Figmentum – Portrait of Mister Vertigo as a Detective Story

09 AGO 2021

Non c’è nulla di più immersivo e nazionalpopolare di un buon mistero. Lo sanno bene Marco Nucci, Fabrizio Petrossi e Ottavio Panaro, i membri della squadra di autori che da luglio 2020 si è incaricata di portare in edicola la saga di Mister Vertigo, lungo giallo caratterizzato da un andamento bidirezionale, orizzontale e verticale, che richiama la struttura delle serie televisive.

Vertigo prima storia

L’esordio di Mister Vertigo su Topolino 3375

Si tratta di una serie articolata in cinque storie a loro volta suddivise in un certo numero di episodi, tutta improntata sul mistero rappresentato dall’identità di un “villain” che agisce sotto il nom de plume di Mister Vertigo. A indagare sui crimini (pochi) e gli inganni (numerosi) di Vertigo è ovviamente Topolino, il detective per eccellenza del fumetto Disney, l’infallibile segugio che da sempre si ritrova – da amateur – a risolvere gli intricati casi del Capitano Setter o del ben più familiare Commissario Basettoni.

Ma partiamo dal principio.

Quello che in Italia chiamiamo per sineddoche “giallo”, e che nei Paesi anglofoni è noto come “detective story”, è un genere transmediale la cui ideazione è da attribuirsi al raccontista americano Edgar Allan Poe, che nel 1841 con I delitti della Rue Morgue pone le basi del cosiddetto poliziesco, o giallo canonico, o giallo deduttivo.

Dopo di lui, esponenti illustri del genere sono Arthur Conan Doyle, Agatha Christie, Edgar Wallace, Rex Stout e S.S. Van Dine, il quale nel 1928 ne tenta una prima sistematizzazione redigendo le celebri Venti regole per scrivere romanzi polizieschi.

Negli stessi anni, Vladimir Propp e i Formalisti russi isolano in letteratura il concetto di funzione e realizzano alcuni studi che saranno fondamentali per le successive analisi sulla struttura del poliziesco classico.

Nato nell’Ottocento come letteraturizzazione delle pulsioni contrapposte di gotico e positivismo che agitarono quel secolo, il giallo ha attraversato il Novecento contaminandosi e rinnovandosi costantemente, approdando su altri media come il cinema e la televisione e mutando pelle e volto ma restando sempre fedele a quelli che lo studioso Alberto del Monte identifica come i suoi motivi fondamentali:

  • il mistero apparentemente inspiegabile
  • gli innocenti sospettati
  • il ragionamento come metodo d’indagine
  • l’imprevedibilità della soluzione
  • il procedimento per eliminazione
  • la superiorità del detective dilettante sulla polizia ufficiale

Dopo quasi due secoli il meccanismo del whodunit (dall’inglese: “chi l’ha fatto?”, “chi è il colpevole?”) non cessa di appassionare, in un dialogo costante con il fruitore che si trova a competere in acume e velocità con l’indagatore.

Nelle righe che seguono cercheremo di valutare la serie di Mister Vertigo non da un punto di vista generale ma nel suo essere un giallo. Parleremo di come Nucci, Petrossi e Panaro hanno costruito pagina dopo pagina il figmentum, la finzione che Topolino, fedele alla propria natura, si è imposto di smascherare.

Le notizie di Mister Vertigo

Se si esclude un’introduzione incredibilmente rivelatrice, Topolino e le notizie di Mister Vertigo di Nucci e Petrossi inizia come tante altre storie, con Topolino e Pippo che si godono un vecchio film. Parlando con il proprio migliore amico, il nostro detective comprende per la prima volta l’impatto che Mister Vertigo, nuova star del web che conduce una sorta di net-giornale quotidiano, sta avendo sulla psiche dei suoi concittadini.

Gli elementi dello show di Vertigo sono due: il Ventriloquo (che non si vede mai in volto) e la Marionetta.

Il mistero di Mr. Vertigo
L’inquietante Marionetta del Ventriloquo

Che Vertigo menta e manipoli la realtà è chiaro ai lettori sin dall’incipit, dove è lui stesso a denunciarsi per bugiardo. Topolino invece viene messo sull’avviso dal proprio istinto misto a una naturale diffidenza. Le notizie che Vertigo spaccia per vere sono assurde, grottesche: tuttavia i topolinesi si lasciano coinvolgere dalle sue improbabili fake news come a suo tempo avrebbero fatto nelle avventure gottfredsoniane dei primi anni Trenta.

Una volta preso coscienza dell’influsso pernicioso che Vertigo ha sui suoi concittadini, Topolino si auto-incarica di indagare sul caso (che al momento non esiste ancora) intervistando Lester Lercio, il poco attendibile webmaster di fuffa.com, l’ex cronista Charlie Torvo e l’illusionista Arkadin. I dettagli importanti in questa sequenza sono essenzialmente due: la ruota panoramica alle spalle di Torvo, che si intravede dalla finestra dello studio, e la figura di Arkadin stesso.

Significativo è infatti che l’illusionista indossi un frac come Vertigo nell’incipit; il suo nome e il suo aspetto richiamano inoltre l’assassino Gregory Arkadin del film Mr. Arkadin di Orson Welles (in Italia, Rapporto confidenziale). Da questo film Nucci ha tratto anche altre citazioni, come il nome di Tamiroff, ma ne parleremo più avanti. Un altro dettaglio interessante è che il primo colloquio fra Arkadin e Topolino avvenga nel baraccone degli specchi: è la studiosa Ilaria Crotti a definire il giallo “un sadico gioco di specchi”.

Separati alla nascita

Poco tempo dopo Vertigo mette in atto il proprio piano. Dopo aver convinto gli abitanti che un pericoloso gas amnesico sia stato rilasciato per errore su Topolinia, fa in modo che questa resti deserta. Topolino resta l’unico guardiano della città ormai abbandonata e assiste a una rapina in banca. Una figura di bassa statura, con indosso un cappuccio giallo decorato con un disegno a spirale (il simbolo-chiave del film Vertigo di Alfred Hitchcock, il creatore di figmenta per antonomasia) dirige la rapina, mentre un uomo in impermeabile tramortisce il detective colpendolo alle spalle.

Accusato, grazie a un complotto piuttosto inconsistente (o è una citazione a Weekend at Bernie’s?) di essere coinvolto nelle rapine in banca orchestrate da Vertigo, Topolino interpreterà in parte il ruolo tipico dei protagonisti hitchcockiani, l’innocente sospettato. Questa peripeteia appare innaturale (dopo tanti anni di collaborazione con le forze dell’ordine ci si aspetterebbe maggior fiducia nei suoi confronti da parte del Commissariato) ma in ogni caso il protagonista non impiega molto a rovesciare la situazione contribuendo ad arrestare il “vero” colpevole.

È il riflesso negli occhi della Marionetta a mettere Topolino sulle tracce di Torvo, peraltro facilmente identificabile dai lettori come l’uomo in impermeabile a causa del mento a punta datogli dal disegnatore. Negli occhi del pupazzo il detective riconosce la ruota panoramica che ha notato alle spalle dell’ex cronista nel corso del loro primo colloquio; ancora una volta l’incipit indirizza noi lettori verso l’“indizio”.

Arkadin

La risoluzione del primo “Dossier Vertigo”

Un dettaglio che il pur bravo disegnatore non rende mai adeguatamente dal punto di vista grafico, oltre ad essere poco sensato dal punto di vista logico (quanti topolinesi abitano accanto a una ruota panoramica?). Dopo il prevedibile contrappasso e una colluttazione al luna park, Torvo sarà arrestato e riconosciuto colpevole di dodici rapine in banca, di fatto l’unico reato reale compiuto da Vertigo in tutta la saga.

Fedele ai propri modelli cinematografici, Nucci concepisce il primo episodio della saga più come un thriller che come un giallo canonico. Infatti, la parte centrale, che nella normalità dovrebbe essere occupata dalla “detection”, qui è improntata sulla fuga dell’innocente braccato dalla polizia, espediente classico di questo genere di produzioni.

Dal punto di vista della sceneggiatura ciò è bene – il ritmo ne guadagna – ma non dal punto di vista giallistico poiché il detective arriva alla (temporanea) soluzione dell’enigma in modo davvero poco convincente. Il giornalista confessa sin troppo in fretta, smentisce Topolino circa la presenza di un complice mascherato e le sue motivazioni non sono chiare – sono menzogne, ma al momento nessuno può sospettarlo.

La sparizione della Marionetta lascia noi lettori con la consapevolezza che il vero colpevole sia riuscito a sfuggire alla giustizia. Tuttavia, il detective, che pure ha ben presente l’esistenza del complice mascherato, lascia correre e rinuncia a indagare ulteriormente. Da notare come da un punto di vista intradiegetico nulla punti il dito contro il vero colpevole, Arkadin, visto che questi partecipa attivamente alla messinscena che causerà l’arresto di Torvo. È la struttura stessa della storia a farci comprendere fin da ora che il vero burattinaio sia proprio l’illusionista, in quanto unico personaggio di spessore all’interno di un cast “blindato”.

L’incubo di Mister Vertigo

Se la precedente poteva in qualche modo essere letta anche da sola, questa seconda avventura vertighiana ha ben poco di verticale e funziona solo in quanto secondo episodio di una saga.

Nucci e Panaro realizzano un episodio interlocutorio la cui funzione primaria consiste nel disvelamento del worldbuilding della serie. Vertigo viene definito per la prima volta “il principe della menzogna”; si introducono – chiaro esempio di anticipazione – il sindaco Topmayer e l’imprenditore Arthur Applepine, di cui sentiremo ancora parlare.

La trama ruota intorno a una serie di apparizioni oniriche di un personaggio basso, in impermeabile e con indosso la maschera gialla con spirale che Topolino riconosce come quella del complice di Charlie Torvo. È il Dottor Castle, influencer sedicente psichiatra, a suggestionare i topolinesi.

Halloween è il momento ideale per far debuttare nuovi inquietanti personaggi come il Dottor Castle

La domanda che il complice involontario di Vertigo pone nella trasmissione web Segni e disegni dei sogni, «un incubo può diventare contagioso?», ha una risposta molto semplice: no.

Non c’è nulla di male a voler utilizzare come spunto per una storia un tema di attualità come le fake news, ma l’espediente adottato dal “principe della menzogna” per suggestionare le proprie vittime è davvero irrealistico. Le tavole contenenti l’incubo di Topolino sono suggestive e rappresentano un ulteriore passo verso l’horror o il thriller ma non dobbiamo dimenticare che Vertigo è, strutturalmente, un giallo, per quanto allotropico e come tale ruota intorno a un mistero da risolvere con gli strumenti della razionalità.

Arkadin semina indizi

Già nella seconda storia del ciclo Arkadin inizia a seminare indizi…

Elemento ormai ricorrente è la conversazione fra Topolino e l’esperto di illusioni, il mago Arkadin, il quale spiattella al protagonista la soluzione dell’enigma (cioè del proprio stesso inganno) in quattro e quattr’otto. Manca la sezione centrale, la fase della detection.

Arkadin dovrebbe ricoprire il ruolo del Watson di questa saga, un Watson ingannatore (ma finora non ha fatto altro che aiutare Topolino); tuttavia, nei rigidi stilemi del giallo la figura del “Watson” è caratterizzata da un intelletto medio che ha principalmente lo scopo di far risaltare l’acume del detective protagonista.

Ne Gli incubi di Mister Vertigo Topolino finisce col fare una ben magra figura, giunge a far confessare Castle con una sceneggiata e non arriverà mai alla soluzione del caso poiché, ricatto a parte – peraltro scarsamente rilevante dal punto di vista penale –, Vertigo agisce sostanzialmente nel solco della legalità. In effetti, il suo piano non consiste nel rapinare gioiellerie come il detective presume ma nel produrre e vendere costumi di Halloween ispirati al proprio mascheramento.

Nelle ultimissime pagine il realizzatore dei costumi, Applepine, riceve la notizia di aver guadagnato milioni da questo affare, concetto poco realistico dato che poco prima si parla di qualche migliaio di pezzi venduti. Nel controfinale ci viene rivelata la complicità fra lui e Vertigo. In questa storia ci viene anche fornito (volontariamente da lui stesso) l’indizio che inchioderà Arkadin: il mago confessa candidamente di avere un passato da romanziere.

A uscirne male non è solo il detective, ma anche il criminale, che si presta a un ricatto solo per far favorire il commercio di ammennicoli da Carnevale. Di questo denaro non sentiremo mai più parlare.

L’arresto di Macchia Nera, Sgrinfia e Gambadilegno sarà determinante per altre storie di Marco Nucci: il worldbuilding è gerarchicamente superiore alla trama in sé. Nucci abusa dell’espediente dell’anticipazione; nelle storie successive commetterà un diverso e per certi versi opposto errore di scrittura, vale a dire il gioco di prestigio.

Le piccole verità del Natale

Un altro episodio anomalo, di fatto un misto di poliziesco e storia natalizia – combinazione tutt’altro che rara nella storia del fumetto Disney. Volendo inquadrarla all’intero della saga, questa terza storia (firmata da Nucci e Petrossi) presenta alcuni problemi abbastanza gravi.

Priorità

Le priorità del nuovo sindaco di Topolinia

Metà dello spazio a disposizione è occupato dalla descrizione delle conseguenze del complotto ordito dai fratelli Applepine, Arthur Fenton (che, raccolto il testimone del summenzionato Topmayer, diviene qui sindaco di Topolinia) e Percy alias Mister Pappy, personaggio visibilmente ispirato a Willy Wonka. Per inseguire il tema morale della storia, cioè che la verità assoluta possa avere conseguenze nefaste per la vita sociale e familiare, gli autori mettono la detective story in secondo piano.

Qui lo scopo di Vertigo è assistere i fratelli Applepine nel loro piano di indurre al litigio gli abitanti di Topolinia e in seguito vendere giocattoli rotti da regalare a parenti e amici per esprimere il proprio disappunto. A parte che il danneggiamento dei giocattoli richiede un processo produttivo ulteriore e quindi maggiori spese, non si capisce come Arthur e Percy possano guadagnare due milioni di dollari vendendo balocchi danneggiati agli abitanti di una piccola città; alla credulità dei topolinesi, a questo punto della saga, conviene purtroppo rassegnarsi.

Forse a causa del suo connaturato rispetto per l’autorità, Topolino qui non sospetta nulla e cade nel tranello di Applepine. Mentre ne L’incubo di Mister Vertigo assistevamo a un Topolino ossessionato dall’uomo incappucciato nonostante nella storia precedente avesse contribuito all’arresto del colpevole “ufficiale”, qui, sebbene sappia che Mister Vertigo sia ancora in libertà, gli è necessaria l’imbeccata di Arkadin per rimettersi sulle sue tracce.

Incomprensibilmente e contro il proprio interesse il mago fornisce a Topolino tutti gli elementi cruciali del caso. Il “ritrovamento” della maschera gli permette di ipotizzare che dietro l’identità della Marionetta si celasse un individuo in carne ed ossa; ne mostra inoltre al detective l’interno, contenente il marchio della fabbrica di giocattoli rotti di Mister Pappy; individua un post di fuffa.com in cui si ipotizza il legame familiare fra Mister Pappy e il nuovo sindaco Applepine; partecipa attivamente all’irruzione nella fabbrica P&P e “arresta” Mister Pappy e i suoi sgherri tramite ipnosi mentre Topolino insegue Mister Vertigo. Arkadin è il deus ex machina de Le piccole verità del Natale, e contemporaneamente il colpevole.

Arkadin continua a mescolare le carte…

Scrisse Van Dine: «Il colpevole deve essere una persona che ha avuto una parte più o meno importante nella storia, una persona cioè, che sia divenuta familiare al lettore, e lo abbia interessato». Arkadin risponde alla descrizione; tuttavia, si dice altrove: «In un romanzo poliziesco ci dev’essere un poliziotto, e un poliziotto non è tale se non indaga e deduce. Il suo compito è quello di riunire gli indizi che possono condurre alla cattura di chi è colpevole del misfatto commesso nel capitolo I. Se il poliziotto non raggiunge il suo scopo attraverso un simile lavorio non ha risolto veramente il problema, come non lo ha risolto lo scolaro che va a copiare nel testo di matematica il risultato finale del problema».

Priorità

… e Topolino cade nella sua trappola

Questo è il caso di Topolino, del tutto manipolato dal suo collaboratore-colpevole. A differenza del detective il lettore avveduto qui continua a sospettare di lui, e tuttavia è confuso dal prodigarsi di Arkadin nel risolvere i casi di mister Vertigo. Di questa storia di verità scomode e giocattoli rotti Topolino aveva capito ben poco e si è convinto a indagare a causa dell’opera di persuasione del colpevole stesso – ci troviamo di fronte a una incongruenza logica molto grave.

Dal punto di vista narrativo Le piccole verità del Natale è una storia profondamente difettosa, che non si giova della propria struttura allotropica ma, anzi, ne è danneggiata. Piuttosto che essere un giallo mascherato da avventura natalizia è un’avventura natalizia che si finge giallo.

Molti sono i buchi di trama: mai viene mostrato come Applepine sia divenuto sindaco né che scopo avessero i denari guadagnati nella precedente storia; gli indizi sono sbattuti in faccia al detective da un personaggio secondario che, nel figmentum ordito da Arkadin, si è incaricato di svolgere off screen tutta la procedura di detection che in teoria spetterebbe a Topolino.

Sapendo che Arkadin è il vero Mister Vertigo il suo comportamento è del tutto inconcepibile, ma anche ignorando questo dato il suo ruolo è del tutto sbilanciato rispetto alla fabula del giallo canonico. Se si limitasse a qualche conversazione con il detective il suo personaggio non andrebbe in contrasto con le già citate Venti regole di Van Dine e il ruolo del tipico “Watson”, ma così non è. L’aiutante si rivela più intelligente dell’investigatore.

Maschera

“Vediamo chi si nasconde sotto questa maschera!” (cit.)

Nel momento di sfilargli la maschera, grande è lo sgomento dei presenti nel riconoscere le fattezze dell’ex sindaco Topmayer, anche perché nessun indizio ha mai puntato nella sua direzione. Si tratta di un esempio classico di gioco di prestigio, difetto di scrittura che consiste nella violazione della legge della conservazione del dettaglio: la soluzione (temporanea e parziale) del mistero viene presentata senza una adeguata anticipazione e senza ricorso al “Fucile di Cechov”, un espediente tecnico su cui ci dilungheremo sul finale di questo articolo.

Ci si potrebbe anche domandare che reato abbiano tecnicamente commesso i personaggi di questa storia, a parte Topmayer che in quanto Marionetta nonché avatar del vero Vertigo assume su di sé la correità delle dodici rapine avvenute ne Le notizie di Mister Vertigo. Poco conta: essi vengono arrestati e Topolino ha modo di trarre da tutta questa vicenda un bell’insegnamento natalizio da propalare a parenti e amici.

In carcere Topmayer resta in silenzio. La sua confessione è a dir poco confusa. Le sue azioni, a parte la rapina commessa con la complicità di Torvo, non hanno un movente chiaro. Solo Basettoni e Manetta sembrano (brevemente) preoccuparsene, salvo poi andare a festeggiare il Natale con amici e parenti. Da notare che il disegno abbandona qui ogni tentativo di generare inquietudine nel lettore.

L’ombra di Mister Vertigo

Episodio meglio scritto e al contempo il più assurdo della serie, L’ombra di Mister Vertigo è poco più di una suggestione metanarrativa ricca di citazioni, cinematografiche e no.

Scottie Ferguson, l’attore che interpreta Topolino nel film, si chiama come il protagonista di Vertigo; Morris Morrison viene forse da Bret Morrison, “voce” di The Shadow nell’omonimo sceneggiato radiofonico anni Trenta (prima di lui il ruolo era stato ricoperto da Orson Welles); il nome di Alfred Lang, il regista del thriller intorno al quale ruota la storia, non è che la fusione fra Alfred Hitchcock e Fritz Lang, indimenticabili maestri della suspense; l’evasione di Macchia Nera e Sgrinfia, preludio a una piccola serie autonoma, è visibilmente simile a quella di Andy Dufresne in The Shawshank Redemption.

Cast e citazioni

Un cast di citazioni stellari

Per quanto riguarda la mitologia interna della serie, scopriamo che Lang è autore di un lungometraggio la cui locandina ricorre in diversi momenti della saga, Vampiri sottozero. Un altro piccolo elemento di continuity.

Anche in questa, come nelle precedenti due storie della saga, l’intelletto di Topolino viene sostanzialmente umiliato. Senza il suggerimento rappresentato dal film di Lang, alla base di un articolato scherzo ai limiti della circonvenzione d’incapace, il detective non avrebbe mai ripensato al caso di Vertigo che per lui – al netto di tutti gli elementi irrisolti – è chiuso. Incalzato dal regista, Topolino impiega diverse pagine a convincersi che resti ancora qualcosa di insoluto.

Quando avviene la rivelazione dello scherzo il detective si convince di non essere ancora andato a fondo nel caso Vertigo, ma non c’è una motivazione razionale alla base della sua intuizione. Se si esclude l’analisi delle impronte sulla Maschera, in nessun momento di questa storia è avvenuta una qualche forma di indagine razionale.

Il cinema, come lo spettacolo di magia di Arkadin (nella propria giovinezza Orson Welles fu anche mago), viene eletto a sublimazione dell’inganno. Un tema troppo complesso da trattare lavorando in questo modo.

Questa avventura vive di ottimi disegni (un Ottavio Panaro mai così efficace), una buona atmosfera noir e qualche citazione di troppo. Unico elemento importante di questa Ombra di Mister Vertigo, di fatto una non-storia in cui non accade nulla di sostanziale, è l’incontro con l’editore Orson Kane. Sul finale della storia il barbuto omone rivela a Topolino di avere informazioni importanti su Mister Vertigo, “il principe della menzogna”. Il criminale al centro della saga non commette crimini dalla bellezza di centoquarantotto pagine.

L’arrivo di Orson Kane introduce un nuovo indizio, che i cinefili avranno capito immediatamente

Il principe della menzogna

Siamo giunti al gran finale, la storia in cui gli autori della saga scelgono di applicare gli stilemi del giallo condensando in un centinaio di tavole tutta l’indagine che Topolino avrebbe dovuto svolgere in precedenza.

Prima di iniziare a trattare di questo episodio non è inutile far notare come lo scrittore e i disegnatori abbiano avuto ben 346 pagine complessive per sviluppare la propria trama: uno spazio abnorme paragonato a quello in genere a disposizione degli autori di Topolino. È probabile che quello di Mister Vertigo sia il giallo più lungo mai prodotto con Topolino, in Italia e altrove.

Nel mondo reale, la nuova avventura di Vertigo viene definita l’ultima e viene collegata a un concorso a premi alquanto problematico in quanto fornisce troppi elementi rivelatori, dei quali il maggiore è la presenza fra i possibili colpevoli del mago Arkadin, in realtà mai sospettato da Topolino. Prima ancora di leggerla, possiamo immaginare che nel corso de Il principe della menzogna ci sarà rivelata l’identità di Vertigo.

Il mistero di Mr. Vertigo concorso dell'estate
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La trama prende l’avvio per iniziativa di Orson Kane, il cui nome è un chiaro omaggio a Orson Welles e al suo Citizen Kane. L’editore, che abbiamo conosciuto nel finale de L’ombra di Mister Vertigo, rivela a Topolino di aver ritrovato dei manoscritti inviatogli da un ignoto romanziere diversi anni prima: in questi libri vengono descritti in dettaglio i crimini di Mister Vertigo con larghissimo anticipo.

La deduzione è che l’autore dei manoscritti sia Vertigo stesso o sia comunque legato a lui, dato che nessuno a parte Kane li ha mai letti – per la verità si tratta di un indizio piuttosto risicato, ma tant’è. Hotchkiss, il maggiordomo di Kane, spiega che i manoscritti sono stati battuti con una macchina specifica, una rara Mousinger con difetto di fabbricazione.

Mousinger

Sette Mousinger difettose per un solo Vertigo

Solo sette persone al mondo hanno avuto a disposizione tale macchina da scrivere: il marinaio Dick Tamiroff (il cui nome è una ulteriore citazione a Mr. Arkadin), Harriet Tolliver (qui forse il richiamo è a Michael “Mouse” Tolliver della serie Tales of the City), il sarto Joseph Toppen (riferimento a Joseph Cotten), la scrittrice Aghata Akroyd (ovviamente Agatha Christie), John Rakham (forse una citazione al famoso pirata), lo scienziato Oliver Oak (il professor Oak dei Pokémon?) e lo scrittore fallito John Ghoster (parodia di Paul Auster, che nel mondo reale è autore di un romanzo intitolato Mr. Vertigo). Oltre all’imbeccata di Kane, che gli permette di circoscrivere la rosa dei sospettati, nel perseguire la propria ossessione per Vertigo Topolino ha a disposizione un formidabile rivelatore di bugie: Flip, il gangarone di Eta Beta. Il terzetto di detective richiama e forse omaggia la vecchia avventura Topolino e la banda della morte.

La presenza dei vecchi amici di Topolino rappresenta una novità per quella che è a tutti gli effetti la storia più lunga della saga, occupandone circa metà della lunghezza totale. L’introduzione di Eta Beta e Flip, un po’ forzata (Eta è giunto nella dimensione di Topolino mosso dalla speranza di guarire il suo gangarone da una malattia causata dall’eccesso di sincerità, somministrandogli una dieta a base di bugie) risulterà anche inutile ai fini della detection.

Il principio qui violato è la cosiddetta Legge della conservazione del dettaglio, la quale stabilisce che ogni dettaglio fornito deve essere utile, eccezion fatta per le false piste. Ma in un buon giallo anche le false piste vanno esplorate – cosa che ne Il principe della menzogna non accade.

Il trio si ricompone, ma Flip è tutt’altro che in ottima forma

Prima di iniziare la caccia vera e propria, il detective si reca al luna park per il consueto colloquio con Arkadin, il quale regala a Eta dei biglietti per il proprio spettacolo di magia. L’illusionista viene aggiornato da Topolino circa la pista delle Mousinger ma non appare preoccupato, solo tenta di depistare gli investigatori suggerendo loro che l’affare Mousinger sia una truffa di Kane, qualcosa di simile allo scherzo di Alfred Lang nell’avventura precedente.

Topolino decide di indagare comunque, ma aggiunge Kane alla rosa dei sospettati. Significativo che Flip non fiuti la lampante bugia di Arkadin, che conosce i romanzi citati da Kane in quanto ne è l’autore. La débâcle del gangarone non verrà mai spiegata ed è un esempio classico di violazione del principio del “Fucile di Cechov”: «Se nel primo atto di una pièce c’è un fucile appeso al muro, nel secondo o terzo sarà utilizzato. Se il fucile non viene usato, non dovrebbe neanche starsene lì appeso». Qui, il fucile non ha sparato nonostante lo spazio narrativo dedicatogli.

Il colloquio con Arkadin permette agli organizzatori del concorso “Chi è Mister Vertigo?” di aggiungere altri nomi al pool di possibili colpevoli: Arkadin stesso, Orson Kane e Lester Lercio (devo dire, senza altro motivo se non la necessità di puntare il dito contro un altro comprimario fisso della saga).

Concorso per Il mistero di Mr. Vertigo
Dubitare anche dei propri alleati? E perché no?

In apparenza Topolino e i lettori hanno una possibilità su dieci di indovinare, ma in realtà esse sono di più poiché Arkadin e Ghoster sono la stessa persona, cosa che apparirà evidente nel prefinale. Ricordiamo qui che quello che Topolino definisce “il più grande criminale del nostro tempo” non è che il mandante di alcune rapine in banca, dato che le sue azioni successive non sono qualificabili come reati, e in più non appare da diversi episodi.

La sezione centrale de Il principe della menzogna, come da schema classico del giallo, è occupata dalla detection. Sempre accompagnato da Eta e Flip, teoricamente in grado di fiutare le menzogne, l’indagatore interroga sei dei sette possessori di una Mousinger.

Indizi

Molti oggetti, tanti indizi, forse troppi

In seguito dichiarerà di non aver escluso nessuno dalla rosa dei sospetti, ma sul momento i suoi dubbi si concentrano su dichiarazioni e comportamenti della Tolliver (sospettata in quanto Topolino nota in casa sua una porta chiusa con doppio lucchetto), del Professor Oak (è uno scienziato che lavora con la realtà virtuale, dunque in qualche modo “avvezzo alla costruzione di mondi irreali”) e del sarto Toppen (Topolino si sorprende a notare nella sua bottega alcune maschere di carnevale, come se un sarto non potesse aver interesse in cose del genere).

C’è un certo abuso di aringhe rosse, cioè di falsi indizi, derivante dallo spropositato numero di possibili colpevoli. Gli indizi sono assolutamente superficiali e i ragionamenti del detective a-razionali: manca la progressione a imbuto che dovrebbe portare l’investigatore a escludere le piste fasulle. Topolino esce anche al di fuori della propria caratterizzazione attuale compiendo un furto, per quanto a fin di bene, nell’ufficio di Rakham.

Sebbene non sia stato in grado di confutare i dubbi circa i tre sospettati principali e la stessa Aghata Akroyd abbia confessato di aver prestato la propria Mousinger a una trentina di persone, rendendo irrilevante tutta la pista delle macchine da scrivere, il detective e i suoi aiutanti si mettono alla ricerca del settimo nome della lista, lo scomparso scrittore Paul Ghoster. Dopo aver scavato nella sua vita e aver salutato Eta Beta e Flip, guarito dalla propria malattia grazie a un piatto preparato da Pippo, avviene l’estemporanea agnizione di Topolino, che la porterà a confrontarsi con Arkadin.

L’intuizione di Topolino è inattesa si basa su elementi fantasmatici. Il suo comportamento durante tutto il corso dell’indagine è assai poco sensato, e non è mai avvenuto il procedimento per eliminazione che avrebbe dovuto portare, a imbuto, all’unica spiegazione razionale.

Una vera e propria epifania

Dal punto di vista dell’equilibrio narrativo lo spazio dedicato a Ghoster è immane rispetto a quello riservato agli altri sospettati, e a poche pagine dalla fine è difficile per il lettore dubitare che lo scrittore fallito sia in qualche modo connesso con Vertigo. Questo però accade extradiegeticamente: all’interno del figmentum rappresentato dalla terza puntata non esiste indizio concreto che possa condurre Topolino a privilegiare Ghoster rispetto agli altri sei (o trentasei). La maniera in cui arriva alla soluzione è priva di logica, come tutto l’impianto narrativo.

Al luna park, di notte, il protagonista raggiunge l’illusionista rivelandogli di aver scoperto la verità. Come prove a sostegno della propria ipotesi il detective porta una frase pronunciata da Arkadin stesso nel secondo episodio della saga e una vaga somiglianza con lo scrittore scomparso, unita a una affermazione di Eta Beta: «I bugiardi non si allontanano mai dai propri inganni!», un concetto che in verità mi pare piuttosto irrealistico.

Per convincerlo, Topolino arriva anche a dichiarare che basterà un confronto fra le sue impronte digitali e quelle di Ghoster a provare che essi sono la stessa persona, ma è ovvio dalla trama che la verità di questo concetto non prova che Arkadin sia autore dei misfatti attribuiti a Mister Vertigo. Non solo è indimostrabile che Ghoster sia l’autore dei romanzi di Vertigo, ma con un poco di immaginazione si possono trovare decine di soluzioni alternative anche nel caso in cui lo fosse.

Un’entrata in scena drammatica

Dal punto di vista dei lettori e per il già citato principio di Van Dine sull’identità dei colpevoli, Vertigo non poteva essere altri che Arkadin. Sui forum e sulle pagine Facebook dedicate all’evento fumettistico, molti lettori avevano indovinato: è venuto meno il principio dell’imprevedibilità della soluzione.

All’interno della narrazione, nulla denuncia l’illusionista come colpevole se non il suo passato da scrittore, che ovviamente non prova nulla. Tuttavia, nonostante la debolezza degli indizi di Topolino, Arkadin getta la maschera confessando di aver agito per realizzare una certa qual vendetta nei confronti della società.

Il suo scopo? Gettare Topolinia nel caos trasformando i propri romanzi mai pubblicati in realtà. Poiché Arkadin è in procinto di partire e non si è manifestato in alcun modo nelle ultime due storie della serie (anche perché il carcere accoglie già i due esecutori materiali, la Marionetta e l’uomo in impermeabile) dobbiamo credere che ritenga il suo scopo raggiunto.

Confessione

Il momento della verità

Ma Topolinia non è nel caos, è stata solo brevemente agitata da alcuni eventi misteriosi. Tutti questi avvenimenti sono stati disinnescati da Topolino con l’aiuto di Arkadin, che non ha fatto altro che autosabotarsi per tutto il tempo.

Accadono poi diverse cose sconcertanti. L’illusionista, alias Mister Vertigo, dichiara di non avere impedito a Topolino di scoprire la sua vera identità perché convinto che non avrebbe «mai capito la verità», e ha lasciato quindi agio al detective di scoprire tutto per pura, stolida arroganza. Poiché a questo punto è impossibile far sembrare intelligente Topolino, viene reso improvvisamente stupido il criminale.

Arkadin dichiara inoltre di aver aiutato Topolino durante le indagini passate per ottenerne la fiducia, il che implica che almeno all’inizio lo temesse; ma gli sarebbe bastato ipnotizzare un passante a caso (o lo stesso detective) invece di danneggiarsi costantemente finendo col condurlo ogni volta a un brandello di verità.

L’illusionista spiega infine di aver sempre confidato che Topmayer e Torvo non avrebbero rivelato l’esistenza di un vero Mister Vertigo, sulla base del semplice istinto. Sotto il freddo sguardo della logica, il colpevole ha agito in modo arrogante e incredibilmente stupido – in caso contrario non sarebbe mai stato scoperto, dal momento che non esistono prove materiali della sua colpevolezza.

Eta ritorna dalla propria dimensione raccontando la reazione stizzita dei gangaroni (ormai guariti) nell’atto di annusare i biglietti di Arkadin, evento che gli ha permesso di identificare in lui il bugiardo. La presenza di Flip all’interno del finale di saga viene così in qualche modo giustificata, ma Topolino è arrivato alla soluzione per altre vie. Il “Fucile di Cechov” non ha sparato.

Sebbene lo spiegone confessionale di Arkadin sia farcito di insensatezze e superficialità, è il finale vero e proprio la parte meno convincente. Per nulla turbato all’idea di aver arrestato il proprio amico, Topolino partecipa a un party organizzato da Orson Kane nel corso del quale vengono fornite al lettore le spiegazioni di tutti i falsi indizi, meccanicamente e calate dall’alto. Il sarto è semplicemente un collezionista di maschere. Nella camera misteriosa di Mrs. Tolliver c’era il marito che dormiva. Altri dubbi non vengono fugati, ma ormai possiamo considerarli irrilevanti.

Tutti insieme allegramente

Il detective è piacevolmente sorpreso da questa abbondanza di rivelazioni spontanee, e con buona ragione: la parte più seccante dell’indagine, la detection, l’analisi razionale di fatti e indizi, è stata svolta dagli autori stessi. Una gran bella fortuna.

Figmentum

Scusandomi per la lunghezza della mia analisi, congrua alla quantità del materiale esaminato storia dopo storia, vorrei concludere con una breve considerazione finale.

Alla luce degli elementi raccolti mi sento di affermare che la saga di Mister Vertigo sia solo apparentemente un giallo: un poliziesco, anche uno che tradisca uno o più principi fondanti del genere, poggia sempre su una base razionale, che è proprio ciò che manca del tutto in questa serie. È tutto un gioco di prestigio, che ha richiesto a gran voce la nostra attenzione per mezzo di un battage pubblicitario martellante, ed è in questo che si trova il vero figmentum di Vertigo.

Non si può non riconoscere la professionalità di tutti gli autori coinvolti ed è innegabile l’impegno profuso nel creare questo micromondo, ma il giallo è un genere estremamente difficoltoso da maneggiare. È necessaria molta energia creativa per produrre un gioco riuscito, che sappia intrattenere e lasciare il fruitore pienamente soddisfatto. Non devono mancare suspense e surprise.

Il detective deve agire sulla base di ragionamenti, logica, cultura e abilità deduttiva. Tutto questo in Vertigo non avviene, come abbiamo detto. Certo si potrebbe obiettare che da molti punti di vista non sia poi diverso da altri gialli Disney, magari blasonatissimi: ma l’insensata e massiccia campagna pubblicitaria di cui la saga è stata oggetto, caricando di aspettative il pubblico, ha fatto sì che certi difetti spiccassero maggiormente. Si ha l’impressione che la proverbiale montagna abbia partorito il topolino (astenersi dalle battute scontate!).

La pubblicità é l’anima del commercio, si dice. Ma prima di ogni altra cosa bisogna sempre rispettare il lettore.

Copertine de Il mistero di Mr. Vertigo
L’arte di Fabio Celoni al servizio della saga di Mister Vertigo

Autore dell'articolo: Manuel Crispo

Medico con la passione per la scrittura, pker di vecchia data, come tanti ho iniziato a leggere con Topolino. Col tempo ho divorato voracemente manga, manhwa, historietas, BD e tutto ciò che è targato Sergio Bonelli, ma l'incredibile mondo Disney resta il mio primo amore.