Le interviste del Papersera – Casty

07 LUG 2009

Il giardino di Topolino

Intervista a Casty a cura di Luigi Marcianò
(Tratta da “Fumetto”, n. 70-Maggio 2009. Per gentile concessione dell’autore)

Copertina de “il Fumetto” n.70

Siamo a Gradisca d’Isonzo, bella e accogliente cittadina alle porte di Gorizia. È qui, a pochi chilometri da casa mia, che vive e lavora Andrea Castellan, più conosciuto tra gli appassionati di Topolino con lo pseudonimo di “Casty”, sicuramente tra gli autori disneyani più preparati e talentuosi.
Ci incontriamo in un pomeriggio soleggiato in un tranquillo bar e, tra una birra e un caffè, parliamo di fumetti e altro. Colloquiare con Casty è un vero piacere, gli argomenti trattati sono tanti e noto che quando parla del suo lavoro lo fa con un entusiasmo e una competenza incredibili. Dai suoi occhi vispi, sempre in continuo movimento, traspare tutto l’amore che sente verso le creature disneyane. Si capisce benissimo, attraverso il suo modo di parlare a volte serioso, a volte scherzoso e pungente, quanto impegno riversa nella sua attività di sceneggiatore-disegnatore, sempre rivolto alla creazione di storie “topolinesche” con una base classica, ma elaborate in maniera tale da essere gradevolmente fruibili dai lettori moderni.
La nostra è stata una chiacchierata lunga e articolata, che ha messo in evidenza gli aspetti umani e professionali di Casty, condensati in quanto segue.

Domanda: Presentati brevemente e dimmi da dove nasce il tuo nomignolo “Casty”.

I primi esperimenti di fumetto di Casty.

Risposta: Sono nato a Gorizia il 23 Aprile 1967 e vivo da sempre a Gradisca d’Isonzo, una piccola cittadina friulana immersa nel verde. Da dove nasce il nomignolo “Casty”? Quando ero piccolo, tra compagni di scuola ci si chiamava spesso con dei diminutivi. Casty mi piaceva, tanto che già allora firmavo i miei primi fumetti con quello pseudonimo.

Da quel che dici, devo desumere che già da piccolo avevi deciso di fare il fumettista?
Non saprei dire se all’epoca avevo già deciso…cosa avrei fatto da grande! Fatto sta che la mia passione per i fumetti nasce, infatti, proprio in quegli anni. Ne leggevo tantissimi e …mi divertivo a crearne di miei. Storie di paperi, ma anche avventure di super robot e detective story… Scrivevo e disegnavo le storie sui quaderni a righe delle elementari, poi li “copertinavo” e li noleggiavo ai miei compagni di classe: ogni settimana aspettavano il “nuovo numero”! Alcuni di quei quaderni li ho ancora e, ti dirò, certe storie reggono anche dopo trent’anni…

Sposato, hai figli o sei single?
Scapolo, e… con una deprecabile tendenza alla gozzoviglia nei pub, assieme a quei fedeli amici che le mogli non riescono a trattenere a casa…

Oltre al tuo lavoro, hai qualche hobby particolare?
Oh, il mio hobby sono i fumetti: farli e leggerli. Poi, il cinema: guardo moltissimi film, anche quelli brutti… Ci puoi sempre trovare l’ispirazione per qualche storia. Ecco, diciamo che i miei hobby sono tutti più o meno riconducibili al mio lavoro. Fino a qualche anno fa mi piaceva un sacco scorrazzare in bici, ma purtroppo il mal di schiena mi ha costretto a limitare le mie uscite.

Lupo Alberto

Lupo Alberto.

Il tuo esordio professionale avviene soltanto agli inizi degli anni ’90. Come mai così tardi? Cosa hai fatto nel frattempo?
E’ vero. A livello professionale ho esordito molto tardi, in quanto, dopo aver conseguito il diploma di Maestro d’Arte, ho cominciato a lavorare come grafico presso diverse agenzie della mia zona. Covavo, però, sempre il sogno di diventare fumettista e continuavo quindi, parallelamente, a spedire i miei lavori a vari editori. A quel tempo, sognavo di lavorare per Dylan Dog e fare il disegnatore realistico. Accadde, invece, che mi rispose Silver, proponendomi di sceneggiare per Cattivik e, in seguito, per Lupo Alberto. Dal 1993 circa, quindi, per la Acme (oggi McK N.d.R.), ho scritto più di duecento storie in dieci anni.

Sei deluso per non aver fatto il disegnatore realistico? Pensi che un giorno ciò possa accadere o è un progetto ormai accantonato?
Assolutamente non ho rimpianti, anzi: lavorare per Cattivik mi ha fatto scoprire la mia vera natura, ovvero che io sono un autore “per ragazzi”. Tant’è che anche quando scrivo cose mie, per semplice passione, si tratta sempre di fumetti o racconti dedicati ai ragazzi. Negli anni ho poi sviluppato un tipo di disegno che si integra con questo tipo di narrazione e che, come vedi, è riconducibile al cosiddetto “manga-Disney” piuttosto che al realistico.

Vista a distanza di tanti anni, come reputi l’esperienza fatta con Cattivik?
Quella con Cattivik è stata un’esperienza magnifica e, credo, irripetibile: ebbi dalla redazione fiducia incondizionata e, soprattutto, la possibilità di creare, assieme ai miei colleghi, un “universo” attorno al personaggio. Cattivik aveva infatti solo un esiguo numero di storie alle spalle e non aveva mai avuto un mensile tutto suo: potevamo, quindi, dar libero sfogo alla nostra fantasia. I risultati furono ottimi, visto che il giornale divenne in breve uno dei mensili per ragazzi più venduti.

Cattivik.

E per Lupo Alberto, invece, come è andata visto che esisteva già un retroterra editoriale? Per la caratterizzazione del personaggio dovevi attenerti a delle disposizioni precise o potevi intervenire sulle sue caratteristiche?
Iniziai a sceneggiare Lupo Alberto qualche anno più tardi, nel 1999. Anche questa è stata per me un’esperienza formidabile e …formativa, dato che non si trattava più di “creare da zero”, ma di inserirsi in una continuity stilistica, già ben definita da Silver prima e da Cannucciari e Artibani poi. Mi si richiedeva anche di ridare un po’ di “smalto” al personaggio di Lupo Alberto che, in quel periodo, soffriva il sempre più …invadente Enrico la Talpa. Eh sì, come per Topolino con Paperino, è un po’ il destino dei protagonisti vedersi soffiare la scena dal comprimario piacione.

Come erano i rapporti con Silver, con gli altri della redazione e, in particolare, con Massimo Bonfatti col quale hai una stretta e sincera amicizia?
Be’, con Silver credo di aver stabilito una specie di record: in tredici anni, non mi ha mai bocciato un soggetto. Anzi, a un certo punto avevo il via libera quasi incondizionato ed era un bel lavorare sapendo che il tuo direttore ti stima e ha piena fiducia nelle tue capacità. Idem per la redazione, c’era un rapporto davvero cordiale… e pensa che quasi non ci conoscevamo, nel senso che tutte le comunicazioni avvenivano per telefono. Col grandissimo Bonfa ho stretto un’amicizia che dura ancor oggi: e non finirò mai di ringraziarlo per la maniera stupenda con cui ha realizzato tante mie storie. Per me, Massimo è uno dei più grandi disegnatori italiani.

Come e quando arrivi alla Disney e cosa hai trovato di diverso tra Topolino e i personaggi della ACME?
Tutto cominciò nel novembre del 2002, quando spedii un pacchetto di soggetti alla redazione: alcuni piacquero, e fu così che iniziò …l’avventura. Al contrario di Cattivik, Topolino era un personaggio con uno sterminato background di storie e con tutta una serie di “paletti” da rispettare. Per questo, la stragrande maggioranza degli autori preferiva, in quel periodo, maneggiare i paperi. Topolino era però il mio personaggio preferito e … mi dispiaceva, davvero, vederlo relegato in un cantuccio. Decisi così di dedicarmi esclusivamente a lui.

Si può dire che oggi, dopo sette anni, le cose sono cambiate? Nel senso che alcune “costrizioni” o “paletti” come tu li chiami sono saltati?
Sicuramente. Il gradimento dimostrato dal pubblico verso questo tipo di storie, anche nel resto d’Europa, ha incentivato la produzione di nuove avventure con Topolino: dai e dai, sono caduti anche alcuni di quei “paletti” di cui dicevo prima, e questo ha reso nuovamente stimolante, per gli autori, dedicarsi a Mickey. Mi auguro che questo trend continui… e di continuare a farne parte.

La magnifica tavola iniziale di ‘Topolino e il mondo che verrà’

La magnifica tavola iniziale di ‘Topolino e il mondo che verrà’.

Quali sono, secondo te, i giusti ingredienti per fare una buona storia? Quanto la scorrevolezza di una trama interferisce con l’intensità visiva e narrativa di una storia?
Gli ingredienti fondamentali sono tre: mistero, avventura e…leggiadria, ovvero una certa “grazia” nel raccontare e nello scegliere i toni. Nelle storie “lunghe” di Topolino, quelle da 30 tavole in su, è per me fondamentale che ci sia una solida idea di partenza: un bel mistero da dipanare, un viaggio pericoloso da affrontare… Io scrivo cercando di fare quasi dei “piccoli film”, con un plot che sia serio e credibile, senza incongruenze o forzature giustificabili dal fatto che “be’, tanto siamo in un fumetto per bambini“: in fin dei conti, Topolino è un po’ il… Martin Mystère o il Dylan Dog dei bambini (e Pippo è il suo Groucho…). Come in ogni bel film che si rispetti, riservo spesso attenzione anche al lato “spettacolare” della storia, inserendo scene d’azione o vignette in cui il disegnatore possa sfoggiare il proprio talento… Ovviamente non è ogni volta possibile, eh…però, quando riesco a riunire tutti questi elementi (mistero + humor + scene spettacolari) ne escono, secondo me, delle belle avventure: “Topolino e il dominatore delle nuvole” credo sia la mia storia più rappresentativa in questo senso.

Per me è inevitabile porti una domanda. Capisco che ti chiedo, forse, qualcosa che ti può risultare antipatica, ma dietro le tue storie chi c’è? Scarpa, Gottfredson o chi altro?
Oh be’, ne ho sentite (e lette) tante: all’inizio, quando uscirono le storie con Doppioscherzo, Eurasia e Estrella Marina ero “…quello che vuole stravolgere l’universo Disney“; poi “…no, no, egli è un clone di Scarpa!“; ultimamente si cerca di affibbiarmi l’etichetta di “restauratore gottfredsoniano“… Eh, eh…come vedi, da un eccesso all’altro. In realtà, io ho semplicemente, nel corso degli anni, seminato “a raggiera”: ecco, qui “cresceranno” le storie avventurose e qui, invece, i gialli e quelle un po’ bizzarre; in quest’altra parte, quelle dal taglio più moderno e, quaggiù, quelle con Macchia Nera e Eta Beta… Una volta tracciati i limiti di questo “giardino”, me lo guardo e vedo, di volta in volta, qual è la parte che ha bisogno di maggior cura. In questi giorni sto… annaffiando il reparto “avventura”. A ogni modo, Gottfredson e Scarpa sono sicuramente dei riferimenti imprescindibili per chi vuole scrivere storie di Topolino. Ma, attenzione, non è …”integralismo”; è semplicemente prendere atto del fatto che costoro hanno “creato e definito” il personaggio: Scarpa ricollegandosi a Gottfredson, e questi ricollegandosi a Walt Disney stesso. Io cerco quindi, nelle mie storie, di rispettare la volontà dei creatori originali e ripropongo “lo spirito” di quel Topolino. Che mi sembra effettivamente la cosa più corretta da fare.

Un classico Topolino di Casty

Stiamo parlando, però, di un personaggio che ha 80 anni… E farlo evolvere, adeguarlo ai tempi?

Topolino, per me, è già “adeguato ai tempi”. Non ritengo necessari ulteriori sviluppi, a meno che non lo si voglia snaturare… Mi ricollego al discorso di prima: non c’è, con Topolino, un “universo” da creare: c’è un personaggio da portare avanti e c’è uno stile, Disney, da rispettare. So che sicuramente risulterei più …innovativo scrivendo battute tipo: Topolino “Uhm, la cosa mi puzza…” e Pippo “Yuk, allora làvatela…” ma, appunto, ritengo che cose del genere, con Mickey, non ci azzeccano proprio. Stesso discorso per quanto riguarda la “violenza”: talvolta mi si accusa di edulcorare troppo le scene d’azione, ecc… Tipo, in “Topolino e il mondo che verrà“, Topolino duella con la terribile Spia Poeta armato di … un ombrello: “Cielo, -mi è stato chiesto – non potevi dargli almeno una spada?“. Be’, l’ombrello mi sembrava decisamente più divertente … e inoltre gli funge pure da paracadute! Comunque, ok, la prossima volta metto in mano a Mickey un paio di Uzi e, come la Spia si affaccia, lui la sventaglia gridando pure “Crepa, bastardo…” …scherzo, ovviamente.

È stata recentemente pubblicata una tua storia disegnata da Massimo De Vita (Topolino e il signore dei pupazzi in Topolino 2779. N.d.R.). Anche se l’ho trovata un po’ “leggerina”, nel senso che il discorso sugli “andromimi” poteva, a mio giudizio, essere sfruttato più a fondo in modo da dare a Topolino più possibilità di interventi, risulta, comunque, piacevole in questo suo mix di elementi tecnologicamente avanzati ed il finale dal sapore moralistico. Ripeto, è una mia interpretazione e mi piacerebbe sentire cosa ne pensi tu.
Pensa che il soggetto, in origine, era uno dei più intriganti che avessi scritto: un “essere” misterioso e sovrumano, venuto forse (brr!) dall’aldilà, perseguitava i soci di una multinazionale dei giocattoli… Scoprivamo poi che l’essere era un sofisticato prototipo di “giocattolo” comandato a distanza dall’unico socio “buono”, il quale voleva impedirne la realizzazione in serie e la conseguente vendita a qualche potenza straniera… La storia, specialmente nell’inizio con le varie “incursioni” dell’andromimo, echeggiava parecchio lo Scarpa de “L’unghia di Kalì“. C’era poi anche ‘sta cosa del comando a distanza effettuato tramite “luce reattiva”, che sarebbe stato bello spiegare. Sarebbe stato bello anche vedere le applicazioni “buone” degli andromimi: vederli lavorare nelle profondità marine, aiutare i pompieri in mezzo al fuoco, o lavorare in ambienti sottozero e/o nei deserti… Insomma, ce n’erano di cose da raccontare, ma … Alla fine devi fare i conti con il numero di tavole che ti vengono assegnate e… devi fare una scelta: rinunciare alla storia (e al tuo “stipendio” di quel mese) oppure riarrangiarla secondo le esigenze dell’editore. In questo caso ho voluto, comunque, farla e quindi me ne prendo la responsabilità. Sono molto felice di essere riuscito a infilarci quella frase, per me molto significativa: “Non esistono le buone o cattive invenzioni, esistono le intenzioni di chi le usa“… credo che al signor Disney sarebbe piaciuta, una storia che si conclude così.

Wallpaper della prossima storia di Casty.

A quando il piacere di vedere una tua storia come autore completo? Puoi anticiparci qualcosa?

La mia prossima storia sarà “Topolino e l’isola di Quandomai“, un’avventura in due puntate, scritta e disegnata da me e che sarà inchiostrata da Michele Mazzon. All’inizio avevo pensato a una sorta di parodia di “Lost“, il telefilm: “Topolino & Co” su un’isola sperduta, alle prese con un nemico misterioso e avvenimenti inspiegabili… In fase di sceneggiatura, però, ho voluto sganciarmi dalla semplice parodia: prima di tutto per evitare l’ “out of character“, che è il rischio maggiore quando fai operazioni di questo genere. E poi perché volevo rendere la storia “indipendente”, e comprensibile perfettamente anche da coloro che non conoscono il serial tv: che poi penso saranno la maggior parte, dato che “Lost” non è proprio un serial per i bambini… La storia è quindi scritta pensando principalmente a loro.

Quindi una storia strutturata e pensata in maniera semplice, se ho capito bene?
Sì, però, aspetta: intendiamoci sul “semplice”. Scrivere per i bambini non significa scrivere storie in cui non accade niente o, peggio, scrivere storie in cui accade …di tutto, parandosi dietro la cosiddetta “sospensione dell’incredulità”. L’avventura per ragazzi, secondo me, deve avere dei presupposti “seri”: senza andare a scomodare Salgari o Verne, pensiamo a ciò che oggi fanno Spielberg con Indiana Jones, Lucas con Star Wars o Miyazaki con Conan e Nausicaa… O, per restare in ambito del fumetto Disney, alle trame complesse imbastite dal maestro Scarpa o dal Pezzin “avventuroso”… Le loro storie sono rivolte principalmente ai bambini, ai ragazzi, ma non si tratta di storie semplici o sciocche, anzi. Tornando a “Quandomai”: la storia è quindi “seria”, ma è raccontata in maniera “semplice”, pensando principalmente ai lettori più piccoli. In sintesi: si chiede “la complicità” ai lettori più smaliziati e… un “piccolo sforzo” di comprensione a quelli più piccoli.

A proposito di “sospensione dell’incredulità”, ogni tanto ti si accusa di “spararle un po’ grosse”, nelle tue storie: penso al “salto globale” di “Topolino e gli effetti della disastrometa”, o alle “piovre intelligenti” delle storie con Estrella o anche alla nevicata smemorizzante di “Topolino e la neve spazzastoria”…Cosa mi dici in proposito?
Eh, eh… già: ma dipende dal tono che dai alla storia, il fatto che tu possa “spararla grossa” o meno. “La neve spazzastoria” non è una avventura classica e…”seria”, ma è quasi una fiaba, con tanto di morale (per chi vuole recepirla) nascosta tra le righe. Il “salto globale” della Disastrometa è assurdo, ma… mica troppo: nel 2003, in Olanda, un gruppo di persone provocò davvero un piccolo terremoto, saltando tutte assieme e contemporaneamente. In quanto alle piovre, be’, ho visto parecchi filmati e documentari, in cui queste bestiole mostravano capacità non dissimili da quelle dei cani e delle scimmie… Per farla breve: alla base di ogni “sparata” c’è comunque (quasi) sempre un minimo di documentazione. Ammiro tantissimo il Topolino avventuroso di Pezzin, per esempio, perché è chiaramente percepibile il lavoro di ricerca che c’è dietro.

Parlando di documentazione quali sono le tue fonti nel creare una storia? Cartacee, Internet, cinema o cos’altro?
Oggigiorno, il web è una risorsa praticamente inesauribile. Navighi, e trovi notizie del tipo “Inventato nuovo motore che funziona come uno stomaco umano” o “Fotografato un castello sul lato nascosto della Luna“… certe cose non possono non scatenare immediatamente la fantasia.

Ma credo che anche la letteratura, il cinema, per non parlare dei fatti quotidiani, possano scatenare la fantasia. Ci sarà stato un romanzo, un libro, un film o un fatto di cronaca che, in qualche modo, abbia pungolato la tua fantasia o no?
La cosiddetta “ispirazione” può arrivare da tantissime fonti, certo: “Topolino e il mistero dei tergicristalli“, per esempio, arriva dal fatto che a Gradisca c’era davvero, fino a qualche tempo fa, un misterioso “alzatore di tergicristalli” che colpiva ogni notte… Film, romanzi o attualità possono sicuramente fornirti le idee di base su cui lavorare, però la trama, alla fine, ce la deve mettere l’autore. Resto sempre affascinato da quei racconti che alla fine, con un colpo di scena assolutamente imprevedibile, ribaltano tutto ciò che hai letto/visto durante la storia e … ti costringono a tornare indietro, per capire i perché e i percome. Ovviamente non è possibile, sempre e comunque, scrivere storie col “twist ending” perché …se già sai che ci sarà la sorpresa… che sorpresa è? Un autore inarrivabile in questa tipologia di racconti è sicuramente Philip K. Dick, e mi piacciono molto anche alcuni film di M. Night Shyamalan (“Il sesto senso“, “The Village“).

Storyboard di una nuova storia di Casty

Storyboard di una nuova storia di Casty

Scrivere e sceneggiare per gli altri, è diverso che farlo per se stessi? Come cambia il tuo approccio nell’affrontare una storia?
Faccio una premessa. Come quasi tutti i miei colleghi, io non ho facoltà di scegliere il disegnatore o di sapere a chi andrà una determinata storia: definire le “accoppiate” è, giustamente, compito della redazione. Mi reputo fortunato, perché spesso mi è capitato di lavorare con disegnatori bravissimi e addirittura con Maestri come Cavazzano e De Vita. Detto questo, be’, il modo di scrivere cambia, sicuramente. Nelle storie che scrivo per me c’è più umorismo “bizzarro” e surreale, e faccio un maggior uso di sotto-gag o di gag affidate alla sola mimica facciale o gestuale. Negli altri casi, pur sceneggiando tramite storyboard, spesso è difficile segnalare al disegnatore che una determinata gag funziona solo ed esclusivamente se “il tale fa quella faccia lì e l’inquadratura è quella lì“… Quindi preferisco affidarmi a gag verbali, o comunque meno complicate da raffigurare.

Eppure a vedere i tuoi storyboard, che sono delle vere e proprie storie disegnate, non dovrebbe essere così complicato per il disegnatore a cui è affidata la storia, realizzare graficamente le varie gestualità dei personaggi. Oppure, c’è qualcosa che io non riesco a focalizzare?
Eh, eh… pensavo anch’io che fosse facile, fino a che non mi sono ritrovato io stesso, come disegnatore, a dover seguire i miei storyboard. Il problema è che il disegnatore è spesso portato a fare il “bel” personaggio, piuttosto che a farlo recitare…Un po’ come quando fai una foto spontanea e un’altra in cui ti metti in posa: nella seconda vieni sicuramente più bello, ma perdi in freschezza. Gottfredson riusciva, con le piccole distorsioni che faceva alle bocche dei personaggi, ad ottenere una gamma di espressioni infinita, e lo stesso dicasi per Scarpa: entrambi usavano la gestualità delle mani, delle narici e perfino delle orecchie per far recitare i personaggi in maniera “sfumata”. Ci sono parecchi Topolini di Gottfredson che …non sono bei Topolini (intendo belle “pin up”), che però sono “vivi”: come dico spesso, Gottfredson, Scarpa, Barks non erano semplici disegnatori, erano disegn-attori…

Anche se non è giusto fare una scaletta di preferenze, ti chiedo: quali sono le caratteristiche che apprezzi di più nei disegnatori che hanno realizzato , fino adesso, le tue storie?
Innanzitutto, devo dire che tutti i disegnatori con cui ho lavorato hanno sempre dimostrato una grande disponibilità: poi, ovvio, qualcuno è più bravo di un altro, ma tutti hanno comunque sempre dimostrato entusiasmo e la volontà di fare le cose nella maniera migliore. Detto questo, penso di non far torto a nessuno dicendo che Cavazzano è il più grande interprete del fumetto Disney, oggi. Quando stavamo facendo “Topolino e il dono di Xamoc“, infilai nello storyboard una gag difficilissima da fare, muta, con Pippo e un pappagallo che bisticciavano… Al telefono, scherzando, gli dissi: “Ehm, pensi che si capisca, così? O vuoi che ci aggiungiamo un balloon?“. E lui: “No, perché, basta fargli l’espressione giusta…” E la fece: perfetta, esattamente come me la ero immaginata… Giorgio è anche lui un disegn-attore!

A volte qualche sceneggiatore si lamenta che il disegnatore varia di propria volontà, alcune cose della sceneggiatura. A te è mai capitato? E se ti è capitato, come l’hai presa?
No, non mi è mai successo, finora, che un disegnatore abbia modificato la mia storia in maniera rilevante. Nemmeno col …”temibile” Massimo De Vita che, anzi, al tempo in cui collaboravamo assiduamente, mi fece sapere di gradire davvero tanto i miei storyboard. Ci sono state invece modifiche o riscritture su richiesta della redazione, effettuate da me in fase preliminare oppure dalla redazione stessa in fase di editing. Considera, però, che non stiamo parlando di fumetto autoriale, come poteva essere Cattivik, ma di un prodotto seriale, che è per forza il frutto di un lavoro di equipe: è normale, dunque, che le cose vadano così.

Copertina ispirata alla storia ‘Topolino e l’eremita degli abissi’

Copertina ispirata alla storia ‘Topolino e l’eremita degli abissi’.

Da quando hai iniziato la tua attività di autore completo abbiamo notato che la tua produzione si è molto diradata, rispetto a quando scrivevi e basta. Domanda cattivella: sei davvero così… lento, nel disegnare, come qualcuno asserisce?
Lento? Boh, non mi pare: quando disegno, riesco a fare una/due tavole complete al giorno, a seconda della complessità… il che mi sembra un ritmo del tutto normale. Per capirci, una storia di 30 tavole riesco a disegnarla in un mese. Anche nello scrivere, non mi pare di essere …un bradipo: tra soggetto e storyboard, mi vanno via una decina di giorni, sempre considerando una storia media di 30/35 tavole.

Il momento che sta passando attualmente il fumetto, sicuramente, non è dei migliori. Secondo te, la situazione economica globale può incidere sulle vendite o il male è ancora più profondo? Nel senso che, come dice il proverbio,”è stato raschiato il fondo del barile!” e, quindi, non si trovano facilmente idee nuove che possano attrarre nuovi lettori?
Mah, non credo che la questione sia la mancanza di idee: io parlo con colleghi, gente del settore o anche semplici appassionati, e vedo che c’è una grande voglia di fare fumetti, e di leggerli. Il problema, secondo me, è che manca in Italia un “terzo polo”, oltre a Bonelli e Disney, che si occupi di quell’immenso pubblico di lettori ormai troppo vecchi per leggere Topolino e ancora troppo giovani per appassionarsi a Tex e compagnia. Tutti questi ragazzi non hanno praticamente nulla di made in Italy da leggere… Non stupisce, quindi, che finiscano col comprarsi i manga. In sintesi, le idee ci sono: non c’è però chi te le pubblica…

Secondo te, visto che ne hai parlato, l’arrivo dei “manga” sul nostro mercato è stato negativo o positivo, in particolare, per il nostro fumetto umoristico? Come vedi questa apertura da parte di alcuni editori nostrani – ci metto dentro anche la Disney – verso questo stile uniforme che sono i fumetti giapponesi?
Innanzitutto, vorrei dire che uno dei fumetti che amo di più, e che continuo a rileggere restando ogni volta incantato, è proprio un manga: Nausicaa di Miyazaki. Detto questo, il fumetto giapponese ha nel suo insieme una tale varietà di toni e generi che è difficile dire “il manga mi piace o meno“… Va dato atto ad autori ed editori giapponesi di avere una grande vitalità, non stanno a fossilizzarsi sui successi acquisiti: tu pensa se Goldrake fosse stato, che so, un mensile a fumetti prodotto qui… Oggi, dopo trent’anni, avremmo in edicola il numero 400, con l’ennesima battaglia tra Actarus e e i robottoni di Vega, e staremmo a chiederci perché, ahinoi!, non vende più un milione di copie… Per rispondere alla tua domanda: la lezione che avremmo dovuto imparare dai giapponesi è che è possibile fare fumetti e cartoni che “parlino” ai ragazzi… Avremmo dovuto studiarne le caratteristiche, e produrre cose altrettanto valide, in Italia. Invece ci siamo limitati a …subirli o, in taluni casi, a copiarne la mera estetica. Perché un lettore italiano dovrebbe comprarsi un similmanga made in Italy, quando può comprarsi l’originale, e con una storia più avvincente?

In questi ultimi dieci-quindici anni, abbiamo visto che la strategia editoriale della Disney non è stata molto esaltante. Molte nuove collane, alcune, tra l’altro, molto valide, faccio alcuni titoli: MMMM, X-Mickey, Monster Allergy, PP8, Kylion, Mad Sonja e qualche altra ancora, sono naufragate. Cosa non ha funzionato secondo te? è un problema di non buona programmazione o mancanza di nuove buone leve tra sceneggiatori e disegnatori?
Non saprei dire, con precisione. So solo che la Disney ha fior di manager ed esperti di marketing che sanno già prima perché la tal cosa, avrà sicuramente successo e la tal altra no… Ahimè, io sono solo un autore, non posso sapere o capire perché un fumetto piace o meno… Comunque, a me Monster Allergy stava simpatico…

Poster di Topolino e il mondo che verrà.

Da alcuni anni, vediamo un proliferare di proposte di fumetti allegati ai quotidiani o settimanali. Ristampe delle ri-ristampe e così via e, spesso, a prezzi quasi inavvicinabili, anche perché, in molti casi, sei costretto a comprare anche il gadget allegato. A mio giudizio tutto ciò non è proposto per far avvicinare al fumetto nuovi lettori, ma solo per uno scopo prettamente commerciale. Come la vedi tu da addetto ai lavori questa situazione?
Be’, ogni tanto sento dire che le storie “classiche” han fatto il loro tempo, eppure, crisi o non crisi, ogni volta queste ristampe vanno via come il pane… Se non sbaglio, Topolino Story ha venduto qualcosa come sei milioni di copie. Hai ragione, l’obiettivo principale di queste operazioni è senz’altro far cassa… Non che ciò sia sbagliato, anzi, però sarebbe bello, secondo me, pensare un po’ anche al futuro. Nel senso che immagino una collana, un allegato a tema, composto, che so, per metà di ristampe e per metà di inediti, i quali possano magari invogliare il lettore a cercarne altri, e a trovarli, infine, sul Topolino settimanale.

Cosa puoi dirmi sui tuoi progetti per il futuro?
Per quanto riguarda Topolino…Oltre a “Quandomai Island“, c’è in produzione un discreto numero di storie: alcune per me molto importanti, come ad esempio “Topolino e le borbottiglie di Avaloa“, che è un personale e sentito omaggio a uno dei più grandi Disney italiani, ovvero Rodolfo Cimino; e “Topolino e l’incubo orbitale“, un giallo dai toni un po’ bizzarri come ogni tanto mi piace fare.
Spero poi di continuare il ciclo di storie con Eta Beta, magari assieme a Enrico Faccini, con il quale ho scoperto di avere una bella affinità artistica.
Nel tempo libero continuo a lavorare su una graphic novel, che ormai è diventata il mio… “galeone di Dylan Dog” e che suppongo quindi non finirò mai: è un romanzo di fantascienza, con protagonisti dei ragazzi e ambientato in un mondo futuro sconvolto da una terribile catastrofe ecologica. Pensa te che le uniche tavole che avevo disegnato erano realizzate digitalmente, con la graphic tablet, e che …argh, le ho cancellate per errore. Forse è destino che non lo finisca mai…

Come ultima domanda, lascio a te la conclusione, nel senso, se vuoi, di aggiungere qualcosa che, durante la nostra piacevole chiacchierata, della quale, tra l’altro, ti ringrazio vivamente, non è saltata fuori.
Grazie anche a te, Luigi, per me è stato un piacere.
Be’, vorrei solo aggiungere un ringraziamento: a tutti coloro, lettori ma anche colleghi, e non solo dall’Italia, che in questi anni hanno dimostrato la loro stima ed esternato entusiasmo verso i miei lavori. E’ anche grazie a loro se il …”giardino di Topolino” è andato avanti: quindi, un sentito grazie a tutti.

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Notizie Biografiche

Casty, nome d’arte di Andrea Castellan, nasce a Gradisca il 23 aprile 1967. Dopo un’infanzia in cui ha prodotto storie a fumetti per far divertire gli amici, decide di trarre profitti dai suoi lavori. Nel 1993 inizia quindi a scrivere fumetti per Cattivik e Lupo Alberto.
Dieci anni dopo, nel 2003, esordisce su Topolino con “Topolino e i mostri idrofili” ma si fa notare l’anno seguente quando “Topolino e le bizzarrie di Neoville” (disegnata da Massimo De Vita) viene pubblicata sul fascicolo dedicato ai 75 anni del topo più famoso del mondo.
E da lì è un crescendo.. crea il personaggio di Eurasia Tost, di Estrella Marina e di Doppioscherzo; rende smalto a Macchia Nera rendendolo – di nuovo e finalmente – un cattivo di primaria importanza e terrore per Topolino. Nel 2005 viene pubblicata “Topolino e le macchine ribelli” che, per la prima volta lo vede anche ai disegni, fortemente ispirati al tratto di Romano Scarpa.
Nel 2006 scrive e pubblica una delle sue più belle avventure: “Topolino e il dominatore delle nuvole” disegnata da Giorgio Cavazzano.

Autore dell'articolo: Paolo Castagno

Sono appassionato lettore e collezionista di fumetti Disney sin da quando ho imparato a... guardare le figure. Il Papersera - sia il sito sia l'associazione - sono per me motivo d'orgoglio!