mi sembrano terribili e mio figlio di otto anni ne realizza di decisamente migliori. Un po’ alla volta, però, mi ero convinto di saperci fare e quindi ho cercato di fare la transizione verso il fumetto vero. Mi ero reso conto che i miei disegni erano molto scarsi, perciò non mi rimaneva che concentrarmi sulle storie. Ai disegni ci pensava mio fratello Gianni e insieme abbiamo proposto i nostri lavori con la convinzione —che oggi mi pare del tutto immotivata— che non poteva che andarci bene. Questo nel settembre del 1970, quando avevo quindici anni.

Un numero di Phantom edito dai fratelli Spada.

Fortunatamente, Pinù Intini, vedendo i nostri lavori, ritenne che ci fosse del buono e ci fece esordire subito dopo in una rivista cattolica di cui curava la parte a fumetti. Tutto è nato da lì. La cosa curiosa è che siamo anche riusciti a pubblicare —in versione ovviamente riveduta e corretta— un paio dei personaggi che avevamo inventato per i nostri giornalini casalinghi: Mark Damon, un aviatore immerso in avventure horror (il nome l’aveva trovato mio fratello prendendolo in prestito da un attore molto attivo in Italia in quegli anni e oggi diventato un famoso produttore), e Mr. Jiggles, protagonista di una striscia comica.
Nel frattempo ero diventato un collezionista di fumetti: la mia passione dell’epoca erano le pubblicazioni dei Fratelli Spada, da Mandrake all’Uomo Mascherato a Gordon e così via. Ero anche un accanito lettore di “Eureka” e di tutte le riviste specializzate dell’epoca, dal “Sgt. Kirk” a qualunque cosa uscisse. Avevo comperato anche tutti e quattro i numeri di “Whisky & Gogo”, un singolare tentativo di rivista d’autore con personaggi comici italiani: quando molti anni dopo ebbi occasione di parlarne con Luciano Bottaro (che era l’autore di punta della rivista), ricordo che con la sua consueta ironia disse che ero stato uno dei pochi a farlo e mi ha anche dedicato un disegno dell’orso Whisky. Insomma, per me i fumetti erano importanti, anche dal punto di vista culturale e ci tenevo a ribadirlo ogni volta che potevo.

S: Hai scritto anche racconti: l’anno dopo viene pubblicato sulla rivista “Sorry” il racconto “Sicilia 1972: Vampiri?”. Di cosa parla? Ami pertanto la letteratura horror? Quali sono i tuoi autori preferiti?
RSa: Ho scritto e pubblicato anche racconti, ma “Sicilia 1972: vampiri?” è un fumetto horror disegnato da mio fratello Gianni (1). È una storia semplice con un colpo di scena finale che trovo ancora piuttosto simpatico.
Sorry” era una rivista specializzata che nasceva con l’idea di fare in qualche modo concorrenza a “Linus”, aveva una grafica molto elegante e ricercata, con contenuti interessanti. Tra i collaboratori c’era Crepax. La nostra partecipazione è nata dalla spedizione che impavidamente facemmo alle 3 giornate del fumetto di Genova del settembre 1972 quando, armati di cartellina e alloggiati in una terrificante ed economicissima pensioncina in una viuzza del porto di Genova, provammo a proporci agli editori che avevano degli stand in loco. In sostanza, l’unico che ci diede retta fu l’editore di “Sorry” che ci fissò un appuntamento a Milano. Ci andammo, piazzando quel fumetto e un altro (“La cosa del porto”), che però non è stato mai pubblicato ed è andato perduto. Erano tempi un po’ così.
Con un altro editore è andata anche peggio: ci aveva accettato un fumetto, ma poi è scomparso, con la sede e tutto, e nessuno ne ha più saputo niente. Erano anche tempi nei quali non si potevano fare fotocopie accettabili per cui giravano solo gli originali e, persi quelli, si perdeva tutto. Sono parecchie le storie finite nel nulla in questo modo.
La letteratura horror mi piace, ma non è la mia preferita. Il mio scrittore preferito è Kurt Vonnegut, che è stato anche una forte ispirazione per il mio lavoro. All’horror però appartiene un altro degli scrittori che prediligo e cioè Richard Matheson, le cui opere mi hanno appassionato sin da quando, molti anni fa, mi è capitato di leggere “I vampiri” (e cioè “Io sono leggenda”) nell’edizione De Carlo, credo la prima a essere pubblicata in Italia. Di Matheson mi è sempre piaciuta la capacità di essere costantemente avvincente e di riuscire a realizzare un modello autonomo e particolarmente efficace di horror quotidiano con persone comuni a confronto con fatti eccezionali. Oltre che nei romanzi, Matheson ha applicato la sua particolare ricetta in modo mirabile anche in molti racconti, alcuni dei quali usati per una serie (“Ai confini della realtà”) che mi ha molto impressionato da piccolo quando l’ho vista per la prima volta e che anch’essa ha avuto una grande influenza su di me.

S: In seguito ti laurei in legge, ma continui a sceneggiare. Quali altre storie vengono pubblicate in queste periodo? Sei legato a qualcuna in particolare?
RSa: Negli anni dal ’73 al ’79, ho fatto un sacco di cose diverse, non tanto per capire cosa volevo fare, ma sostanzialmente perché ogni volta che mi proponevano qualcosa la facevo, se mi sembrava interessante. E se non mi proponevano niente, mi proponevo io e facevo qualcosa per i primi che accettavano le mie proposte. Così ho lavorato per un paio di quotidiani locali (occupandomi prevalentemente di recensioni cinematografiche), ho curato —presentandoli anche (!)— alcuni programmi televisivi per una tv locale per la quale mi occupavo anche della programmazione cinematografica, ho scritto racconti di fantascienza e, anche, un po’ di fumetti. Tra questi mi ricordo con piacere alcuni horror per i pocket dell’editore Sansoni, qualche storia per il mensile cattolico nel quale avevo esordito (una di queste è stata disegnata da Giuseppe Dalla Santa!) e alcuni thriller per il “CorrierBoy”: purtroppo ne ho visto pubblicato solo uno, gli altri mi sono sfuggiti, magari un giorno o l’altro li troverò. E naturalmente le storie di fantascienza per “Il Mago” disegnate da Giorgio Cavazzano.

S: La tua prima storia Disney a venir pubblicata è “Zio Paperone e il supercomputer” nel 1979. Come sei giunto a collaborare con la Disney? Come è nata la passione per le storie Disney?

Un’immagine da ‘Zio Paperone e il supercomputer’ la prima storia Disney di Salvagnini

RSa: Collaboravo con Giorgio Cavazzano per le storie di fantascienza pubblicate sul “Mago” e un giorno, di punto in bianco, Giorgio —accompagnandomi alla fermata della corriera per Padova (da Mirano, dov’ero andato a trovarlo)— mi chiese se avevo mai pensato di collaborare a “Topolino”. In effetti, non ci avevo mai pensato perché la mia ambizione era fare fumetti d’autore, per così dire. Però, quando me l’ha detto, ci ho pensato e più ci pensavo più mi sembrava una cosa molto interessante. In realtà, non avevo mai pensato di collaborare a “Topolino” perché mi sembrava un mondo inarrivabile, a se stante, a cui non avrei mai potuto accedere. Però conoscevo i personaggi e mi erano sempre piaciuti. Un paio di storie rimangono tra i ricordi più vividi che ho dei fumetti che ho letto da bambino e non a caso sono due storie di Scarpa che più tardi ho identificato: “Topolino e la collana Chirikawa”, una storia fantastica per inventiva e complessità e che da piccolo mi aveva suscitato una certa inquietudine, e “Topolino e l’uomo di Altacraz” che molti anni dopo ho cercato di omaggiare in una lunga storia di Topolino che ho realizzato negli anni ’90. Inoltre, ero molto legato al Topolino dell’epoca d’oro: quando era uscito il “Topolino d’oro” ne avevo comperato tutti i numeri e avevo trovato affascinanti le storie, soprattutto quelle di Gottfredson. Un altro tassello per la riscoperta del mondo Disney da adolescente, dopo che l’avevo abbandonato verso i dieci-undici anni, è stato lo storico Oscar “Vita e dollari di Paperon de’ Paperoni”. Allora non sapevo che era tutto opera di Carl Barks, ma non aveva potuto sfuggirmi la profondità e la bellezza di quelle storie. Quel volumetto e il Topolino d’oro mi avevano dato la conferma che il mondo Disney era da seguire con attenzione. Perciò, ho provato a collaborare con la massima buona volontà. Curiosamente, non sono partito con un soggetto, ma con una intera sceneggiatura, che si intitolava “Paperino e il dono dal cielo”. Mario Gentilini non la approvò, ma gli sembrò interessante e professionale, per cui mi invitò a insistere. Perciò ci riprovai e ne nacque “Zio Paperone e il supercomputer” che ho scritto nel dicembre del 1978 ed è stata poi disegnata da Giorgio. Interessante notare che le mie prime sceneggiature sono state disegnate da Giorgio, da Massimo De Vita e da G.B. Carpi: non potevo iniziare meglio, da quel punto di vista.

S: Una delle tue storie più note è “Zio Paperone e l’Uomo dei paperi” dedicata al grande Carl Barks. Cosa ne pensi di Barks? In “Come nasce uno stellone” hai inserito un piccolo omaggio a Gottfredson. Vogliamo ricordare quale? Cosa ne pensi di Gottfredson?

Barks nella versione sceneggiata da Salvagnini e disegnata da Cavazzano.

RSa: Barks è stato un maestro assoluto e le sue storie mi hanno insegnato molto. Mi sarebbe piaciuto incontrarlo, ma purtroppo non è stato possibile. Quella storia è stato un modo per ringraziarlo di quanto aveva fatto non solo per me, ma per intere generazioni di lettori ed è un motivo di orgoglio pensare che lui l’abbia vista e ne sia stato contento. Come piccolo aneddoto posso ricordare che, credo nell’estate del 1998 o del 1999, dato che mio fratello Massimo andava negli States in vacanza proprio nella zona dell’Oregon, gli ho detto che se passava dalle parti di Grants Pass avrebbe potuto portare i miei saluti a Carl Barks. Gli ho dato l’indirizzo e una fotocopia della lettera che Barks aveva mandato alla redazione di “Topolino” manifestando la sua divertita soddisfazione per la storia. Incredibilmente, mio fratello c’è andato davvero. Cosa che non sapevamo, Barks era già malato, ma, alla vista della lettera, ha voluto salutare cordialmente mio fratello, anche lui appassionato delle sue storie. Una persona semplice e serena, un grande artista quasi inconsapevole della sua grandezza: questa è l’impressione che ho sempre avuto di Barks.

L’omaggio a Gottfredson nasce invece da un altro Oscar che, un po’ dopo “Vita e dollari di Paperon de’ Paperoni”, mi aveva molto colpito: “I pensieri di Pippo”. È da lì che nasce anche una certa predilezione per Pippo, un personaggio davvero bizzarro e pieno di potenzialità.

Vignetta ripresa da ‘Pippo a Hollywood’ di F. Gottfredson.

S: Tra i lettori Disney sei ricordato soprattutto per la serie de “I mercoledì di Pippo”. Come nasce questa serie? Quali “mercoledì” preferisci? Ne leggeremo altri?
RSa: La serie è nata in modo del tutto casuale. Tutto nasce da un soggetto “estremo” che avevo scritto anni prima e si intitolava “Topolino e la difficile scelta”. In quel soggetto si immaginava che Topolino e Pippo facessero delle riunioni a casa per scegliere —tra le sceneggiature che venivano loro proposte— quelle che volevano interpretare nelle storie a fumetti. Pippo, insoddisfatto delle proposte e desideroso di parti più sostanziose, decideva di scriverne qualcuna lui e naturalmente si trattava di storie sconclusionate e bizzarre. Il soggetto, giustamente, era stato rifiutato: era metafumettistico e, anche se poteva essere simpatico, conferiva un’inaccettabile irrealtà ai personaggi e alle loro storie. Però mi piaceva l’idea di Pippo scrittore e perciò ho pensato a come inserirla in un contesto accettabile. Da lì, alcuni anni dopo, è nato “Pippo e il giallo a premi”. Per me sarebbe finita lì. Però ho ricevuto una telefonata entusiasta di Lino Gorlero, il disegnatore a cui la sceneggiatura era stata assegnata, che mi ha detto che non si poteva far morire lì un’idea così divertente e che si sarebbe potuta fare una serie con i gialli creati da Pippo. Allora ho pensato che forse si sarebbe davvero potuto continuare, ma non con i gialli, bensì con praticamente ogni genere letterario che avrebbe potuto essere rivisitato in chiave Pippesca. Ne abbiamo parlato con Massimo Marconi —a Parigi, durante uno dei meeting Disney— e lui è stato subito d’accordo. La serie è partita ed è stata una fonte di notevole soddisfazione. Il mio preferito è “Il segreto di Shazan”. Altri che mi piacciono particolarmente sono “Avvocati alla sbarra”, “Topolino alla riscossa”, “Gli ex-files” e “Il maniero del brivido”. Ma devo dire che sono legato un po’ a tutti. Mi sono molto divertito a scriverli.

da ‘Paperino e le concatenazioni imprevedibili’

S: Una tua storia, molto particolare, è Paperino e le concatenazioni imprevedibili… Come nasce tale storia?
RSa: È una storia molto strana, una di quelle che mi è piaciuto di più fare e che è stato molto facile scrivere. È venuta di getto. Nasceva dalla voglia di fare qualcosa di diverso, qualcosa che coinvolgesse molti personaggi —un po’ come avrei fatto poco più tardi con “Zio Paperone e l’inutile statuetta”— ma con qualcosa di ancora più originale. In quegli anni ho fatte diverse storie con quello spirito —tipo “Paperino e la macchina del se fossi” o “Paperino e i fulmini spiazzanti”— caratterizzate da una narrazione rapida e che procede a scatti, con continui cambiamenti di scene e ambienti. Era un periodo così.

S: I tuoi lettori apprezzano moltissimo la tua ironia, il tuo umorismo. Dove trovi ispirazioni per la tua comicità?
RSa: Troppo buono. La comicità è uno stato mentale che ti accompagna, volente o nolente, e trasforma in battute qualunque spunto.

da ‘Topolino e il fantomatico ritorno di Macchia Nera’.

S: “Topolino e il fantomatico ritorno di Macchia Nera” è tra le tue storie più note a dar spazio all’ “inquietudine” piuttosto che alla comicità. Cosa ne pensi di tale racconto, con riferimento al finale, imprevedibile?
RSa: È stata una delle mie prime storie ed ero ben consapevole del ruolo di Macchia Nera nell’ambito delle storie di Topolino. Volevo usare Macchia Nera come red herring, per trovare una svolta narrativamente un po’ diversa e anche per cercare di rappresentare sotto un’angolatura almeno in parte un po’ originale il rapporto tra Topolino e Macchia Nera.

S: Sei molto poliedrico con i personaggi: ne hai utilizzati moltissimi. Quali ritieni i più interessanti, anche tra quelli meno utilizzati?
RSa: Mi è sempre piaciuto lavorare con i secondari per cercare di tirarne fuori aspetti poco trattati. In questo senso Ciccio mi è sembrato subito molto interessante e già dai tempi di “I sogni di Ciccio” l’ho messo al centro di una storia studiata solo per lui. Pippo e Paperoga —che più che secondari sono dei comprimari— li ho sempre trovati molto affini al mio modo di scrivere e di pensare. Eta Beta mi è sempre piaciuto moltissimo e ho cercato di usarlo qualche volta, quando trovavo la storia adatta. Anche Atomino Bip-Bip è un personaggio che mi aveva colpito quando ero piccolo, ma non sono mai riuscito a trovare l’occasione —o forse il coraggio— di provare a utilizzarlo. Gastone, Pico e Archimede sono personaggi unici e molto divertenti da usare e dettano spesso le loro storie o i siparietti di supporto in cui vengono impiegati.
Un altro secondario in cui trovo affinità è Umperio Bogarto, che ha notevoli potenzialità ed evoca scenari hard-boiled parodistici su cui si può lavorare bene.
Alla fine, però, i personaggi a cui sono più legato e a cui periodicamente torno più volentieri sono quelli principali, che hanno un substrato caratteriale complesso che permette di andare in profondità e di trovare sempre qualcosa di nuovo o qualcosa di funzionale a qualunque storia. Parlo di Topolino, Paperino e Zio Paperone. La regola che ho cercato di seguire, non riuscendoci sempre, è stata comunque quella di variare il più possibile i personaggi, dividendomi tra paperi e topi, tra principali e secondari, per non fossilizzarmi e per trovare sempre stimoli diversi.

S: Molti grandi autori hanno disegnato tue storie (Cavazzano, Gorlero, Intini, Ziche, De Vita, Asteriti…). Quali secondo te le hanno reso meglio?
RSa: Sono legato a un rapporto di gratitudine verso ogni disegnatore che ha illustrato le mie storie. E provo un grande rispetto verso i colleghi che si profondono nel difficile lavoro di trovare idee buone e di trasformarle in storie a fumetti.

da ‘Topolino e il vortice imperiale’.

S: Tolti i “Mercoledì di Pippo”, consiglia solo 5 tue storie e spiegane (brevemente) il motivo.
RSa: “Topolino e il vortice imperiale”: perché è un’avventura ucronica in cui mi sono divertito a inventare un mondo parallelo curioso, in cui l’impero romano non è caduto e i pellerossa hanno scoperto l’Europa.
Topolino e la valle della dimenticanza”: per l’ambientazione e per il rapporto tra Topolino e Gambadilegno.
Paperino e la nube cosmica”: perché è un’avventura fantascientifica che spero non banale, un piccolo omaggio a Tarkovsky, Sidney Pink e Ray Bradbury.
Zio Paperone e la proposta dell’alter-ego”: per il gioco con i personaggi in una realtà alternativa.
Quando Ciccio va a fare la spesa”: per l’equilibrio tra la passività del personaggio e le necessità narrative.
In realtà, se me lo chiedi domani magari te ne cito altre cinque e poi, tutto sommato, i motivi che ti ho indicato sono quelli per cui piacciono a me, non hanno necessariamente un valore oggettivo. Non è facile scegliere, comunque, si resta legati a molte storie e magari quello che piace a me può essere difficile spiegarlo.

S: In qualche tua storia, parli di calcio, hai citato Moggi e fatto diventare Paperino procuratore sportivo… Sei tifoso?

da ‘Paperino procuratore sopraffino’.

RSa: Ho davvero citato Moggi?(2) Ci credo, ma non me lo ricordo. Comunque, sì. Il calcio mi è sempre piaciuto, ho giocato a calcio per anni e alcuni dei momenti più fantozzianamente tragici della mia vita sono legati a partite di calcio: uno dei miei più indelebili ricordi è quando —avevo undici anni— ho fatto un paio di chilometri a piedi, da solo, per andare —eravamo in vacanza in montagna— al bar del paesino per vedermi, speranzoso e fiducioso, una partita della nazionale italiana ai mondiali di calcio: solo che quella partita era Corea del Nord – Italia(3). Il ritorno —sempre da solo e nel buio più totale senza neanche l’illuminazione pubblica— è stato un incubo e la partita un incubo ancora peggiore: il grido costernato e sempre più disperato di Nicoló Carosio che diceva “Perani, Perani…”, a commento delle azioni di quella gloriosa ala del Bologna che nell’occasione sbagliò un paio di gol fatti, mi è rimasto nelle orecchie per anni. Però il calcio mi ha regalato anche bei momenti, tipo la punizione con cui Roberto Baggio(4) ha raddrizzato all’ultimo minuto una semifinale di coppa Uefa della Juve qualche anno fa: sono occasioni in cui si è portati a dare un significato quasi soprannaturale alle traiettorie del pallone. Ma se penso che quando avevo undici-dodici anni potevo andare da solo —con mio fratello di due anni più vecchio— allo stadio, il glorioso Appiani, senza alcun timore, mentre oggi non porterei di certo mio figlio allo stadio, mi spiego anche perché un po’ alla volta il calcio mi ha preso sempre meno. In ogni caso, quando ho scritto storie sul calcio —e mi è sempre piaciuto farlo e spero di farlo ancora— ho cercato di scriverle approfittando di quello che sapevo per dar loro un sottofondo realistico, anche se rivisitato in modo ironico.

Il dizionario del cinema horror curato da Salvagnini.

S: Oltre a sceneggiare, sei un noto critico cinematografico: collabori per Segnocinema, hai scritto un Dizionario dei Film Horror che è stato molto apprezzato dagli appassionati del genere. E’ pressoché scontato che concludiamo l’intervista con domande a tema. Spesso hai tratto spunti da dei film per delle tue storie. Quali reputi più “horror” e perché?
RSa: In realtà, non mi è capitato spesso di trarre ispirazione da film e meno che meno dagli horror: tengo le due cose molto, molto separate perché sono mondi diversi. Però ho fatto una piccola serie di storielle comiche basate sugli stereotipi dell’horror, i “Topohorror”: quattro episodi in cui mi sono divertito a prendere in giro i luoghi comuni dell’horror, quelli che erano così comuni da essere noti a chiunque e perciò potevano essere utilizzati senza il problema di farsi capire. Anche in un episodio dei Mercoledì di Pippo (“Gli ex-files”) ho giocato un po’ con gli horror. Adesso che ci penso anche nel “Maniero del brivido” c’è un gioco con gli stereotipi del sottogenere della “old dark house”, ma sempre in maniera periferica.

S: Quali sono i tuoi film Disney preferiti? Perché?
RSa: Tra i cartoni, prediligo “Dumbo” perché è molto fantasioso e vivace. Tra i non animati, “20.000 leghe sotto i mari” (5) e “I figli del capitano Grant”(6) per il genuino spirito d’avventura (e anche perché l’averli visti da piccolo me li ha resi indimenticabili per cui quando li ho rivisti ero già imprintato). Nei cartoni, comunque, quelli che mi sono sempre piaciuti di più, sin da piccolo, sono i cortometraggi (Topolino, Paperino, Pippo e così via) perché hanno una forza comica notevole, non hanno un attimo di tregua e sono di una vivacità trascinante.

S: La Disney spesso ha realizzato film con elementi horror. Nel tuo dizionario, ad esempio, inserisci “Qualcosa di sinistro sta per accadere” e citi nell’introduzione “La casa dei fantasmi”, non inserita perché è soprattutto una commedia. Cosa pensi del rapporto Disney-Cinema Horror?

Il poster di ‘Qualcosa di sinistro sta per accadere’.

RSa: Molte delle fiabe hanno un sottofondo horror e basta pensare alla festa di Halloween per capire come il mondo dell’infanzia e quello dell’horror viaggino spesso insieme, a determinate condizioni. Detto questo, “Qualcosa di sinistro sta per accadere”(7) e anche, si potrebbe aggiungere, “Gli occhi del parco”(8) sono film interessanti che però mostrano forse come il connubio, se preso troppo sul serio, sia estremamente difficile da realizzare. Molto più riusciti, sotto questo profilo, per l’equilibrio degli ingredienti, sono film come quelli della serie dei Pirati dei Caraibi.

S: Lo ritieni un binomio azzardato oppure no?
RSa: C’è una certa dose di azzardo, ma sta a chi lo realizza e a chi deve giudicarne la fattibilità trovare i giusti equilibri.

S: Ultimissimo spazio: vuoi aggiungere qualcosa ? (anche mandarmi a quel paese, se ti ho annoiato 😉
RSa: Questo genere di domanda lascia sempre la sensazione di dover dire qualcosa di intelligente e profondo come ultimo messaggio e la consapevolezza di non trovare mai la frase adatta. Diciamo allora che ho già parlato abbastanza e che l’unica cosa che mi resta da fare è quella di augurare buone letture a tutti.

NOTE:
(1) Zio Paperone n°90 del marzo 1997 accenna a questo lavoro di Salvagnini come una storia breve.
(2) Moggi è in versione paperesca su Topolino 2494 disegnato da Alessandro Gottardo.
(3) Erano le fasi finali Mondiali di Calcio del 1966 in Inghilterra. Vinse la Corea per 1 a 0 come ben si sa. Per la precisione, era il 19 luglio.
(4) Borussia Dortmund-Juventus 1-2 del 18 aprile 1995, semifinale di Coppa Uefa, decisa da un gol di Baggio.
(5) E’ il film del 1954, diretto da Richard Fleischer. Notevole successo all’epoca, due i premi Oscar: migliori effetti speciali e migliore scenografia a colori.
(6) Film di Robert Stevenson del 1962. Come il precedente, è tratto da un romanzo di Verne.
(7) Diretto da Jack Clayton nel 1983, viene valutato con due stelle su cinque dal dizionario di cinema horror di Salvagnini. E’ la storia di un circo maledetto che ha un ruolo ipnotico su una cittadina della provincia americana.
(8) Film di John Hough e Vincent McEveety del 1980.

Notizie Biografiche
Rodolfo “Rudy” Salvagnini nasce il 16 marzo 1955 a Padova.
È un apprezzato sceneggiatore di fumetti. In ambito Disney viene ricordato anche per la serie “I mercoledì di Pippo”. Dallo stile comico e fantasioso, è una delle colonne principali della sceneggiatura disneyana.
È anche un noto critico cinematografico. Ha collaborato per varie riviste a tema, è una delle firme di riferimento di Segnocinema.
È autore del “Dizionario dei film horror” edito da Corte del Fontego, ormai punto di riferimento di tutti gli appassionati del cinema del terrore, e ha pubblicato una monografia sul regista statunitense Hal Ashby.

Autore dell'articolo: Samuele Zaccaro

Samuele aveva molta fantasia e si è messo un nick alquanto difficile come il suo nome. In realtà ha perso molte identità online che nemmeno lui si ricorda quale sia quella vera. Diversi passioni: il calcio, la storia del calcio, il cinema horror, le belle donne, la psicologia (ogni giorno si prescrive una sindrome diversa, oggi quella di Capgras, domani una appena scoperta), la Coca Cola, la Nintendo, il mulo, Futurama e la Disney naturalmente. Da quando vede One Piece si auspica di diventare re dei pirati, ma soffrendo il mal di mare si limita all'avatar di Brook. Scrive recensioni ed articoli di cinema e pubblica anche interviste per il Dark Social Network IlCancello con predilizione per i film horror, d'animazione, comici, anni '80, exploitativi e a luci rosse. Lavora e studia in attesa della laurea (con Laura non è andata bene). All'ipermercato è felice di vedere la bionda figlia del padrone che dal lunedì al venerdì è in malattia ed il fine settimana è in ferie. Forza Lazio. Se rimane spazio, saluta Pacuvio (ma non Grrodon)