Carl Barks, “colui che leggerissimo era”: uno scintillante magistero di arguzia (seconda parte)

25 MAR 2021

Ci eravamo lasciati, ormai quattro mesi fa, con l’immagine di Paperino e Paperone smarriti nel miraggio dell’acquisto del tesoro di Ulisse. Quella disamina aveva lo scopo di immergerci in un piccolo florilegio di esempi grafici che mettevano in luce la capacità di Barks di porre in scena una peculiare forma di leggerezza, in mille efficacissime e contraddittorie sfaccettature. Oggi, in questa seconda parte, ci occupiamo invece del lato più “narrativo”, sintattico anziché morfologico, di questa disposizione. 

Poniamoci anzitutto la domanda: cosa significa leggerezza narrativa? Perché se a livello grafico c’è, come abbiamo visto, una evidente peculiarità nella gestione dei pesi e delle posizioni di personaggi, oggetti e paesaggi, a livello narrativo forse il senso del discorso va precisato. Ma conviene spiegarsi direttamente con degli esempi.

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Maturità della classe dirigente

Per farlo partiamo proprio dall’ultima vignetta con cui ci eravamo lasciati, che metteva insieme senno e follia. Ecco, l’opposizione della follia paperoniana alla calma dei parenti è un topos barksiano perfetto per sintetizzare un tratto peculiarissimo dell’ironia dell’autore. Si pensi alla sequenza iniziale di Zio Paperone e la superbenzina, in cui il climax di violenza e di ridicolaggine scalato dai due pazzi miliardari è seraficamente troncato dalla schietta ironia dei nipoti di Paperone. 

Ecco dunque il primo elemento: la doccia di ironia e distacco che Barks puntualmente riversa sui suoi momenti più trascinati e caotici. Un altro esempio? I brevi monologhi autocommiserativi che Paperone si riserva per le situazioni gravi, che spesso colgono con perplessa ironia il lato paradossale dell’azione.

Del resto, i personaggi di Barks sono sempre portati a commentare l’azione: con ironia o autoironia, ma anche con stupore, con senso del pericolo. Quante immagini di Paperi terrorizzati abbiamo nella mente? E sempre con una battuta nel becco. Quella che a priori appare un’aggiunta gratuita rispetto all’efficacia di una situazione magari in sé già autosufficiente, e magari di un certo effetto, risulta invece un centro perfetto: pochi come Barks hanno la capacità di compiere delle scelte verbali elementari e inattese allo stesso tempo, regalando così all’esclamazione il perfetto equilibrio tra immediatezza e valore umoristico.

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Il migliore dei citofoni

Nella storia Paperino e il fantasma della grotta, capolavoro assoluto di tensione emotiva, troviamo alcuni esempi tipici di tutto ciò. La funzione dell’umorismo, che qui come spesso in Barks ruota intorno allo smascheramento della goffaggine e delle insicurezze degli adulti, è quella di rendere meno aspra e spaventosa una storia tendenzialmente cupa, crudele da molti punti di vista, ambientata fra le ombre di una scogliera desolata, e che ruota intorno a una serie di rapimenti di infanti.

Nella terza tavola, ad esempio, Paperino reagisce con stizza alle risposte evasive degli abitanti del porto; nell’undicesima, Paperino va in confusione per aver inavvertitamente rivelato di credere alla storia dello spettro in armatura; nella quattordicesima in una magistrale sequenza di vignette vediamo Paperino calarsi nella grotta e poi risalirne in fretta prima di essere “cannoneggiato” dal rapitore di bambini. Citiamo ancora il ruolo svolto dal pomodoro maturo nella diciassettesima tavola, o della “carne al pepe” nella ventesima, per tacere della vignetta finale, vero capolavoro di umorismo, che in un attimo ribalta tutto. Il sarcasmo e il grottesco la fanno da padroni in questo gioiellino poco conosciuto.

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Buen retiro

Del 1951 è una ten-pager intitolata Paperino e l’eremita nella quale gli elementi “demenziali” sono spostati in modo ancora più decisivo verso gli adulti, in questo caso Paperino, la cui narcisistica passione per una canzone scritta di proprio pugno, “Il lamento del cowboy”, finirà col mettere seriamente a repentaglio la sua vita. 

In una storia decisamente più celebre uscita lo stesso anno, Zio Paperone e la disfida dei dollari, troviamo l’umorismo barksiano declinato in maniera lievemente diversa. Questa storia è la prima a spostare il baricentro narrativo paperopolese da Paperino a Zio Paperone, che sarà da qui in avanti sempre più protagonista.

Questa “promozione” genera anche un parziale spostamento del baricentro umoristico. Fin dalla prima tavola infatti, Barks si diverte a dipingere Paperone come un vecchio eccentrico che suo nipote considera, semplicemente, un rintronato. La storia è costruita come un autentico scontro fra filosofie di vita: da un lato c’è Paperone, che afferma serafico di trovare conforto nel possedere denaro (conforto costantemente minacciato da tarme, topi, ragni e briganti); dall’altro Paperino, scalognato e perennemente in bolletta, ma che ha un’idea precisa di cosa voglia dire godersi la vita.

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Corsa agli armamenti

L’avventura procede a suon di esagerazioni sempre più estreme, tra Paperone che cerca di sconfiggere i Bassotti mentre spruzza insetticida per le tarme, e i ladri che escogitano sistemi sempre più assurdi per derubarlo. Qui è l’iperbole il meccanismo centrale di alleggerimento, iperbole molto distante dal gusto comico attuale anche grazie a tempi tecnici che ricordano molto il cinema d’animazione. Alla fine ognuno dei due resterà sulla propria posizione, ma la concretezza di Paperino e l’infantilismo di Paperone e dei Bassotti ci mostrano quanto in Barks l’equilibrio valoriale dei protagonisti stia mutando, se confrontato proprio con l’esempio del Fantasma della Grotta sopra citato.

Un meccanismo comico che Barks inizia a padroneggiare sempre più negli stessi anni, favorito dalle possibilità offerte dal personaggio di Paperone, è l’escalation: due esempi tipici li ritroviamo in due storie celeberrime e molto amate dai lettori di tutto il mondo, vale a dire Paperino e il Maragià del Verdestan e il suo seguito ideale Zio Paperone e il torneo monetario, l’una del 1952 e l’altra del 1956.

In entrambe queste avventure Barks mette Zio Paperone in competizione con un altro miliardario e, in entrambi i casi, lo scontro vede i due contendenti compiere spese e imprese via via più folli per una pura questione di orgoglio fino alla inevitabile vittoria del nostro protagonista. Il contrasto fra la sua conclamata avarizia e le assurdità che è disposto a commettere per l’ottenimento di un titolo vuoto, privo di valore, rende queste due storie due autentiche gemme comiche. Qui sono comiche tanto la tensione megalomaniaca, costruita appunto per accumulazione paradossale, quanto il suo continuo essere posta a contrasto, in funzione di alleggerimento conflittuale, con l’ambiente di “sanità mentale” che la circonda.

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Paperino educatore modello

Va notato però, proprio in tema di iperbole e comicità del surreale, che la sapienza di Barks sta anche nel saper invertire ad arte il meccanismo di “decostruzione” dell’accumulazione. Ossia, presa una situazione banale, quotidiana, antipodale dunque ad una bombastica competizione fra miliardari, Barks è maestro nel farla montare, incendiare, amplificare e trasportare verso un registro di delirio e tregenda: opposto, dunque, alla quotidianità dello spunto iniziale, quale può essere un litigio fra zio e nipotini o la minaccia dei corvi sull’orto di Paperino. È il fenomeno inverso quindi a quello di banalizzare una situazione complessa: ed è un trucco che rischia, in linea teorica, di cadere subito nel baratro della ripetitività, pericolo che Barks evita con sicurezza e maestria.

Si potrebbe ora pensare che l’effetto di questo approccio barksiano sia un essenziale dualismo, vuoi affidato all’alternanza, vuoi alla sapiente commistione e mutuo rilancio di due elementi antitetici: tensione e umorismo.

Ma non è solo e sempre così, ci sono casi più sfaccettati: talvolta l’alleggerimento prende la forma di una vera e propria apertura di orizzonte. Pensate al momento in cui, dopo una lunga e tortuosa peregrinazione sui monti, colma di mistero e di incertezza sulla meta, e dopo essersi appena smarriti nella nebbia, Paperino e nipotini scoprono improvvisamente Testaquadra in Paperino e il mistero degli Incas.  Sembra quasi di sentire le loro voci riecheggiare nella calma del mite e misterioso altopiano, riparate dall’infuriare degli elementi montani. Un paio di pagine ancora e i Paperi sono in mezzo alla divina bizzarria degli abitanti del luogo. La meta tanto attesa è al contempo spettacolare e imprevista, solida nella sua consistenza petrosa ma insieme bizzarra e sorprendente quant’altre mai.

Ecco quindi che l’alleggerimento della tensione accumulata durante il viaggio è duplice: certo, c’è l’umorismo dei personaggi, ci sono le loro buffe abitudini nonché la loro peculiare parlata (spassosa anche nella traduzione italiana); ma c’è anche, prima di questo, il senso di apertura grafica e sonora, di coronamento del viaggio, che sfocia perfettamente in un vivido ma allo stesso tempo sottile momento di sense of wonder.

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Veduta mozzafiato a volo di… papero

Ed è nella commistione di questi due elementi, di queste due forme di alleggerimento della tensione che sta la maestria di Barks: la meraviglia per il luogo inesplorato finalmente raggiunto, per altri autori momento da sfruttare fino in fondo nella sua caratura “d’impatto”, in Barks viene a sua volta immediatamente proiettato in una dimensione di leggerezza; ecco che il luogo scoperto non è necessariamente la sede di un tesoro, da rinvenire e portare a casa in pompa magna, ma semmai di un popolo, le cui bizzarrie o la cui saggezza sono sempre pronte a rompere lo schema dell’esploratore alla conquista della meta.

Questo apre fra l’altro un discorso interessante e che vale la pena di sollevare almeno brevemente in questa sede. L’idea di “conquista” è completamente aliena a Barks. Ben lontano dall’essere in qualche senso un “primitivista” o un “terzaforzista”, Barks mette però in campo una pura forma di rispetto verso i luoghi e i popoli esotici che inventa. Mai più ridicoli dei Paperi stessi (certo sarebbe ben difficile…), mai ignoranti o bisognosi al punto di farsi insegnare qualcosa dai loro scopritori; se non buffe mode e i volutamente bizzarri ed effimeri vantaggi della tecnologia. Non solo: la loro bizzarria, di volta in volta, li salva dall’etichetta ammorbante di “saggi primitivi”. Persino quando Barks è più serio nell’attribuire loro un carattere interamente positivo (con i Menehunes per esempio) l’impressione non è di pedanteria o di utopia, ma – daccapo – di brillante leggerezza.

E poi – il più illustre degli esempi, forse – pensiamo a Zio Paperone e la dollarallergia. Esposti alla logica magnetica del capitalismo, gli abitanti di Trulla sono gli involontari protagonisti di un esperimento da manuale di sociologia. Ma non è intenzione di Barks né dipingerli come saggi incorruttibili né come miracolati dalla civiltà occidentale. Sono personaggi realistici nel loro essere paradigmatici: un vero miracolo già nella formulazione. La chiarezza e la raffinatezza della trama messa in campo da Barks in questa storia appaiono tanto più grande quanto più spinoso e politicamente caldo è il tema trattato. Si tratta, anche per questo, di un vero classico moderno, e uno dei lavori più accurati e riusciti dell’autore americano.

Beni rifugio

Del resto, comincia ad emergere da questi esempi un motivo comune: Barks, a differenza di moltissimi altri – anche grandi – autori, non è fra coloro che premono per strabiliare il lettore, per ostentare “la” trovata del momento, o addirittura della storia. La sua narrazione si intesse di fili ed eventi che si rilanciano a vicenda, di carattere e natura egualmente degna, senza che il peso di una parte della storia, o di una tesi preconcetta alla narrazione, imprima una gerarchia troppo potente.

Ecco dunque, forse, uno dei segreti della leggerezza barksiana: il senso dell’equilibrio fra le parti. Non esiste storia di Barks che si regga su un’idea sola. Ed è proprio la gestione della pluralità, dei punti di vista, a fornire il motore più potente a quello che diviene, immancabilmente, un formidabile dinamismo. Quell’equilibrio, quella capacità di gestire interazione e ritmo concorrono a un senso di energia interna alla storia, che invece di essere combustiva e istantanea è vitale ed inesauribile.

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“Cento di questi giorni!”

Ad esempio, è tipico di Barks portare avanti lunghi e devastanti scambi verbali tra i personaggi (tipicamente Paperone e Paperino, oppure Paperino e nipotini), che durano anche molte vignette. Il senso di stanchezza che, in mani meno esperte, un simile approccio indurrebbe nel lettore, è invece esclusivamente convogliato verso i personaggi: sono loro, al termine della sequenza, a trovarsi spesso spossati, in vignette spesso dall’altissimo effetto comico. Ma il lettore, viceversa, ne esce divertito, galvanizzato, appagato.

Ma c’è un altro risvolto: i famosi, realistici, toccanti momenti di Paperino e la scavatrice non sarebbero tali se il centro emotivo e narrativo della storia fosse volutamente e artificialmente concentrato su di essi. Viceversa, in questa storia Barks mette in scena due zii megalomani che si prendono a… bennate per la pubblica via nel cuor della notte. Il contrasto con la semplicità e la disarmante innocenza dei bambini indigenti di Shacktown si commenta da sé.

Ma a proposito di indigenti… che dire del popolo felice di Brutopia? È il momento di concludere la nostra indagine con la storia che aveva aperto la nostra rassegna qualche mese fa: Zio Paperone e il tesoro sottozero. Perché proprio questa? Ebbene, in questa storia la contaminazione tra tensione, paradosso e gioco delle parti si porta a un livello definitivo: il motore della tensione è nientemeno che lo scontro di Paperone con una micidiale potenza straniera, Brutopia, sotto il cui nome si cela satiricamente l’ombra dell’Unione Sovietica; tant’è che il suo rappresentante ha le fattezze storpiate di Nikita Chruschëv, che allora era in carica come Segretario del Partito Comunista e leader dell’URSS.

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Grama la vita della massaia in Brutopia

È un Barks politico dunque (e non è la prima né l’ultima volte che Barks tocca la satira politica o soprattutto la satira di costume), che con nonchalance accumula colpi di scena degni di James Bond nella caccia a un oggetto tanto misterioso quanto anticlimatico rispetto alla confusione che gli si crea d’attorno: il bombastium. Il minaccioso riferimento politico, il clima da questione di Stato, l’avventura in luoghi impervi, la follia di un vecchio papero, le beffe del destino, gli scherzi di una natura dolce e ineffabile nella persona (si licet) di un affettuoso e commovente pinguino… tutto è mescolato insieme con maestria disarmante. Ma c’è un dettaglio.

Nelle prime pagine, Paperone e il console brutopiano si trovano all’asta a contendersi il misteriosissimo bombastium: l’ennesima fissazione di un vecchio pazzo, una delle più emblematiche; così come emblematica di una testarda ortogonalità è la ridotta statura di Paperone rispetto a tutti i suoi contendenti miliardari, nerovestiti e indistinguibili dal basso del suo punto di vista; ma quando la competizione fa scalare il prezzo verso cifre inverosimili, Barks piazza il colpo di genio: il console brutopiano offre un triliardo di dollari e tutti i lavandini posseduti dal popolo felice di Brutopia.

«Quanti lavandini possiede il tuo popolo felice?» «CINQUE!» «Bene! E allora io offro un triliardo di dollari e SEI lavandini!» «Venduto! Aggiudicato al piccolo papero che possiede così tanti lavandini e un così grande conto in banca!».

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La guerra fredda, quella vera

C’è tutto: lo scontro verbale portato al parossismo con una inventiva finissima, che lascia estasiato il lettore ed estenuati i contendenti; la ridicolizzazione finale agli occhi del lettore di un evento vissuto dai protagonisti come di vitale importanza; persino l’abitudine di Barks di far irrompere nel discorso denso di concitazione teatrale dei balloon con una sola parola (FIVE!) che straniano il ritmo verbale segnando il metro della crescente surrealtà; e infine quella dose crudele e giocosa al tempo stesso di vis satirica che sottolinea come il popolo felice di Brutopia non possegga, nel suo complesso, che cinque lavandini; e che il suo console sia pronto a impegnarli tutti per stabilire un predominio d’immagine in una contesa completamente vacua.

Un momento satirico pungente, che anticipa vagamente l’atmosfera del Kitchen debate fra Chruschëv e il vicepresidente statunitense Nixon di quasi tre anni dopo; e di una satira certamente schierata (né del resto il mondo Disney era alieno a un rapporto… disinvolto con l’al di là della Cortina di Ferro all’epoca), ma calato perfettamente nell’economia e nella riuscita di una storia, fino a divenire addirittura memorabile tra gli appassionati. Un vero capolavoro.

Eccoci dunque alla fine. Speriamo come al solito di avervi appassionati a questo piccolo gioco di scherzosa vivisezione delle storie di Barks, e che questa chiave di lettura possa avervi convinti e, perché no, motivati a leggere e rileggere le storie di Carl Barks. Ma anche a consigliarle agli altri, perché il pubblico dei lettori di fumetti vive anche di suggerimenti casuali e inattesi. E dunque ben vengano gli anniversari che ci danno una scusa per parlare di belle storie e dell’idea che ce ne portiamo appresso. Buon Barks a tutti!

Autore dell'articolo: Guglielmo Nocera

Oggi espatriato nel paese di Astérix, mi sono formato su I Grandi Classici Disney, che acquisto tuttora, e Topolino Story prima serie. Venero la scuola Disney classica, dagli ineguagliabili vertici come Carl Barks e Guido Martina ai suoi meandri più riposti come Attilio Mazzanti e Roberto Catalano (l'inventore della macchina talassaurigena). Dallo sconfinato affetto per le storie di Casty sin dagli esordi (quando lo confondevo con Giorgio Pezzin) deriva il mio antico nome d'arte, Dominatore delle Nuvole. Scarso fan della rete, resto però affezionato al mondo del Papersera, nella convinzione che la distinzione tra esegesi e nerdismo sia salutare e perseguibile. Attendo sempre con imperterrita fiducia la nomina di Andrea Fanton a senatore a vita.

Autore dell'articolo: Manuel Crispo

Medico con la passione per la scrittura, pker di vecchia data, come tanti ho iniziato a leggere con Topolino. Col tempo ho divorato voracemente manga, manhwa, historietas, BD e tutto ciò che è targato Sergio Bonelli, ma l'incredibile mondo Disney resta il mio primo amore.