Le interviste del Papersera – Teresa Radice e Stefano Turconi

26 GIU 2011

Sono le 14.00 in punto di un pomeriggio di fine aprile quando io e MinnieMouse arriviamo davanti a casa Turconi. Entrambi siamo molto emozionati, e io addirittura in fibrillazione al pensiero non solo di stare per trascorrere un bel pomeriggio in compagnia di due tra i migliori autori di fumetti Disney degli ultimi anni, ma addirittura di aver la possibilità di intervistarli!

Teresa e Stefano in versione umana e papera a confronto.

L’invito ad andare a trovarli a casa loro ci è stato fatto con grande gentilezza dagli autori stessi un mesetto prima, in occasione di alcuni messaggi scambiati con Teresa riguardo alla fiera milanese di Cartoomics, e io e Minnie l’abbiamo colto al volo!
Suonato il citofono, ci accoglie sul vialetto di casa Teresa, tutta sorridente e vispa come suo solito, e una volta entrati in casa ecco che ritroviamo anche Stefano.
«Dai, vi facciamo fare subito un tour per la casa!» ci dice Teresa, e Stefano ci fa partire proprio dal suo studio. È la prima volta che vedo dal vivo ed entro in un vero studio di un disegnatore di fumetti, ed è un’esperienza bellissima anche solo guardarsi attorno: il tavolo da disegno, il computer di fianco, tavole finite riposte da una parte e tavole che stanno nascendo in posizione per essere completate… ecco le prime cose che mi saltano all’occhio dello studio di Stefano, il suo luogo di lavoro al primo piano della casa. Poi, su due lunghe pareti, grandi librerie raccolgono moltissimi libri, riviste, fumetti e oggettistica varia che circondano l’ambiente di calore e di sicurezza. Una teca in vetro custodisce numerose action figures tra cui compaiono personaggi de Il Signore degli Anelli e di Asterix.
Io e Minnie ci guardiamo intorno meravigliati, tutti presi dalla voglia di catturare con gli occhi quante più immagini riusciamo. Stefano allora ci mostra anche le tavole che sta disegnando (di una storia per Topolino che vedrà la luce entro l’estate) e quelle già rifinite su un progetto extra-Disney che i due coniugi stanno portando avanti. Un progetto molto interessante e suggestivo.

La bellissima scultura in legno realizzata da Stefano e raffigurante Cyrano de Bergerac.

Arriva anche Teresa nello studio, e così lei, Stefano e Minnie iniziano a parlare dei rispettivi viaggi compiuti negli scorsi anni… e chi conosce un minimo i tre soggetti saprà che avrebbero potuto passare beatamente almeno tre giorni a discutere di questo argomento. Osserviamo poi anche gli attrezzi da lavoro che il Turconi usa per lavorare il legno, suo grande hobby grazie al quale possiamo osservare alcune sculture molto graziose e ben riuscite. Il disegnatore ci spiega il piacere di ottenere da un comune pezzo di legno, anche da un semplice ramo spezzato, una forma nuova e artistica. Il risultato è ottimo, e altri esempi ne abbiamo avuti quando i due padroni di casa ci hanno mostrato il salotto.
Infatti, dopo la visita allo studio, il tour prosegue. Vediamo i bagni con le mattonelle disegnate da Stefano, che a me e a Minnie piacciono tantissimo, vediamo lo studio di Teresa con il muro pieno di fotografie che attorniano la sua ordinatissima scrivania, e vediamo la camera della loro bambina Viola, una bella cameretta che si fregia di avere tutto un muro disegnato da Stefano, con tanti animali, e un disegno originale della Pimpa di Altan incorniciato. Infine arriviamo nel salotto, che si presenta alquanto particolare raccogliendo molte testimonianze dei tanti viaggi dei due autori, come già in parte faceva lo studio di Stefano e altre parti della casa (come un’esotica tendina che si apriva sul corridoio). Ma il salotto è qualcosa di meraviglioso, con l’amaca che salta all’occhio come prima cosa appena si entra in casa. Sì, c’è un’amaca sospesa nel salotto, molto suggestiva, attorniata da tanti altri souvenir provenienti da mezzo mondo.

Appesi al muro, come detto qualche riga sopra, alcuni apprezzabilissimi lavori in legno di Stefano che sono davvero delle gioie per gli occhi, e per ognuno Turconi ricordava le circostanze in cui l’aveva realizzato e il tempo e la fatica che aveva impiegato per farlo. Traspariva dalle parole e dall’atteggiamento dell’autore la passione vera per questo suo hobby.
La cosa che più ci ha accompagnato durante questa visita guidata è stata la grande gentilezza dei due padroni di casa, che ci hanno mostrato ogni angolo della casa con grande entusiasmo e partecipazione. Con la stessa cortesia ci hanno condotto in cucina, dove davanti a tè e biscotti è iniziata la mia intervista.

Una renna di legno, sempre ad opera di Stefano.

Prima domanda, molto classica: come avete iniziato a fare il lavoro che state facendo, cioè la sceneggiatrice di fumetti e il disegnatore? Come siete approdati a Topolino?
Stefano: Io sognavo come tutti i fumettisti di fare le cose mie, ma ovviamente non è così facile e il mio amico Lorenzo Chiavini mi ha convinto ad andare in Disney. Il primo giorno ho conosciuto Roberto Santillo e Giovan Battista Carpi; Santillo me l’ha presentato subito, per me era un mito tanto che gli devo aver detto qualcosa tipo «posso chiamarla eccellenza?».
Poi sono entrato nel corso di Barbucci, dove ho imparato il mestiere.
Mi ricordo che Santillo durante il nostro primo colloquio aveva ascoltato tutto il mio discorso sul provare a fare i miei fumetti, dicendomi alla fine che se volevo potevo fare autoproduzione e cose del genere, però mangiando pane e cipolla per i dieci anni successivi. In alternativa potevo andare in Disney. E alla fine ho capito che era la cosa giusta, alla fine lì ho imparato il mestiere e quindi poi grazie a quello ho potuto fare altre cose, grazie a quello che ho imparato in Disney.
La Disney spesso è guardata dall’esterno con molti pregiudizi di vario tipo, ma io ho un debito di riconoscenza enorme verso di lei, per i motivi che ti ho appena detto. Insomma, per me è bello fare tante cose tra cui anche Disney.
Teresa: Io ho cominciato quasi per caso. Ho studiato lingue e intanto seguivo i miei corsi di scrittura creativa. Ho seguito un corso in Francia con una sceneggiatrice bravissima, tra l’altro Disney, Barbara Slade. Lei è stata la prima persona che mi ha detto «secondo me nella vita tu devi scrivere».
Quando vuoi fare questo lavoro, cioè scrivere, come fai a essere sicuro che sei portato? Ci dev’essere qualcuno, un professionista, che ti dice se hai quella luce oppure non ce l’hai. è importante, e aver conosciuto Barbara per me è stato importante.
Nel frattempo ho fatto un mio cartone animato, un ambito che conoscevo perché ci lavorava mio papà e io lo aiutavo spesso; ho preso qualche premietto qua e là, e poi Disney è capitato.
Dopo la laurea in comunicazioni ho partecipato a un corso di sceneggiatura Disney tenuto da Cordara. Alla fine del corso ci ha fatto fare un book da presentare in redazione, ma quando il book era pronto era uscito il bando dell’Accademia Disney per il corso di sceneggiatura. Cordara ha detto «buttate via tutto e preparatevi per il bando». Sembra brutto detto così, ma in realtà era l’unica via per fortificare gli aspiranti autori, per farci capire che non era un lavoro facile quello che sognavamo.

“Zio Paperone e l’emù di sangue blu”, la prima storia sceneggiata da Teresa.

Il mio santo e saggio maestro comunque è Sisti. La mia prima storia è “Zio Paperone e l’emù di sangue blu”: ha avuto tipo dieci e venti versioni diverse perché ogni volta Sisti me la bocciava.
Perché in questo lavoro i Maestri hanno il compito di non farti sentire mai arrivato, specie agli inizi, e quindi i migliori sono quelli che ti “mazzolano”. Anche Faccini, che ha disegnato la mia storia dell’emù, quando l’ho incontrato mi ha indicato le cose che per lui non andavano.
Stefano: Ma tutti i bravi Maestri sono così, ti devono dare disciplina e quindi ti mettono in riga per anni, per poi ogni tanto dirti quella frase che ti premia e che ti dà l’incentivo per andare avanti. Anche Carpi era così. Barbucci è più compagnone invece, mazzolava tantissimo anche lui ma lo faceva in modo più amichevole, ma quello anche per via dell’età.
Teresa: Sì, è vero. Comunque, in seguito in Topolino ho lavorato un po’ ma è capitato quasi subito che cercassero in Witch. Il mio primo Witch è stato il n. 37. Ho scritto tantissimo per la testata e per X-Mickey, dal quale è nata la leggenda che con la storia “Legame Invisibile” ci siamo conosciuti io e Stefano.
Per Topolino non ho più scritto perché comunque su Witch avevo sempre tanto da fare, siamo tornati entrambi quando è arrivata Valentina [De Poli, ndr] alla direzione che ci ha preso “Pippo Reporter”. Nel frattempo ho provato a fare dei cartoni animati ma niente che sia andato troppo bene.

Teresa, a quali autori (disneyani e non) ti ispiri nello scrivere le tue storie? E Stefano, quali autori (disneyani e non) ti hanno influenzato particolarmente nel modo di disegnare?
Stefano: Barbucci, Carpi, Scarpa… e Cavazzano, ma in misura minore, lui più per il modo di raccontare che per lo stile di disegno. è bravissimo ma lo sento con uno stile diverso dal mio, mi avvicino più a Carpi e Scarpa.
Extra-Disney invece Pratt, Uderzo, Pedrosa, le cose tipo Studio Shane che facevano il Batman dei cartoni animati; tra gli illustratori Poortvliet, che disegnava gli gnomi. Mi piace guardare cose diverse da quelle che faccio, che poi mi servono comunque per il lavoro. Anche Man Arenas mi piace molto come disegnatore, e poi lo stile Disney dell’animazione anni ’60-’70.
Teresa: Quello che dice lui sul seguire cose diverse da quelle che poi si fanno vale anche per me. Se dovessi citare tre sceneggiatori che mi piacciono molto direi Bruno Enna, Alessandro Sisti e Fausto Vitaliano.
Ma non sono una che legge moltissimo i fumetti, invece guardo moltissime altre cose da cui trovo spunti, per esempio le serie televisive americane. Gli americani hanno questo modo di narrare che si gioca sul seminare e raccogliere: ogni dettaglio non è mai messo a caso ma piazzato lì perché verrà ripreso successivamente nell’intreccio. Ci sono puntate più o meno riuscite per ogni serie, e serie più o meno riuscite in generale, ma i meccanismi base sono gli stessi, cioè che tu fruisci di una storia e te la puoi godere a se stante, però se segui la serie sei consapevole di tutto il background dei personaggi. E questo è un meccanismo alla base di tante storie Disney e di tanti film che vanno avanti con i sequel. Un film scritto perfettamente sotto questo punto di vista è Ritorno al Futuro.
Il libro che ha scritto Stephen King, On Writing [il suo manuale di scrittura, ndr], funziona davvero, ed è la stessa cosa che tu scriva libri, film o fumetti, il fulcro della questione è il raccontare una storia. Un quadro astratto contemporaneo può essere costituito da uno sputo sulla tela e se lo capisci bene sennò pazienza; ora, chi l’ha fatto se vuole può considerarsi un artista, ma in realtà quell’autore non parla col pubblico, non dice niente.
Il nostro è un lavoro di artigianato, non di arte, possiamo definirlo di artigianato artistico. Se vuoi comunicare qualcosa le regole base e certe tecniche valgono, il dare soddisfazione al lettore perché gli hai messo un indizio e poi glielo fai ritrovare dopo è importante. In questo senso è artigianato, se ti interessa parlare con il pubblico e non ti limiti a restare nel tuo mondo.
Secondo me non è importante leggere tanti fumetti, quindi, ma avere tanti stimoli che possono venire dalle serie televisive così come da tante cose della realtà: quest’estate, per esempio, uscirà una nostra storia ambientata a Londra con Macchia Nera, Topolino e Minni che è nata prendendo spunto da un reperto che abbiamo visto al British Museum durante un nostro viaggio, una scacchiera.
Il bello, poi, è quando la gente inizia a riconoscere il tuo stile, perché vuol dire che c’è un filo comune riconoscibile: non vuol dire ripetersi, ma fare sempre cose diverse con una tua piccola impronta. E da questo punto di vista la nostra fortuna è di esserci trovati, cioè che insieme possiamo realizzare un prodotto finito: una “pecca”, se vogliamo, del lavorare in Disney è che la maggior parte delle volte non sai chi ti disegnerà la storia che scrivi, ma se c’è un feeling tra chi scrive e chi disegna si sente secondo me. “Pippo Reporter” è un esempio di una cosa che può nascere in questo modo.

Quali personaggi disneyani preferite raccontare/disegnare?
Stefano: Io adoro Pippo, poi Topolino e Minni, ma mi piacciono anche Paperoga e Gambadilegno.
Teresa: Io adoro Macchia Nera. In realtà all’inizio preferivo scrivere di Paperi, perché mi sembrava più facile mentre Topolino è un po’ più ostico, però adesso che ho provato Topolino non riesco più a smettere, è come una droga. In realtà adesso ho consegnato un soggetto su Archimede [ndr: nel frattempo è stato approvato dalla redazione] ma io scriverei solo di Topolino. Io poi amo il Topolino con i calzoncini corti, adoro quel Topolino lì.
Poi ho scoperto Pippo: non che non lo conoscessi prima, ovviamente, ma ho scoperto di essere molto in sintonia con lui.

Una delle storie del ciclo “Le storie della baia” disegnata da Turconi.

Stefano, durante gli anni 2000 hai spesso disegnato storie per Paperino Paperotto e per la serie “Le storie della baia”, due filoni che in quegli anni erano molto presenti sul settimanale e che godevano anche di una certa qualità ai testi, oltre che nei bellissimi disegni; ti eri affezionato a quei personaggi lontani dalla solita Paperopoli? Ti intrigava avere ambienti e abiti nuovi con cui confrontarti? E ti sono serviti studi a attenzioni particolari in questi frangenti, penso al ritrovarsi a disegnare un personaggio non comune come Moby Duck re-inventato da Savini o agli ambienti marinareschi… ?
Stefano: Mi erano piaciute tantissimo entrambe le serie, forse prediligo leggermente “Le Storie della Baia”. L’ambientazione infatti mi piaceva tantissimo, c’è tutta una letteratura americana ambientata in quel contesto, la costa orientale americana tra il 1820 e il 1850. La fine della vela, Newport Bay, c’è tutto un mondo legato a quella situazione, quindi sono andato a studiarmi le navi, le insegne dei locali, le assi di legno, il maori con il cappello a cilindro… il riferimento principale è Moby Dick. Poi a me piace studiare i costumi, quindi avevo cercato un sacco di libri con le illustrazioni degli abiti di quel periodo.
Stessa cosa Paperino Paperotto. Sono gli anni ’50, midwest, campagne americane, Tom Sawyer, Ritorno al Futuro… avevo trovato riviste e libri sugli Stati Uniti e materiale ce n’è. Da alcune immagini del Canada ho preso i fienili, che hanno la stalla sotto e il fieno sopra, e quella versione l’ho usata per la fattoria di Nonna Papera.
Poi Paperotto è andato avanti, mentre “Le Storie della Baia” sono finite, purtroppo, ed è un peccato anche perché le storie di mare possono portare dovunque. Moby Duck poi era un bel personaggio.

Teresa, quanto è stato importante per te e per la tua carriera il lavoro fatto su Witch? Oltre a Witch, poi, anche il periodico Fairies ha visto molte storie scritte da te: quanto la tua sensibilità femminile è entrata in gioco nello scrivere per queste testate? E che differenza di stile richiedeva (se lo richiedeva) lavorare su quei progetti invece che su altri come le storie per Topolino?
Teresa: La principale differenza tecnica e pratica è il numero di tavole: la fatica di trovare un’idea per una storia di quattro tavole e una di trenta, per me, è la stessa, ma per quanto riguarda lo svolgimento la cosa è diversa. Fairies è stato interessante come esperimento, comunque, per vedere se le regole di cui parlavamo prima funzionano sempre, e funzionano. Però certamente le storie brevi permettono molto meno spazio di manovra.

Il tratto sperimentale utilizzato da Stefano nella miniserie pikappica “Lo zen e la fisica dei quanti”.

Stefano, cosa ricordi del mondo di PK, e cosa ti ha lasciato professionalmente? Ricordiamo per esempio la miniserie “Lo zen e la fisica dei quanti” le cui storie sfoggiavano uno stile grafico molto sperimentale e innovativo, ma anche le altre storie che hai disegnato per la serie.
Stefano: Ah, “Lo Zen e la fisica dei quanti” era bellissima, le scriveva Sisti quelle storie. Mi ero divertito tantissimo a fare quella serie. Era uscita una miniserie di Barbucci prima, che aveva usato ecoline e pastelli, e allora avevo provato a emularlo e mi è venuta fuori una cosa un po’ diversa ma sempre particolare. E poi le storie erano divertentissime, con questi monaci nel monastero del Tibet e Everett a cui capitava di tutto.
Per il resto, mi piacevano le storie ambientate nello spazio. Non sono mai stato un appassionato di fantascienza ma come tanti della mia età sono cresciuto con Guerre Stellari. La trilogia classica era bellissima, e quel tipo di fantascienza mi piaceva. Poi magari avevo qualche difficoltà a disegnare le astronavi ma all’epoca leggevo Nathan Never e mi ispiravo da lì.
Certamente PK offriva, per la sua stessa natura, la possibilità di sperimentare, con le storie brevi alla fine ma anche con le storie principali, sia come narrazione che come esperimenti grafici. Queste cose ovviamente sono possibili quando ci sono i soldi: qualcuno aveva avuto l’idea di fare PK, ha avuto subito un successo imprevedibile quindi c’era anche voglia di investirci in vari modi. Da lì quindi è venuta la voglia di continuare su quella scia ed ecco Witch, poi MM che per quanto fosse un progetto molto valido era però troppo raffinato, e questo ha portato a una conclusione rapida… la forza di questi progetti è quando funzionano su più target, PK piaceva a grandi e bambini mentre MM prendeva quasi esclusivamente i grandi.

Era comunque un periodo di grande fermento, che pian piano è andato a scemare.
Teresa: Ora la crisi frena un po’ tutto, ma per dire Topolino sopravvive benissimo, e anche Valentina ci sembra che si stia muovendo su diversi fronti per far sì che Topolino sia accettato un po’ da tutti, per cui ci dev’essere la storia di un certo tipo a inizio albo, poi quella più leggera eccetera, e in questo modo accontenta tutti, dal bambino che lo compra una volta all’anno al lettore fedele e più raffinato.

“Cowboy Blues”, la storia scritta e disegnata da Stefano tratta da un racconto di Hemingway.

Stefano, tu avevi fatto parte del progetto “8X8=49”, sviluppato su Topolino come omaggio a Hemingway, con la storia “Cowboy Blues”, che peraltro hai anche sceneggiato oltre che disegnato . Come ricordi quell’esperienza?
Stefano: Il progetto era nato durante un master con Cavazzano. è stato bellissimo perché Cavazzano è Cavazzano, stare con lui e ascoltare quello che dice è bello perché è un grande, sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista umano: ti sta dietro, è comprensivo, è buono… Abbiamo fatto un bel po’ di lezioni con lui finché gli è venuta un’idea: «cerchiamo un libro con una serie di racconti e facciamo ognuno la sua interpretazione».
Lui è un lettore di Hemingway e ha pescato questo libro, I quarantanove racconti, bellissimo ma difficilissimo da tradurre perché erano tutto storie molto truci.
Quindi pensi «come faccio a rendere certi racconti in versione Disney?», però alla fine riflettendoci anche tutti insieme se ne è usciti. è stata la prima e unica esperienza da sceneggiatore, ci ho riprovato anni dopo per cose proposte ai francesi ma che non sono andate da nessuna parte.

Arriviamo a tempi più recenti. Su “Topolino” negli ultimi due anni state raccogliendo molti consensi con le storie che create ormai rigorosamente in coppia. Spicca su tutte il progetto “Pippo Reporter”. So che è una serie a cui tenete molto, ma com’è nato? Da dove vi è arrivata l’ispirazione? A chi dei due è venuta l’idea di questo Pippo protagonista di storie ambientate negli anni ’20-’30?

La prima storia della serie “Pippo Reporter”.

Teresa: “Pippo Reporter” è l’esempio di quello che può nascere conoscendosi, lavorando in coppia. Gli ho chiesto «cosa ti piacerebbe disegnare?», lui era reduce da Wondercity quindi era preso dagli anni ’30. Poi abbiamo visto Colazione da Tiffany, che non c’entra niente con la serie però ti fa capire come il discorso degli spunti che facevamo prima vale: c’era Audrey Hepburn strampalata e ho detto «cavolo, ma questa è Minni!», poi c’era il fatto che a Minni fino ad allora non era stata data molta importanza, aveva poca personalità, e allora abbiamo pensato «facciamola stramba!».
E poi c’è Pippo, che non si sa bene da dove arriva e che va ad abitarle di sotto, e questo è un altro richiamo a Colazione da Tiffany.
Il fatto di dare importanza a Minni ha fatto sì che escludessimo Topolino, non per antipatia, io lo adoro Topolino, ma allora Minni sarebbe tornata ad essere solo la fidanzata di Topolino. Invece così è lui ad essere il fidanzato di Minni! Che però non si vede mai! L’idea del cammeo di Topolino è venuta un po’ per caso, e poi abbiamo decisa di metterlo sempre perché ci piaceva.

Nell’ultima storia, “Il Pianista Suonato”, questo giochetto raggiunge livelli plateali tra l’altro…
Teresa: Le orecchie a padella, sì! Tra l’altro lì la casetta di Topolino è un omaggio ad Up, con l’abitazione in mezzo ai grattacieli.
Insomma, il progetto è nato un po’ così, ed è riuscito perché alla fine eravamo in casa insieme.
Stefano: Poi non è che ci credessimo tanto, perché progetti proposti da due persone non ce n’erano mai stati, i soggetti vengono proposti dalla redazione di solito o al massimo venivano proposti dall’Accademia, ma quasi mai dai singoli autori.
Teresa: L’abbiamo proposto nel 2007 ed è stato Cordara con la Valentina che ci ha dato l’ok, e due anni dopo abbiamo pubblicato la prima storia.

A quali autori, a quali storie o più in generale a che tipo di Pippo avete guardato per tratteggiare il personaggio in questa serie?

Prima tavola di “Dieci piccoli caimani”, sempre dal ciclo di “Pippo Reporter”.

Teresa: Ho letto che molti di voi hanno scritto «questo è il Pippo dei cartoni!», ma in realtà quello che conosce bene i cartoni animati di Pippo è Stefano.
Stefano: Sì, io infatti ho guardato a quel Pippo lì come riferimento principale per le movenze e le pose del Pippo delle nostre storie.
Teresa: Io mi sono ispirata a tutte le persone strambe che ho conosciuto e che hanno questo pensiero laterale… ho preso il Pippo che c’era in me. Non pensavo di essere in sintonia con Pippo, non avevo mai scritto Pippo quindi avevo un po’ di ansia da prestazione; poi è venuto fuori un po’ da solo.
Insomma, siamo partiti da Pippo con le sue caratteristiche ma contaminandolo con tante cose. Il Pippo che vedrete in una storia che uscirà durante l’estate, per esempio, sarà sempre Pippo però svarionatissimo e infarcito di chissà quante citazioni che sappiamo solo noi.
Stefano: Ma il bello dei personaggi Disney è proprio questo, hanno la loro personalità che però tu puoi interpretare, e loro si adattano perfettamente a tantissimi ruoli.
Teresa: Anche per Topolino secondo me vale questo discorso, però è sempre stato visto come difficile da scrivere perché l’abbiamo sempre visto solo in una certa ottica, quella del detective. Mentre Topolino se lo metti un po’ scanzonato funziona, io lo vedo giovanile. E può adattarsi a un’infinità di ruoli e situazioni senza snaturarsi.
Stefano: Altri esempi sono Sherlock Holmes, un personaggio così forte che funziona anche nelle riletture più moderne come nel film di pochi anni fa. O Baz Luhrmann che prende il testo di Romeo e Giulietta così com’è e lo ambienta ai giorni nostri, e secondo me è bellissimo. Quando il testo è bello e forte lo puoi ambientare in qualsiasi epoca, e ci puoi fare davvero di tutto.

Le storie della serie sinora pubblicate mostrano spesso omaggi a persone o situazioni dell’epoca in cui sono ambientate: ricordiamo il cinema con Chaplin, Lindbergh e i primi voli in aereoplano, Agatha Christie… Era questo un proposito nato insieme all’idea della serie o un’idea che è venuta in corso d’opera? E qual è il futuro della serie di “Pippo Reporter”?
Teresa: è nata in corso d’opera. Infatti nelle prime storie questa cosa non c’era. Il bello di Pippo è che più ne scrivi e più ti viene voglia di scriverne, perché facendo ricerche trovi un sacco di cose che ti ispirano.
All’inizio è nata come una specie di sit-com: lui e i suoi rapporti con Minni, lui che viene preso come cronista e mette i bastoni fra le ruote a Blackspot senza accorgersene. Poi si è allargato a tante influenze.
Ho poi in mente uno spunto con cui chiudere la serie: non so esattamente cosa succederà, noi non sappiamo quanto andremo avanti. Adesso c’è il decimo episodio, e ho pronti i soggetti dell’11 e del 12 che devono ancora essere approvati. Quello che spero è che mi diano la possibilità di scrivere l’episodio conclusivo, che si capisce che è conclusivo perché alcuni tormentoni giungono al termine. Noi, comunque, vogliamo dargli una conclusione in modo da fare un lavoro finito e completo, perché il progetto abbia un senso.

Insieme avete anche sfornato una storia per la P.I.A., un filone di storie che era nato come idea di Carlo Chendi e poi ripreso negli anni 2000 da Giorgio Figus, che però sempre di più ha mostrato la corda rimanendo imprigionato nei soliti cliché e tormentoni che rendevano un po’ ripetitive le storie. “Paperino e Paperoga nella notte senza luna” è invece una storia che si distingue da questo panorama, riuscendo a inserire molto sentimento, tanta ironia, giochi di parole e una storia molto valida e originale, oltre che disegnata magnificamente. Qual è la genesi di questa storia?

La prima esperienza dei coniugi Turconi con la PIA.

Teresa: Quella non era una storia della PIA. Ci avevano chiesto una storia di DoubleDuck, e io ero andata in ansia da prestazione perché sentivo di non saper scrivere DoubleDuck. Ci avevano chiesto una storia estiva di DD, in qualche posto strano, fuori continuity. Noi avevamo pensato a questo intrigo della storia dei Trapp, ma Catenacci ci ha fatto notare che come storia non andava bene per DoubleDuck, era troppo da Paperino. Però a me come storia piaceva, allora avevo pensato di riscriverla con Paperinik, ma mi sembrava che non funzionasse neanche così. E alla fine l’ho fatta diventare una storia della PIA, anche se non era assolutamente preventivata, e ha funzionato.
Poi alla fine di DoubleDuck abbiamo comunque scritto, abbiamo fatto la storia del quadro che ci è stata accettata.

Quali vostre nuove storie Disney bollono in pentola?
Teresa: In parte è già venuto fuori durante la chiacchierata: durante l’estate usciranno due storie, una ambientata a Londra con Macchia Nera, Topolino e Minni e una ambientata nel deserto con Topolino e Pippo.

Domanda finale: se doveste dare un consiglio di lettura fumettistica a qualcuno digiuno di fumetti, quale opera/storia proporreste e perché?

Copertina dell’edizione italiana di Tre Ombre di Cyril Pedrosa (Edizioni BD).

Teresa: Tre Ombre di Cyril Pedrosa.
Stefano: Tre Ombre di Cyril Pedrosa. (risposta quasi in contemporanea, ndr)

Teresa: Piangi come un vitello con quella storia.
Stefano: Corto Maltese. Una qualsiasi di Corto Maltese… toh, La Ballata del Mare Salato.
Teresa: Sì, ti dà l’idea di come puoi leggere un fumetto, ti dà le stesse emozioni di un libro anche se non sei abituato a leggere i fumetti, cioè ti fa capire che il fumetto ha la stessa dignità di un libro. Poi c’è un manuale tecnico, Capire il Fumetto di Scott McCloud, che è un manuale sul fumetto a fumetti.
Stefano: Poi Toppi. Anche se è un po’ particolare, è un fumetto che non rispetta le regole del fumetto, quindi è un po’ strano.
Teresa: Blankets di Craig Thompson, anche. Lui è bravissimo, sa raccontare benissimo perché alla fine la storia non ha chissà quale trama, ma il modo e le immagini in cui la racconta è strepitoso, ti butta fuori le emozioni in un modo incredibile.
Stefano: E poi Asterix, Lucky Luke nelle storie scritte da Goscinny.
Teresa: Mi vengono in mente i reportage, tipo Palestina di Joe Sacco, bello ma è più un servizio giornalistico disegnato… ecco, è ottimo per capire che il fumetto funziona anche su quelle cose. E Persepolis.

E storie Disney, quali consigliereste?
Stefano: “Casablanca” di Cavazzano e “Guerra e Pace” di Carpi. Secondo me sono tra le storie più belle. Io ho letto il romanzo Guerra e Pace dopo aver letto la parodia. Quando chiedevano a Carpi come aveva fatto a farne la versione Disney, rispondeva «per capirlo, leggete Guerra e Pace». Quando poi gli si chiedeva che fumetti leggere per trovare ispirazione, lui rispondeva «ma non leggere fumetti, leggi Guerra e Pace, leggi L’Isola del Tesoro, leggi Dostoevskij!».
Comunque le parodie erano incredibili, perché ti facevano davvero venire voglia di conoscere l’opera originale.

Minnie: Io le adoravo! Tra l’altro mi ricordo i primi Oscar Mondadori Disney che raccoglievano proprio le parodie, infatti. E trovare un fumetto in libreria era già di per sé una cosa molto significativa.
Stefano: Infatti, è vero! E comunque la strada della libreria è una strada che si sta prendendo sempre di più. Il concetto di graphic novel, che non vuol dire niente in sé, dice qualcosa a quello “da fuori”, gli comunica cioè che è qualcosa che va bene, che si può comprare, che trovi in libreria. è una categorizzazione un po’ senza senso, se vogliamo, ma contribuisce a diffondere un po’ il fumetto verso il grande pubblico.
Tra i titoli interessanti che citavamo prima, poi, c’è anche Cinquemila Chilometri al Secondo di Manuele Fior, che a me piace tantissimo come disegna ma che devo ancora prendere. E poi mi è piaciuto moltissimo Il Gatto del Rabbino, che ha disegni che esteticamente non sono perfetti ma piacciono perché sono vivi, particolari, e ti spingono ad andare avanti a leggere… e questo vuol dire che funziona.
Teresa: Ovviamente queste osservazioni sul disegno valgono sul fumetto d’autore, nel fumetto seriale ovviamente non si può eccedere più di tanto.
Stefano: Ma è normale, è logico che se scrivi per Topolino devi fare disegni che siano comprensibili anche dal bambino di sei anni, e quindi non puoi proporgli una tavola alla Picasso. Questo non vuol dire che ci sono dei paletti che frenano la fantasia, anzi: i limiti aguzzano l’ingegno, la sfida è fare tutto quello che puoi fare all’interno di quei limiti logici.

Conclusasi con questa domanda la mia intervista ai due coniugi, Stefano dedica a me e a Minnie un disegno ciascuno (una Paperina per Minnie e un Macchia Nera in borghese per il sottoscritto), per poi presentarsi con uno scatolone pieno di suoi schizzi, disegni, bozzetti, tavole di storie e quant’altro avesse il potere di far diventare i miei occhi a cuoricino. Un vero e proprio tesoro, ricco e stupendo, e di cui io e Minnie siamo decisamente grati ai due autori.
Ma il momento più bello di questo lungo commiato è stato l’arrivo a casa della piccola Viola, che aveva passato il pomeriggio in compagnia dei genitori di Teresa. è una bambina adorabile, simpatica e dolce quanto timida verso noi due estranei. Vederla in braccio a Stefano con Teresa accucciata di fronte a loro era proprio bello, si era costruita una scena molto dolce e soffusa in cui l’affetto era il collante tra queste tre persone, una famiglia amabile in una scena che mi ha scaldato il cuore. Di fianco i nonni di Viola, che si sono dimostrati gentilissimi e simpatici e con loro abbiamo scambiato quattro chiacchiere rispondendo alle domande che ci porgeva la mamma della Radice in tono interessato.

Vignetta da “Chi ha incastrato DoubleDuck?” in cui Stefano ritrae se stesso e Teresa in versione papera.

Alla fine purtroppo è giunto il momento di andarsene, quando ormai era già tardo pomeriggio. Le ore passate a casa Turconi non sono state poche ma sono davvero volate tra i tanti stimoli positivi e i tanti discorsi interessanti che ne sono saltati fuori.
Tanto io quanto Minnie siamo stati contentissimi di aver vissuto questo pomeriggio in compagnia dei due autori, che consideriamo sicuramente come due delle poche persone all’opera sui fumetti Disney al giorno d’oggi che davvero lasciano il segno e saranno ricordati negli anni a venire. In loro pulsa forte l’amore per il fumetto e i personaggi Disney. Inoltre la perfetta sinergia che si crea tra di loro quando compongono una storia è uno dei risultati più meravigliosi che si possono contemplare nelle loro opere, è quanto di più simile esista al lavoro di un autore completo ma con un guizzo in più rispetto a chi scrive e disegna da solo, un guizzo che però raramente si trova in altre accoppiate creative disneyane: il guizzo è quello della collaborazione stretta, del fatto che la sceneggiatura di Teresa non si limiterà a essere disegnata da Stefano ma verrà magari integrata da qualche idea del disegnatore, in un costante scambio di spunti e ispirazioni che portano a costruire le loro storie. Si tratta di un connubio perfetto, un’intesa ottima che come nelle relazioni sentimentali dà come risultato ben più della semplice somma delle parti.

E allora aspettiamo l’estate, che porterà un paio di storie nuove di questa incredibile coppia di autori, e poi mettiamoci comodi per ammirare quali altri gioiellini sapranno regalarci nei mesi successivi, quali altri storie contribuiranno a farli ricordare a lungo come autori di punta di questi anni.

Notizie Biografiche

Teresa Radice inizia la sua collaborazione con Topolino nei primi anni 2000 dopo aver partecipato a un corso di scrittura e a un bando dell’Accademia Disney. La sua prima sceneggiatura è “Zio Paperone e l’emù di sangue blu” disegnata da Enrico Faccini. Successivamente scrive soprattutto per Witch e X-Mickey, prima di tornare sulle pagine di Topolino con la serie “Pippo Reporter” e con altre storie.
Stefano Turconi è entrato nell’Accademia Disney attorno alla metà degli anni ’90, frequentando il corso di Alessandro Barbucci. Tra il 1997 e il 1998 iniziano a uscire su Topolino le prime storie da lui disegnate, che presentano già un tratto molto caratteristico che si affinerà con gli anni. Per la Disney ha disegnato molte storie del settimanale, alcune cose per PK, X-Mickey e altre testate di questo formato, per poi tornare su Topolino disegnando le storie di “Pippo Reporter” scritte dalla Radice. In mezzo la bella esperienza di Wondercity.
I due sono felicemente sposati e con una figlia, e la loro sinergia si riflette nelle storie che creano insieme, in famiglia.

Autore dell'articolo: Andrea Bramini

Andrea Bramini, detto Bramo, nasce a Codogno nel 1988. Dopo avere frequentato un istituto tecnico ed essersi diplomato come perito informatico decide di iscriversi a Scienze Umane e Filosofiche all'Università Cattolica del Sacro Cuore, dove a inizio 2011 si laurea con una tesi su Watchmen. Ha avuto esperienze professionali nell'ambito delle pubbliche relazioni e come segretario. Appassionato da sempre di fumetti e animazione Disney, ha presto ampliato i propri orizzonti imparando ad apprezzare il fumetto comico in generale, i supereroi americani, le graphic novel autoriali e alcune serie Bonelli e affini. Scrive di queste passioni su alcuni forum tematici e principalmente per il sito di critica fumettistica Lo Spazio Bianco, nel quale ricopre la carica di caporedattore.