Topolino 3121

16 SET 2015
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Una storia sul calcio, al via del campionato di serie A, in Italia è imprenscindibile, quale che sia l’editore della rivista, per cui non sorprende trovare in apertura del numero “Paperino e il campionato campionato”, scritta da Marco Bosco e disegnata da Carlo Limido. Nonostante l’argomento abbia dato spunto per ottime storie, nel recente passato per lo più ci si è purtroppo limitati a dar spazio a mezze figure calcistiche, riducendo il tutto a una passerella di caricature con trame messe in piedi alla meno peggio. Bosco invece ci risparmia tutto questo e anzi lascia sullo sfondo il calcio giocato per concentrarsi su quella che col tempo è diventata la questione principale, l’aspetto su cui tutto lo sport ruota e grazie al quale, in buona parte, si mantiene e cioè la gestione dei diritti televisivi. L’idea è divertente, affascinante e per certi versi neanche troppo fantascientifica, considerando quanto già si riesce a fare nel campo della cinematografia e della realtà virtuale. Il finale è forse meno catastrofico e spassoso rispetto a come si è abituati con questo tipo di avventure, ma in fondo è anche un monito (oltre che una esplicita denuncia di una tendenza che si va diffondendo) a non confondere virtuale e reale e a non credere a tutto ciò che viene propinato dai mass media.

Prosegue la seconda tranche de “Tutti i milioni di Paperone” col dodicesimo episodio, sempre scritto da Fausto Vitaliano e disegnato da Ettore Gula. Sinceramente si fa fatica a comprendere il perchè della ripresa di questa serie a distanza di otto anni, per di più per soli 4 episodi a meno che questa non sia solo una prima parte di altri episodi che seguiranno più dilazionati nel tempo, per quanto risulti un po’ improbabile come ipotesi. Comunque per ora abbiamo due episodi del tutto identici a quelli che li hanno preceduti e che quindi faticano a soprendere un lettore che, se anche non li avesse letti all’epoca, certo non se li sarà fatti sfuggire nella recente riproposizione in edicola. Una certa compiaciuta ostentazione dialettica (tipica dell’autore) appesantisce forse un po’ l’introduzione alle vicende vere e proprie, poi tutto procede secondo una scaletta definita, con un finale sempre talmente fantasioso quando non improbabile, al punto che è assai forte l’impressione che lo zione (e l’autore) ci stia prendendo in giro.

Diciamo che la serie va presa per quel che è, un divertissement, un modo per ironizzare con leggerezza sulla figura forse più autorevole e autoritaria dei fumetti disney, dal passato ricco ma comunque nebuloso (dimentichiamo Don Rosa per un attimo). Viene alla mente quando Barks faceva dire al suo Paperone cose del tipo: “Ho imparato il mongolo quando vendevo cammelli a Genigs Khan”. Era una maniera ottima per aggiungere fascino al personaggio, gli dava quel tocco di cialtronaggine e contemporanemente di mistero indispensabili per ritrarre un avventuriero secondo manuale. Qui è un po’ la stessa cosa, con la differenza che ciò che Barks condensava in una vignetta, ne “I milioni di Paperone” viene dilatato in qualche decina di tavole. Perciò il miglior modo per fruirne è essere consapevoli di cosa si va a leggere e affrontarlo con lo stesso sense of wonder con cui si potrebbero leggere le avventure del Barone di Munchausen, senza aspettarsi epicità o profondità, stiamo pur sempre parlando di un papero che ha accumulato tre ettari cubici di denaro (unità di misura… sfuggente, come il passato del papero con tuba e ghette).

Due riempitive di Moscato/Migheli e Cirillo/Amendola fanno da apripista per la storia di chiusura firmata da Salati/Mazzon, “Una divisa per Topolino”: pur non essendo la prima volta che Topolino si trova ad indossare i panni del poliziotto vero, stavolta è interessante vedere le difficoltà che incontra proprio in virtù del ruolo “ufficiale”. Quella divisa che doveva essere una sorta di consacrazione finisce per diventare, con i doveri che comporta, una palla al piede per uno abituato a muoversi da battitore libero e a non rispondere a niente e nessuno se non al proprio intuito e alla propria reputazione. Ecco quindi emergere la figura di Manetta, che non è un cervello sopraffino, però è uno del mestiere, che sa come muoversi e ha tutto quel background “da strada” che Topolino non può possedere. Finale fatalmente ecumenico in cui c’è gloria per tutti.

Continuano le lezioni di economia di Paperone che completano un numero discreto.

Autore dell'articolo: Gianni Santarelli

Abruzzese, ingegnere elettronico riconvertito in quel che serve al momento. Il mio rapporto con i fumetti segue tutta la trafila: comincio a cinque anni con le buste risparmio della Bianconi (sovvenzionato da mia zia), poi Disney, i supereroi Corno, i Bonelli (praticamente tutti, anche se abbandonati man mano). Verso i 18 anni scopro le riviste della Comic Art, leggo "Stray toaster" di Sienkiewicz e inizio un giro del mondo fumettistico che ancora non termina. Fumetto franco-belga, argentino, americano, autori celebri e sconosciuti, tutto finisce nella mia biblioteca, molto aspetta ancora di essere letto, nel frattempo dilapido una fortuna. Su due cose sono profondamente ignorante: i supereroi "classici" (ad eccezione di Batman, per cui ho una venerazione, non leggo una storia dell'uomo ragno & c. dagli anni 80) e il fumetto giapponese. Per il Papersera, con il nick "piccolobush", collaboro all'annuale premio, scrivo qualche articolo quando necessario e mi occupo, con puntuale ritardo, del settimanale "Topolino"