Intervista a Goldie

08 APR 2020

Quella che segue è una “intervista impossibile” al personaggio di Doretta, che ho scritto mettendo insieme quello che emerge dalle storie di Barks, Scarpa e Rosa con i fatti documentati della vita di Kate Rockwell, la Klondike Kate che ispirò Carl Barks… e amalgamando il tutto con farina del mio sacco. Spero possa essere una lettura interessante in questi giorni.

Chi sei, come ti chiami?

Goldie O’Gilt. Un tempo detta “Glittering Goldie”.

Hai avuto altri nomi, vero?

Glittering Goldie è quello che mi rimase addosso. Ma sono anche stata chiamata la Regina dello Yukon, la Stella del Nord, quella del Polo, Doretta Doremì, Goldie Matsson e qualche altro nome ancora. Glittering Goldie credo mi stesse meglio degli altri.

Goldie

“Aveva gli occhi splendenti come stelle…”

Non ti chiediamo quanti anni hai…

…. ma ti piacerebbe saperlo. Per quel che me ne importa, posso anche dirtelo. Ottantaquattro.

Complimenti. Sei di origine irlandese? Dal cognome…

Scottirlandese. Mio padre lo era. Gente irlandese che viveva in Scozia da generazioni, giusto al di là dello stretto. Lui veniva da una famiglia di pescatori, ma era emigrato in America in cerca di fortuna. Prima a Philadelphia, poi a Saint Louis.

E la mamma?

Americana, di Boston, ma di origine nordica. Faeroingia per la precisione.

Faeroingia? Che significa?

Delle isole Faer Øer, a nord della Scozia. Marinai anche loro. 

Dunque origini non lontane da quelle di Scrooge McDuck, l’eccentrico triliardario di Duckburg, con cui avesti una relazione ai tempi della Corsa all’Oro del Klondike.

In parte forse. Anche sua mamma era una scottirlandese, e di famiglia umile. Ma il suo ramo paterno veniva dall’antica nobiltà terriera scozzese, anche se erano quasi in miseria. Le loro terre erano in una zona remota, nelle Highlands.

Comunque conta poco, mio padre scomparve quando ero molto piccola. Con la sua famiglia d’origine non ho mai avuto contatti, e non sono neanche mai stata in Europa.

Carro pionieri

Il tipico carro con cui i pionieri si avventuravano nel West.

Dove sei nata?

A Junction City, nel Kansas. I miei genitori stavano migrando verso l’ovest, con quei carri che si usavano allora. Gli scossoni di quel viaggio, su quelle piste polverose e sconnesse, affrettarono i tempi… ecco perché nacqui a Junction. Il primo Bivio della vita per me venne subito.

E fin dove arrivarono i tuoi? Che tipi erano?

Inizialmente si stabilirono nel North Dakota. Ma non gli piaceva, o non gli andò bene. E poi divorziarono prestissimo. Fatto sta che all’età di tre anni ero con mia madre e il mio nuovo patrigno a Spokane, nello Washington. I miei ricordi iniziano da lì.

Che tipi erano? Non comuni direi. Avevano tutti e due una loro famiglia ben stabilita, che abbandonarono per fuggire insieme. Mia madre era una bellissima donna, e molto indipendente. Mio padre era gentile, e aveva un certo talento artistico. Aveva anche lavorato in un circo.

Rivedesti mai più tuo padre?

Solo una volta, ma è uno dei ricordi più belli della mia vita. Era andato a vivere a Detroit, ma venne a prendermi fino a Spokane per portarmi, in diligenza e in treno, a visitare le cascate del Niagara. Fu un viaggio di giorni e giorni…. Io compivo cinque anni, e mi ricordo tutto come un sogno. C’erano le celebrazioni per il Centenario dell’Indipendenza, c’erano fuochi d’artificio e spettacoli e balli, e poi c’era quella funambola italiana che attraversava tutto il fiume su una corda tesa tra le due rive, con le caviglie in catene e i polsi in manette e camminando in avanti all’andata e all’indietro al ritorno, con un grande cappello elegante in testa, e le cascate che le spumeggiavano sotto. E senza rete.   

Maria Speltrini

Maria Speltrini mentre attraversa le Castate del Niagara.

Maria Spelterini?

Esatto. La vidi anche da vicino, mio padre me la fece salutare.

Te la ricordi bene?

Sì perché mi colpì molto. Era bellissima, florida, aveva dei gran capelli mossi e scuri, e delle belle labbra spesse, che agli uomini dovevano certamente apparire molto sensuali… poi era aggraziata come una fata, ma al tempo stesso pareva sprizzare allegria… direi oggi che aveva una grande gioia di vivere, ma tutta sua particolare, selvaggia.

Pensi che ti abbia ispirato nella tua carriera, o nella vita?

Come modello, sì. Pensavo a come era brava, a come sapeva fare tutto da sola, a come può essere indipendente e coraggiosa una donna, e anche a quanto era bella… Per questo quando iniziai a cantare in giro, da ragazzina, nei locali di Seattle o di Portland, volli prendermi un nome italiano e per qualche tempo mi feci chiamare Doretta Doremì.

Cosa successe poi a tuo padre?

Morì poco tempo dopo, a Detroit. A quel che seppi era malato. 

Andavi d’accordo col tuo patrigno?

Non molto. Ma comunque durò poco, mia madre divorziò per la terza volta.

L’ultima?

Oh, no davvero… Certo, se penso che c’è chi ha definito me una mangiauomini, avessero conosciuto mia madre…

Migranti sbarcati in Cile

Un gruppo di migranti arrivati in Cile.

Però prima di sposarsi di nuovo decise di andare in Cile, dove viveva un suo figlio ormai adulto dal primo matrimonio, un mio fratellastro che non avevo mai conosciuto.

E’ vero che sulla nave per il Cile ricevesti la tua prima proposta di matrimonio?

Sì. Avevo quindici anni. Ma non una sola, almeno una mezza dozzina. E non appena stabilitici a Valparaiso, cominciarono a fioccarne sempre più numerose.

E tu?

Beh, ero così giovane, prendevo tutto alla leggera e mi faceva piacere se mi dicevano che ero bella. Perciò le accettavo tutte. A parole, si capisce. O almeno, così lo capivo io. I ragazzi a quanto pare no, e vari spasimanti cominciarono a menarsi per me, poi a protestare furibondi con mia madre… e finì che il battipanni di mia mamma ebbe il suo ultimo giorno di gloria.

Per questo tornaste negli Stati Uniti?

Proprio così. Mia madre decise che in Sudamerica sarei finita molto presto nei guai.

E dove andaste?

A New York. Mia madre si prese un nuovo marito e mi mise in un collegio di suore, per darmi un po’ di disciplina.

E come andò?

Mi feci cacciare. Per indisciplina.

Cioè?

Fumavo nelle camere, mi vedevo con dei ragazzi, ogni tanto bevevo…

E che facesti dopo?

Iniziai a cantare nei locali, a New York, come corista e ballerina di fila. Ma la città non faceva per me, di soldi ne vedevo pochi e in più non trovavo le persone giuste con cui legare. Decisi di tornare nello Washington, conobbi un piccolo impresario e iniziai a esibirmi lì, da solista, come Doretta Doremì. Piccoli locali, saloons, niente di grosso, ma intanto imparavo e miglioravo. Non solo sulla scena, ma anche a destreggiarmi nella vita.

Come finisti nel Klondike?

Per caso, potrei dire. Ero a Seattle con un gruppo di ballerine, e arriva una richiesta per una troupe come la nostra per un’intera stagione a Fairbanks, in Alaska, dove già diversi anni prima era cominciata  una piccola corsa all’oro. Fu per me il richiamo dell’avventura, come l’avevo sempre sognata, e poi nel grande Nord, in mezzo alla natura più selvaggia… così decisi di accettare, e mi imbarcai due giorni dopo insieme ad altre quattro.

Ai tempi della corsa all'oro

Le “dance hall girls” durante la corsa al’oro.

Era inverno e il viaggio fu difficile. Una di noi non resse al mal di mare e dovette essere sbarcata già a Vancouver. Un’altra iniziò a cedere al freddo, aveva mani e piedi sempre gelati, e non eravamo nemmeno ancora in Alaska. C’era vento forte, era quasi sempre buio e il mare mosso ci sballottava. Una sofferenza… E per finIre, quando attraccammo a Skagway ci dissero che il locale di Fairbanks era fallito, le miniere di quella zona erano ormai in esaurimento e gran parte dei cercatori se ne stava andando via. Eravamo fregate.

Le mie colleghe, sconsolate, decisero di tornare a Seattle con la prima nave che le avesse prese a bordo. Ma io no, ero arrivata nel Nord per vivere la mia avventura e questo avrei fatto, in un modo o nell’altro. Avevo 24 anni, la vita era lì per me da cogliere.

Skagway allora era un minuscolo porticciolo di case di legno, le voci giravano veloce. Così pochi giorni dopo sentii dire che nella valle del Klondike, in Canada, qualche boscaiolo pareva avesse trovato delle vene d’oro sconosciute e ricchissime. Forse una nuova corsa all’oro si sarebbe scatenata di lì a poco in quella terra inesplorata, e io ero già così vicina… Fu per me come un segnale del destino, poteva essere la mia occasione, potevo arrivare per prima…

Pensavi di fare la cercatrice d’oro?

Certo che no. Ma poteva nascere una boomtown di cercatori, che magari mentre si arricchivano e avevano soldi da spendere sarebbero venuti a veder cantare e ballare una bella ragazza che avrebbe rallegrato le loro lunghe sere nel gelo, no? Fu una scommessa, certo. Basata su una voce ascoltata a Skagway. Ma, e se, invece…? Come in effetti fu…

Come arrivasti a Dawson?

Intanto diciamo che Dawson ancora non esisteva. Il Klondike era completamente disabitato, una valle tutta coperta di foresta dove al massimo poteva capitare ogni tanto un cacciatore itinerante di pellicce, uno che fosse coraggioso abbastanza s’intende.

skagway

Il panorama che si presentava ai nuovi arrivati.

L’unico avamposto umano era una segheria, installata da poco proprio accanto alla confluenza del piccolo fiume Klondike con il grande Yukon. Con tutti i boschi che c’erano, avrebbe reso comunque bene. Ma oltre a quella, c’erano solo le poche capanne dei boscaioli. Fu solo alla fine di quell’anno, il 1896, e a corsa all’oro iniziata, che al nascente villaggio di cercatori venne dato un nome, Dawson appunto.

Come ci arrivai, vuoi sapere? Non fu mica facile. Lo Yukon canadese era praticamente disabitato, c’era solo qualche accampamento di soldati, il principale a Whitehorse. Per arrivarci dall’Alaska si doveva scalare a piedi il Passo Chilcoot, e non c’erano ancora i gradini che ci scavarono poi… e poi ancora giorni e giorni tra sentieri nelle foreste… ma a questi non ci arrivai nemmeno. Quando finalmente, stanca morta, distrutta, mezza congelata, arrivai in cima al Passo, le guardie di confine canadesi mi rispedirono indietro senza tanti complimenti. Lo Yukon era off limits per le donne, troppo pericoloso… ghiacci, orsi, indiani, magari banditi, o anche solo uomini induriti e che non vedono una donna da troppo tempo…

Quindi tornasti a Skagway?

Sì, ma ripartii immediatamente. Viaggiai con una carovana di slitte fino a Fairbanks, sempre in Alaska ma molto più a nord, e da lì risalii lo Yukon in barca fino alla segheria dove sarebbe sorta Dawson, travestita da uomo. Nel viaggio non mi scoprirono, e a quel punto ormai ero lì.

Apristi subito il tuo saloon?

Non proprio un saloon. All’inizio era solo uno spaccio per i boscaioli. Le cose però cambiarono presto. I cercatori iniziarono ad arrivare, i primi uno alla volta, poi sempre di più, a grappoli…

E tra quei primi c’erano molti di quelli che fecero davvero fortuna, l’atmosfera all’inizio era così euforica, c’erano tante speranze… Così allargai il locale, lo arredai come meglio si poteva e iniziai a cantare la sera per il pubblico dei cercatori. Altre donne a poco a poco si aggiunsero. Il successo fu strepitoso, e come poteva non esserlo? E come si fa a descrivere l’atmosfera del Blackjack, dozzine e dozzine di uomini che guardano solo te, e con che occhi ti guardano… e tu elargisci un sorriso a uno a caso, e quello fa rotolare ai tuoi piedi una pepituccia d’oro… La sera di Natale poi mi misero in testa una corona fatta con una scatola di fagioli su cui avevano montato delle candele, e mi nominarono Regina dello Yukon. Mentre ballavo la cera bollente mi gocciolava addosso… Che altro posso dire? Il Blackjack Saloon fu lo spirito di Dawson.

Tra quei primi cercatori c’era anche un giovane scozzese, Scrooge McDuck…

Scrooge, sì. Lo ricordo il giorno del suo arrivo, mi fece già allora una impressione diversa da tutti gli altri.

In che cosa?

Scrooge a Dawson

Scrooge a Dawson.

Era veramente un duro. Almeno così si presentava. Ma di certo era un coraggioso, un gran faticatore e un uomo tutto d’un pezzo.

E’ noto non solo per la sua ricchezza ma anche per l’avarizia. Era avaro già allora?

Ancora più di oggi, se possibile. Oro e denaro per lui sono sacri, a lui non piace spendere perché trova che non ci sia nulla, o quasi nulla, che valga altrettanto, nonostante le enormi quantità che ne possiede. Prova a immaginartelo allora, quando di soldi neanche ne aveva. Molti non lo potevano vedere proprio perché lo consideravano troppo taccagno, oltre che terribilmente scontroso. A lui comunque di questo non importava nulla, pensava ai fatti suoi e basta.

Veniva spesso al Blackjack a vederti e sentirti cantare? O è vero che venne una volta sola, come sostiene qualcuno?

Spesso? Scrooge? Ha ha… no, quasi mai. Però venne più di una volta sola. All’inizio lo si vedeva di frequente a Dawson, aveva bisogno di provviste, attrezzi e vettovaglie per preparare la sua base su alla concessione, di cui lui fra l’altro rifiutava di rivelare l’ubicazione… il mio saloon aveva appena aperto, e lo vidi entrare qualche volta, rimanere in fondo alla sala mezzo nascosto fra gli altri quasi tutti molto più alti di lui… non ordinava niente, non parlava con nessuno… si guardava intorno un po’, poi usciva. Di solito dopo che avevo cantato un qualche pezzo.

Forse gli bastava vederti?

Chi lo sa. Ma venne poi una volta, mesi dopo, con la pepita gigante che aveva trovato, l’Uovo d’Oca… Quella volta sì che si presentò al bancone e ordinò qualcosa…

La pepita

La famosa pepita “Uovo d’Oca”

Whisky?

No, caffè. Gli piaceva molto, e si teneva su con quello. Mentre gli ubriaconi li disprezzava, come loro lui.

Fece vedere la pepita lì nel saloon?

Sì. Subito dopo il mio numero di scena. La scodellò sul bancone, perché l’oste gli desse retta.

Era davvero la più grande pepita d’oro mai trovata nel Klondike?

Per quanto ne so io, sì.

Che effetto fece agli altri cercatori?

Puoi immaginarti la scena. Questo piccoletto, scorbutico e misantropo e che tutti considerano anche un po’ matto, mai visto ordinare alcunché al Blackjack, che ti arriva lì tutto infangato e in tenuta da cercatore, e ti spiattella davanti quella pepita enorme… Ci fu un attimo di silenzio generale, improvviso… C’era ammirazione, c’era invidia… E poi c’era gente a cui Scrooge stava terribilmente sullo stomaco, non lo potevano vedere. E che proprio a lui fosse capitato di trovare una pepita del genere a qualcuno non andò giù.

Secondo le cronache dell’epoca, quella notte accaddero molte cose…

Già. Quella sera cenai con Scrooge. La pepita fu rubata e poi restituita. Ci fu una gran rissa nel saloon. E Scrooge quella volta mi parve invincibile. Alla fine mi portò con lui.

Che rissa!

Una rissa in perfetto stile “Corsa all’oro”.

Chi aveva rubato l’Uovo d’Oca?

Non io… ossia, non fui io a frugargli nelle tasche, anche se riconosco di aver avuto un ruolo nel furto. E comunque fui io che lo restituii.

Ti capitava di derubare i cercatori? O di imbrogliarli?

Ascolta, il Klondike sessant’anni fa era come era. Chi dice che era senza legge il vecchio West avrebbe dovuto vedere il Klondike. Già sopravvivere in quel clima non era per tutti. Con la fauna umana di cui era popolata Dawson poi… eri sempre all’erta, sempre in punta di chiappe, dovevi dar fondo a tutte le tue risorse… alla fin fine ognuno gioca le carte che ha.

Comunque, beh… raramente… e solo quelli che mi davano l’impressione di meritarselo. Lo faceva più spesso il manager del saloon…  

Nessuno cercò di fermare Scrooge quando ti portò via? Se davvero fu un rapimento…

Con il pestaggio a cui tutti avevano appena assistito, nessuno si azzardò a contrastare Scrooge. Poi Dawson era ancora più un accampamento che una città, non c’erano forze dell’ordine a cui denunciarlo. E comunque non fu un rapimento, lui non era armato e non mi picchiò. Semplicemente, mi ordinò di seguirlo e io lo feci.

Avevi paura a contraddirlo?

No di certo. Non io. E poi io una pistola l’avevo, nascosta nelle calze. Ma pensai che se mi portava con sé alla concessione, dove c’erano pepite di quella grandezza, avrei potuto trovarne e diventare ricca anch’io.

Lo seguisti tra i boschi del Klondike solo per la speranza di trovar pepite?

Non ho detto che l’avrei fatto con chiunque.

Cosa si disse a Dawson della tua assenza?

Ha ha ha… come faccio a saperlo se non c’ero?

Voglio dire, avrai avuto chissà quanti spasimanti tra i cercatori, possibile che nessuno si preoccupasse per te, e ti venisse a cercare?

Certo che ne avevo di spasimanti. Continuavo a contare le proposte di matrimonio che ricevevo, ed ero quasi arrivata a cento…

Ma nessuno se la sentiva di mettersi contro Scrooge, lo Scrooge di allora era una forza della natura, avresti dovuto vederlo… E poi non si sapeva di preciso dove fosse la sua concessione. In realtà qualcuno una volta ci arrivò, per liberarmi… ma io rifiutai, e rimasi con lui.

E così si sparse la voce che eravate diventati amanti.

Per me, potevano dire tutto quello che volevano.

Relazione burrascosa

Una relazione abbastanza burrascosa…

Non parve strano, a qualcuno almeno, che la più desiderata di tutta Dawson, che avrebbe avuto ai suoi piedi qualunque uomo avesse voluto, li disdegnasse tutti, e scegliesse invece di stare con un papero, e per giunta tirchio, rude e misantropo, per quanto valoroso?

Oh, a qualcuno credo proprio di sì. Ma per me, te l’ho già detto, quello era Scrooge prima ancora che un papero, ed era Scrooge McDuck quando Scrooge McDuck era Scrooge McDuck. Nessun altro era mai riuscito a far breccia nel mio cuore. E poi non sono forse una papera anch’io?

Per questo rimanesti con lui? O per trovare sempre più pepite…?

Tanto per cominciare, la prima cosa che imparai fu che le pepite non si “trovano”  guardandosi all’ingiro. L’oro si estrae con grande fatica, e le pepite sono una rarità.

Poi, la concessione era di Scrooge, e l’oro sarebbe stato comunque suo. Mi pagava il lavoro che facevo, ma con una paga da manovale, niente più. Nessun trattamento di favore, ed era un lavoro duro e una vita senza nessun comfort, fagioli in scatola giorno dopo giorno, in quella baracca nella neve, senza bagno, e il gelo che certe volte ti tagliava le carni… e come se non bastasse litigavamo tutti i momenti…In più mi addebitò il valore del resto dell’oro rubatogli al Blackjack, che a differenza dell’Uovo d’Oca non era finito a me e quindi non gli era stato restituito. Ma finì che non glielo pagai mai.

E lui, credi che ti amasse?

Sì. A modo suo, s’intende. Non è che lo credo, lo so. 

Insomma rimanesti con lui per amore, diciamolo pure…

Era una persona speciale, che imparavo a conoscere vivendoci insieme, e che a tratti mostrava un lato tenero, addirittura sentimentale sotto quella scorza così indurita… un lato che per altro lui cercava il più possibile di tenere nascosto. Se mai ci fu un uomo giusto per me, quello era lui, e in quelle settimane me ne resi conto. Ed è quello che penso ancora oggi.

Ma c’era di più. Era la mia sete di avventura, e il mio sogno di vivere immersa nella natura. Quello che sognavo fin da bambina. E per quel breve periodo, quel sogno diventò realtà. Non mi cancellerò mai dalla mente l’impressione che mi fece la valletta del White Agony Creek la prima volta che la vidi, quel giorno che ci arrivai con Scrooge, dopo miglia e miglia di cammino nella neve e nel fango… Mi apparve all’uscita di una galleria naturale nel ghiaccio, scintillante di neve e verde di abeti, incontaminata, con il ruscello che ci scorreva attraverso… era come un Eden, anzi per me era l’Eden. 

Come mai allora a un certo punto tornasti a Dawson?

Fu Scrooge a rimandarmi a Dawson. Io sarei rimasta. Fors’anche per la vita, tanto è vero che anni dopo tornai a vivere proprio lì, in quella stessa capanna ormai abbandonata.

Credo che Scrooge avesse paura del sentimento che stava nascendo tra noi. Che per lui potesse significare la fine della sua vita nomade e avventurosa, e il doverla invece condividere, e con essa magari anche i suoi averi, con qualcuno… era nato per essere un solitario, indipendente e libero da tutto e da tutti, o quanto meno voleva vedersi così.

Vi rivedeste ancora?

Sì, diverse volte, quasi sempre di sfuggita. Lui doveva comunque venire a Dawson ogni tanto a far provviste. Ma a quel punto ci evitavamo, a Dawson eravamo tutti e due ben conosciuti e se dopo quello che era successo ci avessero visto anche solo parlare insieme, sai i pettegolezzi…

Sembra che quando a Dawson arrivarono le giubbe rosse della polizia a cavallo canadese a tener l’ordine, tu lo abbia denunciato per il rapimento dell’anno prima. E’ vero? E se sì, perché lo facesti?

Sì, è vero. E fu un grave errore. Lo feci per costringerlo a incontrarmi di nuovo, e per potermi finalmente chiarire con lui. In realtà ritirai quasi subito quella denuncia, ma ormai il danno era fatto. Lui credette che volessi rovinarlo, e la fiducia che poteva avere in me andò in frantumi. Non molto tempo dopo lasciò Dawson e la sua concessione al White Agony Creek, e tornò a girare il mondo e a far soldi in ogni modo possibile, che era il vero scopo della sua vita.

E tu continuasti la tua, cantando e ballando per gli argonauti del Klondike?

Per qualche tempo sì, ma anche quella corsa all’oro finì per spegnersi nel giro di pochi anni. Nessuno trovava più nuove vene aurifere, e la maggior parte della gente ripartiva più povera di quando era arrivata. In pochi anni Dawson scese da quarantamila abitanti a meno di mille. Il mio pubblico di quegli anni si affollava verso l’uscita, il sipario calava sulla grande Corsa all’Oro del Klondike, e calò anche su di me.

Cosa facesti allora?

Tentai di tenere ancora il saloon finché mi fu possibile, servendo almeno da bere al bancone, ma senza quasi più clienti non riuscivo più a rientrare dei costi, e finii per chiuderlo.  Iniziai a bere. E parecchio. La mia notorietà, il successo, l’ammirazione, la cresta dell’onda, tutto mi stava sfuggendo dalle mani, e in così poco tempo…

Non pensasti di tornare qui negli States, e ricominciare?

Il triste destino delle "belle dello Yukon"

Il triste destino delle “belle dello Yukon”…

No, non avevo praticamente più contatti con nessuno e sarebbe stato un tornare indietro, là da dove me ne ero andata. Mia madre, che nel frattempo aveva vissuto a Chicago col suo quinto marito, aveva divorziato di nuovo e ora era a Los Angeles col sesto, e io non sono proprio fatta per le città… No, ormai appartenevo alle terre del Nord, sarei rimasta là, almeno avevo la natura che amavo vicino a me. E in più, almeno lì, qualcuno che mi amava davvero c’era.

Chi era?

Si chiamava Johan, Johan Matsson. Johnny per tutti. Era un cercatore svedese che era sempre stato un mio ammiratore, e che passava al Blackjack quando scendeva in città. Era un uomo  imponente, irsuto, taciturno… un orso insomma, ma di buon cuore. E anche molto coraggioso, aveva una concessione in una valle lontanissima, molto più lontana di quella di Scrooge, e stava via mesi e mesi alla volta… di oro non ne aveva trovato molto, ma intanto faceva anche il trapper, il cacciatore di pellicce, e tirava su abbastanza per mantenere anche la moglie e la figlia, che stavano a Dawson… Poi però sua moglie morì e lui si ritrovò con la bambina da accudire.  

Come andò tra voi?

Una sera passava di lì e mi trovò ubriaca sui gradini della porta di casa. Piangevo. Mi consolò, e mi disse che mi aveva amato segretamentefin da quella notte di Natale che mi misero in testa la corona di latta con le candele, quando lui era appena arrivato a Dawson ed era la prima volta che entrava al Blackjack. Ma per lui io ero inarrivabile, mi disse, e poi allora c’era sua moglie… Per farla breve, mi chiese di sposarlo, e di aiutarlo a crescere la bambina mentre lui non ci avrebbe fatto mancare nulla, a costo di ammazzarsi di lavoro.

E tu accettasti?

Sì. Avrei fatto da mamma alla bambina, stando a Dawson, e mi sarei occupata anche di qualche altro orfano del Klondike, che Johnny stava cercando di aiutare. Avevo ritrovato uno scopo nella vita, e avevo chi pensava a me. Ci sposammo a luglio di quell’anno, il 1909. Avevo trentotto anni. Pensa un po’, con tutte le proposte di matrimonio che avevo ricevuto nella vita… e quella fu l’ultima.  

Lo amasti?

No. Il mio cuore è impervio, te l’ho detto… Ma era una brava persona, e ci siamo voluti bene, anche se di fatto ci vedevamo molto di rado. Lui era quasi sempre su alla concessione.

Che ne è stato di lui?

Morì quindici anni dopo. Il suo corpo fu trovato nella foresta, mezzo sbranato dagli animali, morto già da mesi… lo trovò il cercatore che aveva la concessione più vicina a lui, ma che comunque era a trenta miglia di distanza… nell’Alto Klondike era così… e fu lui a portarmi la notizia a Dawson, quando ci arrivò giorni dopo.

Cosa facesti poi?

Nostra figlia si era da poco sposata, con un americano di Minneapolis, ed era andata a vivere là. E poco dopo ebbe una bambina. Andai a stare da loro e cominciai a fare la nonna. Dopo ventotto anni che mancavo dagli States.

Tua madre era ancora viva?

No, era morta qualche tempo prima a San Francisco, dove si era trasferita col suo settimo e ultimo marito.

Ti andava a genio, Minneapolis?

Non troppo. Era una città già troppo grande per me. Ma poi ci trasferimmo presso Bend in Oregon, era campagna e mi piaceva di più.

Si può dire che ti riavvicinasti a McDuck dunque? Almeno geograficamente…

Fu un caso. Non avevo avuto più nessun contatto con lui. E a quel che seppi dopo, all’epoca non era mai a Duckburg ma in giro per il mondo, a fare affari e a cercar tesori.

Quanto rimanesti a Bend?

Qualche anno. Ma ci fu un tragico incidente, la mia figliastra e suo marito morirono e io restai sola con la piccola Dickie, che non sapevo come mantenere. Per un po’ feci anche la lavapiatti nei ristoranti… Quando ebbe l’età per andare a scuola, le trovai un posto in un collegio, vendetti la casa, la terra e tutto quel che si poteva perché avesse di che pagare la retta tutti gli anni, e me ne tornai a Dawson. Mi rimanevano i miei vecchi abiti e qualche gioiello, come ultime risorse. Quando arrivai a Dawson avevo in tasca sei dollari. Ed ero sola, non ero più giovane, non ero più bella… e dovevo ricominciare, in qualche modo. Ma almeno, era il mio mondo.

Cosa facesti a Dawson?

Doretta

In difesa della concessione.

Cedetti la concessione di Johnny e rilevai quella di Scrooge, quella stessa dove avevamo vissuto tanti anni prima. Lui dopo la partenza non l’aveva più rinnovata e dunque era vacante. Tornai a vivere in quella stessa capanna di tronchi, come meglio potevo, sola tra le foreste… un po’ di oro si trovava ancora, io ormai sapevo cercarlo e con quello che trovavo sbarcavo il mio lunario, anche se nulla di più.

Fu per nostalgia di Scrooge, che andasti a vivere lì?

Di lui, sì… Quella capanna pareva grondare della sua presenza, soprattutto i primi tempi. Poi ci feci l’abitudine. Ma era anche la nostalgia di un’età diversa, e di quella grande avventura, per breve che fu, che nel tempo aveva preso per me una tinta favolosa. E quella straordinaria natura, ancora tutto intorno…    

A Dawson c’è che assicura di aver rivisto Scrooge anni dopo, e forse più di una volta.

Posso confermare.

Era venuto per ritrovarti? O per riprendersi la concessione? E vi vedeste?

Lui non sapeva che vivessi lì. Non sapeva assolutamente più nulla di me, fin da quando aveva lasciato il Klondike. Nemmeno se ero viva.

La scalata

La seconda volta di Paperone sul passo Chilcoot, più agevole ella prima!

No, era venuto per riprendersi dell’oro che aveva scavato quarant’anni prima e nascosto in attesa di poterlo recuperare un giorno. E ora veniva a farlo. Ed era venuto coi suoi parenti più stretti, “Paperino” Donald e i suoi tre nipotini, per aiutarlo ma è chiaro che voleva anche mostrare loro i luoghi della sua giovinezza, delle sue imprese leggendarie… tanto che costrinse anche loro ad arrancare su per il Passo Chilcoot per raggiungere Whitehorse dall’Alaska, come aveva dovuto fare lui ai tempi….

E infine, era venuto per cercare di scoprire cosa ne fosse stato di me, si capisce. Ma ovviamente, orgoglioso com’è, ai nipoti non l’aveva raccontata così… A loro aveva detto che voleva ritrovarmi per riscuotere quel vecchio debito dalla famosa notte al Blackjack, mille dollari per l’oro rubato, e per essere più convincente e far loro più impressione gli aveva detto che li voleva con tutti gli interessi, non so più quanti milioni di dollari… Era una parte che sapeva recitare…

Quindi vi rivedeste? Come fu, se posso…?

Quando ci ritrovammo, faccia a faccia, e proprio davanti a quella capanna, dopo così tanti anni… non è facile da dire… ma credo che guardandoci negli occhi in quel momento, per la prima volta potemmo vederci l’un l’altro come veramente eravamo, e anche chi eravamo l’uno per l’altra… non più rancori, non più ripicche… eravamo dovuti diventare vecchi per capirlo, ma comunque ci arrivammo, e fu in quel momento lì.

La Stella del Polo

Una sequenza entrata di diritto nella storia del fumetto.

Solo che Scrooge doveva in qualche modo tener fede a quanto fatto credere ai nipoti, per cui fece mostra di reclamare il suo credito… e per sbrogliarsi da quella situazione s’inventò di sfidarmi a chi trovava più oro, naturalmente dopo essersi assicurato che avrei vinto io. Così andò a finire che mi condonò il debito, mi lasciò la concessione e in più tutto quell’oro da lui lasciato e che era venuto a riprendersi. In una parola, mi salvò la vita. Fu il suo atto d’amore per me.

E dopo che facesti?

A quel punto avevo una certa somma. Tornai a Dawson e mi ripresi il Blackjack Saloon, e lo riadattai ad albergo. Cominciavano a vedersi i primi turisti, che venivano a visitare i luoghi della grande Corsa all’Oro, di cui avevano letto nei libri di Jack London, che pure lui ogni tanto si era visto al Blackjack… Ci fu anche qualche rimpatriata di cercatori invecchiati, e Scrooge stesso tornò un’altra volta e ci alloggiò, sempre con suo nipote e i nipotini. Ma non è che mi rendesse molto, anzi… Era più per stare vicina ai miei ricordi. Rimasi a Dawson finché potei, ma a un certo punto non ce la feci più. L’albergo era in perdita, ero anziana, ero stanca… Alla fine lo vendetti, lasciai Dawson per sempre e tornai nell’Oregon, a Bend dove studiava mia nipote Dickie che era la mia unica parente prossima. Dickie mi aiutò a trovare una casa di riposo che fosse in un posto carino abbastanza da poterci passare il resto della vita, e lo trovammo qui sulle colline tra Bend e Albany, in un paesino dal bel nome di Sweet Home. Da allora è stata casa mia.  

Sempre più vicino a Duckburg…

Sì, ma pur sempre a distanza di sicurezza. Scrooge ha anche altro per la testa, e io non ho intenzione di creargli problemi, o anche solo di distrarlo.

Ti riferisci alla sua quasi-fidanzata di lungo corso, Brigitta McBridge?

Non solo. Conosco Scrooge molto bene, forse meglio di chiunque. So cosa significo per lui e so cosa può darmi e come. Quando fa qualcosa per me, so vederlo. So leggerlo. A me basta questo. Non ho bisogno di vivere vicino a lui, non sarebbe mai la stessa cosa come al White Agony Creek.

Dunque nel tempo ti ha aiutato ancora?

Certo. Sempre cercando di non darlo a vedere, naturalmente. E di sua iniziativa. Da parte mia, io gli ho chiesto aiuto solo una volta, e non per me personalmente.

Un piccolo favore...

La nipote Paperetta.

Aiuto finanziario?

No. Fu quando, poco dopo il mio arrivo, Dickie si diplomò. Scrooge era venuto a trovarmi, e io gli chiesi di portarla con lui a Duckburg e aiutarla a inserirsi nel lavoro, muovere i primi passi, poi avrebbe fatto da sola.

E lui accettò?

Certo, e sapevo bene che lo avrebbe fatto. Naturalmente all’inizio brontolò, ma io sapevo anche questo. Non mi avrebbe mai detto di no, non mi avrebbe lasciato delusa. Sicuramente fu un vantaggio che lui e Dickie si piacquero subito, lei del resto è sempre stata così esuberante, così intraprendente e simpatica… Ma non si limitò a farmi quel piacere. Addirittura comperò lui la casa di riposo, lì su due piedi, con un assegno e via… E nominò me direttrice, licenziando quella megera che c’era prima e riassumendola come donna delle pulizie. Scrooge, capito? E come se non fosse abbastanza, organizzò una festa a Duckburg proprio per presentare Dickie, la nuova arrivata, la nipote di Goldie, ai parenti e agli amici. E tutto di tasca sua.

Andasti anche tu?

Sì, Dickie organizzò la sorpresa… Quella fu la prima volta che misi piede a Duckburg. E si andò dritti al deposito di Scrooge, che si vedeva già da lontano in cima alla sua collina… E tutti ci ricevettero festosamente, i parenti, gli amici… Ormai sapevano chi ero e cosa ero stata per il loro illustre anziano, e così mi accolsero tra loro.

Scrooge a un certo punto ci portò tutti all’ingresso del deposito vero e proprio, quell’enorme forziere-piscina di dollari che è il vanto della sua vita… Non ci fu davvero bisogno di pregarlo, si vedeva che ci teneva a mostrarcelo… Era il suo modo di far bella figura con me, gli altri presenti lo conoscevano già bene.

Brigitta e Doretta

L’incontro tra Brigitta e Doretta.

C’era anche Miss McBridge?

Sì, e fu un bell’incontro. Ci siamo riuscite simpatiche, anche se lei all’inizio era un po’ sulle spine.

Non provi una qualche gelosia verso di lei? O un po’ d’invidia?

No. Brigitta ha avuto tanta pazienza, tanta costanza, e quello che ha lo ha meritato. Poi, lei Scrooge lo ha avuto per molto più tempo, è vero, e lo ha ancora, ma non è mai stato del tutto suo.

Io invece lo ebbi con me solo un mese… ma quel mese fu il culmine della sua vita, e lo fu anche della mia. Lo Scrooge più splendido, quello giovane, quello del Klondike, l’ho avuto solo io. E quanto a lui, so che il mio posto nel suo cuore non l’ho mai perso.

Forse lo sa anche Miss Brigitta?

Certo che lo sa. Ma che può fare? Scrooge è questo. Ti basti sapere che la stanza dove dorme è piena di cimeli del Klondike…

Uh? Vuoi dire che sei stata nella sua stanza da letto?

Avevamo convenuto che a una domanda potessi non rispondere. Scelgo questa.

D’accordo, torniamo a Miss Brigitta. Credi che finiranno per sposarsi lei e Scrooge, ora che lui si avvicina ai novant’anni?

A Scrooge Brigitta è sempre piaciuta, e ben più di quanto desse a vedere. Lei è premurosa, graziosa, capace, lui le è affezionato e sa benissimo che sarebbe un’ottima moglie. Certamente migliore di come sarei stata io, con la mia testa calda… Ma lui è sempre vissuto da scapolo, geloso del suo mondo, della sua libertà, delle sue stranezze… Forse sì, alla fine un giorno si sposeranno. Ma se conosco Scrooge, credo che non lo farà finché sono viva io.

Cosa rende tanto forte questo vostro legame, ancora oggi?

Condividiamo tante cose. Quel pezzo di terra, White Agony Creek, fu suo, poi mio… ora è nostro… Gli stessi ricordi, quel pezzo di vita insieme, incancellabile… Con noi giovani, belli, forti… Sai, siamo anziani, è di ricordi che viviamo… Ma soprattutto, forse, è il fatto che tutti e due abbiamo capito, ma tutti e due troppo tardi, che quella, sì, era la nostra vera chance, e ci sarebbe stata data quella sola, e non un’altra… e ci siamo resi conto di averla, sì, diciamo… giocata male, sprecata… Litigando fra noi la maggior parte del tempo, tenendoci il broncio, accusandoci, dicendocene di tutti i colori… E abbiamo poi vissuto anni, decenni, a rimpiangere quei nostri errori, che ci apparivano sempre più chiari. La vecchiaia, sai, serve a questo…

Rimpiangi che le cose non siano andate diversamente? Se fossi rimasta con Scrooge al White Agony Creek…?

Non credo a chi dice che non ha rimpianti. Ma non si può dire con certezza che sarebbe stato meglio. Chissà che magari non avremmo finito per stufarci a vicenda, non sopportarci più… Così invece siamo rimasti speciali, unici, l’uno per l’altro, per tutta la vita.

E poi, alla fine, la sua vita è stata comunque un successo. La mia… beh, modestamente un po’ ho brillato anch’io, no? E di sicuro non è stata una vita banale. Ho vissuto come volevo io e dove sceglievo io, e ne sono fiera. Ho sbagliato molto ma ho imparato anche molto, ed è vivendo che si impara. Non avrei imparato quel che ho imparato, se non avessi vissuto come ho vissuto.

Grazie, Goldie.

Addio, giovane.

BIBLIOGRAFIA

Storie Disney:

Pagine Wikipedia (www.en.wikipedia.org):
  • Kathleen Rockwell (Klondike Kate)
  • Maria Spelterini
  • Dawson
  • Klondike Gold Rush
Altre fonti online:
Su Kate Rockwell (personaggio cui si ispirò Carl Barks per Glittering Goldie) e Johnny Matsson:
  • Jennifer Houdek, Klondike Kate, “Queen of the Yukon” (University of Alaska, Anchorage, 2011)
  • Ron Moxness, Kate’s Strange Love Idyll (The American Weeekly, 13 aprile 1947)
  • Ron Moxness, Klondike Kate Persistent Suitors (The American Weekly, 16 maggio 1948)
  • John Kirkwood, Kate Was There Each Year to Pick up Johnny’s Poke (The Bend Bulletin, 30 dicembre 1959)
Su Maria Spelterini:
  • Sherman Zavitz, Life of Lady Wire Walker Shrouded in Mystery (Niagara Falls, Canada, 22/2/2003)

Autore dell'articolo: Cristiano Trottalemme Calcagno