Brivido, terrore, raccapriccio!

30 MAG 2021

Il soprannaturale nelle storie di Carl Barks

Il sentimento più forte e più antico
dell’animo umano è la paura,
e la paura più grande è quella dell’ignoto

– H. P. Lovecraft –

Primi brividi

In oltre vent’anni di attività continuativa nel mondo dei fumetti, Carl Barks ha attraversato tutti i generi narrativi attingendo alle più varie fonti di ispirazione. Famosa la sua predilezione per la rivista National Geographic, ad esempio, ma altrettanto importanti sono state leggende, antiche mitologie, tradizioni popolari veicolate da cinema e letteratura che sono state riversate su tavola dall’artista americano.

Il soprannaturale, la paura sono stati una costante periodica della sua produzione, temi cui non ha mai rinunciato, affrontati sin dalle primissime storie e portati avanti anche dopo il ritiro come disegnatore. È interessante però analizzare in che modo l’Uomo dei Paperi si è approcciato a queste tematiche.

Nella prima fase della sua carriera di fumettista Barks appare decisamente scettico, anzi sembra voler prendere in giro chi è troppo propenso a credere ad accadimenti apparentemente indecifrabili. Risale a questo periodo, la seconda metà degli anni Quaranta, una manciata di storie che fanno leva su misteri e fenomeni inspiegabili che alla fine si rivelano avere una natura molto terrena e, a volte, truffaldina.

Queste avventure sono un invito dichiarato a non credere a tutto ciò che si vede, a non fermarsi alle apparenze, e sono i personaggi stessi ad indicarci quali sono i comportamenti sbagliati e quelli corretti. I primi li vediamo messi in opera da Paperino e Paperone, più propensi a fidarsi dei propri occhi e delle proprie paure; i secondi sono invece quelli attuati da Qui, Quo e Qua che agiscono in modo più razionale, vincendo l’iniziale, istintiva paura e fermandosi a riflettere. E così facendo scoprono uno spaccato di umanità composto da personaggi senza scrupoli, che spesso sfruttano l’atavico timore dell’ignoto per il proprio tornaconto.

Paperino e l’anello maledetto è appena la seconda storia lunga scritta da Barks, e si vede. Piuttosto elementare nella scrittura e nello sviluppo, è più che altro un pretesto per un’avventura di facile richiamo che sfrutta la popolarità del film di Karl Freund del 1932, dando modo all’autore di prodursi in quello che sarà uno dei tratti caratteristici del suo stile: le ambientazioni estremamente realistiche soventemente contaminate con elementi esistenti.

Barks reinterpreta il tempio della regina Hatshepsut, sulle rive del Nilo
Le mummie Disney sono decisamente più vivaci

Pur non mancando scene di atmosfera come quelle a bordo della nave, più che di un horror sembra di essere al cospetto di un peplum, complici anche gli strambi personaggi che animano le tavole, e la vicenda si risolve svelando, dietro le bende della mummia, un semplice ladruncolo.

Paperino e il terrore di Golasecca attinge al mito dei serpenti marini, dal biblico Leviatano, a Scilla e Cariddi, al mostro di Loch Ness. Ancora una storia acerba ma decisamente più orientata verso la suspense, con il mistero sull’identità del mostro che permane fino a oltre metà vicenda. Questa volta il cattivo è più di un semplice ladruncolo, è uno che non trae vantaggi economici dalle sue azioni ma agisce solo per il piacere che gli provocano le sue malefatte. Anche se alcuni atteggiamenti e la fisionomia, con quei denti sporgenti e lo sguardo a tratti bovino, sembrano suggerire che non sia quel pericolo che può apparire a prima vista, incarna comunque un pericolo concreto, forse neanche del tutto sano di mente, e ci vogliono la sagacia e la determinazione di tre piccoli paperini per averne ragione.

Sulla stessa linea, ma ancora più malvagio, è “Benzina” Banzoni (“Benzine” Banzoony in originale), protagonista di una storia perturbante al punto che l’editore reputa necessario modificarne le due vignette finali per trasformarla in un innocuo sogno del protagonista.

Un Paperino decisamente su di giri

Paperino e l’incendiario è in effetti, pur nella sua brevità, un compendio di situazioni limite: imperniata sulla piromania, una condizione clinica le cui cause si perdono nei meandri della psichiatria, nelle sue pagine vediamo un Paperino visibilmente segnato da un incidente domestico e trasformato in un incendiario che grida frasi apocalittiche, la città di Paperopoli messa a ferro fuoco da un misterioso piromane, Qui, Quo e Qua (e il lettore con loro) che si convincono che il colpevole sia lo zio e infine lui, appunto, “Benzina” Banzoni, piromane vero e in quanto tale precedentemente rinchiuso, diabolico e spietato al punto da voler bruciare la città e anche suo fratello, “colpevole” di averlo fatto internare.

Come succederà anche in seguito, l’impianto generale è umoristico ma sottotraccia si muove un rivolo di inquietudine, un senso di amaro che non si dissolve con la fine della storia. Da qui evidentemente la decisione dell’editore di cambiarne totalmente la natura trasformandola in un qualcosa di mai veramente accaduto. E forse ha contribuito anche il fatto di aver dato (volutamente?) una visione delle forze dell’ordine in qualche modo ambigua, con i due Banzoni, uno fuorilegge e l’altro poliziotto, ma gemelli e quindi indistinguibili.

Il segreto del vecchio castello riprende un topos classico: il castello infestato. Le mura avite del maniero de’ Paperoni in Scozia sembrano fare da rifugio al fantasma del duca Quaquarone: apparizioni spettrali, sarabande di inseguimenti, colpi di scena, tutto l’armamentario del racconto gotico sfila pagina dopo pagina. Storia fondamentale nella genealogia papera, dal punto di vista del racconto presenta sequenze di notevole effetto pur con un finale penalizzato da una trovata alquanto semplicistica come il siero che rende invisibili.

Apparizioni fantasmatiche nel vecchio castello

Tocca nuovamente ai nipotini la parte dei saggi e assennati, mentre i loro zii non brillano per coraggio. Paperone, appena alla sua seconda apparizione e ancora in via di definizione, è forse il più pavido di tutti, mentre Paperino, pur non brillando per spavalderia, recupera comunque tutto il suo coraggio al pensiero che i suoi nipoti possano essere in pericolo. Come già nelle precedenti avventure, comunque, anche in questa occasione le nebbie del mistero si dissolvono per lasciar vedere come dietro tutto ci sia ancora una volta una mano umana e disonesta.

Un primo punto di svolta si era però già avuto con Paperino e il fantasma della grotta del 1947, dove a un’idea di base molto suggestiva si accompagna una trasposizione su tavola degna di chi ha ormai una vera padronanza del mezzo espressivo. Lo spunto non appare originale al 100%: la leggenda di un personaggio in apparenza immortale ma che in realtà si perpetua istruendo un successore che poi prenderà il suo posto sembra provenire direttamente dall’epopea dell’Uomo Mascherato (Phantom in originale) risalente a un decennio prima. Le somiglianze con l’eroe di Lee Falk, però, finiscono qui.

La storia dell’Uomo mascherato

Quella raccontata da Barks è un’avventura carica di inquietudine, con scomparse misteriose e altrettante misteriose apparizioni, dove ciò che viene presentata come un’entità che ha sfidato le leggi del tempo si rivela essere invece la vittima dell’estremo senso del dovere di un ufficiale di Sir Francis Drake.

il fantasma della grotta

L’entrata in scena del “fantasma”

Una vicenda in gran parte notturna, con intere sequenze affidate unicamente alle silhouette dei personaggi: sul foglio ci sono solo sagome nere, eppure bastano pochi piccoli particolari (il luccichio di una lama, delle goccioline di sudore, le pose dei personaggi) per permetterci di visualizzare le scene come se fosse tutto in piena luce. D’altronde Barks era un vero maestro in questo.

Certo non mancano le gag, su tutte l’assalto finale dei Paperi con la loro arma segreta, il topolino Montmorency, che alleggeriscono la lettura e stemperano molto l’atmosfera decisamente cupa creatasi. E la vignetta conclusiva, con un vecchio restituito infine al suo mondo, sembra risolvere l’avventura con un lieto fine, ma resta un retrogusto acre. Se ci si sofferma a riflettere su cosa effettivamente è accaduto, non si può non concludere che un bel vestito e un gruzzolo di soldi non sono un risarcimento sufficiente per una intera vita sprecata, né possono cancellare il pensiero di tanti bambini sottratti nel corso dei secoli alla loro esistenza per trascorrere la propria vita nei sotterranei di una scogliera, custodi di una missione che non gli apparteneva.

Vita da strega

È nello stesso anno del Segreto del vecchio castello che, infine, il realismo e la concretezza lasciano il passo al trascendente.

Personaggi presenti nel folklore di innumerevoli popoli, le streghe hanno radici lontanissime, già citate in testi assiri ed egizi. Il nome, derivante dal latino stryx, non è solo quello di un favolistico rapace notturno che succhia il sangue dei bambini ma, onomatopeicamente, richiama il loro verso stridente e in qualche modo ne delinea anche l’immagine più diffusa: una creatura che agisce nell’oscurità, dall’aspetto sgradevole e votata al male. Proprio questa tipologia di strega incrocia la strada di Barks, ma in sole due occasioni e per motivi particolari.

Con L’albero di Natale tutto d’oro il soprannaturale entra per la prima volta nell’opera del cartoonist e lo fa con una delle sue storie più singolari e al tempo stesso più travagliate. Commissionatagli dall’editore, è una vera e propria favola in stile fratelli Grimm, con richiami espliciti a racconti come Hansel e Gretel, cui Barks aggiunge tocchi di satira sul consumismo delle festività. Curiosa la caratterizzazione della strega, che fisicamente è modellata su quella apparsa in Biancaneve e i sette nani.

Se non è lei, le assomiglia molto…

Da interviste e risposte ai fan si capisce come non ci sia stata la massima armonia tra l’autore e i redattori: la storia originaria come concepita dal primo è stata oggetto di ripetute modifiche, ma tutta la vicenda risente della contrapposizione tra le due parti. Da un lato l’editore che vuole una storia prettamente festiva, di buoni sentimenti che si esplicitano nella rappresentazione dello spirito del Natale sotto forma di albero addobbato, dall’altro Barks che non è soddisfatto all’idea di usare una strega per una motivazione alquanto bizzarra oltreché narrativamente debole (la potete leggere nell’immagine precedente).

Tuttavia la vicenda si lascia leggere con piacere, complice il ribaltamento di ruoli dettato dalle necessità di trama, con i nipotini che appaiono nettamente più “infantili” e ingenui che in altre occasioni e Paperino, perspicace e determinato, che ingaggia una furiosa battaglia con la megera. Tra l’altro è una delle pochissime storie Disney dove un personaggio muore davvero (ma Barks in questo sarà recidivo, come vedremo più avanti), seppur con una trovata che ha un che di posticcio: la strega è indotta a trasformarsi in una tanica di benzina e Paperino la scaraventa involontariamente in un burrone, in un attacco di rabbia.

Così finisce la strega cattiva…

L’autore appare decisamente più ispirato quando, quattro anni dopo, realizza un adattamento del corto animato Trick or Treat (il cui titolo in italiano suona come Paperino e le forze occulte).

Ambientata nella notte di Halloween, la storia è una sarabanda di folletti, incantesimi e sortilegi, orchestrati dalla strega Nocciola, qui al sui debutto sulla carta stampata. Avventura leggera e scanzonata si ricorda sicuramente per il ritmo forsennato, per tutto il campionario orrorifico evocato, per un sabba e per l’orco più cattivo di casa Disney, Smorgasbord, meglio noto come Smorgie il malvagio!

Smorgasbord

L’orribile orco Smorgasbord (provate a cercare, se già non la conoscete, la traduzione del suo nome dal norvegese)!

Mentre le “signore” di cui sopra non appariranno più nelle storie di Barks, nel 1961 ecco fare la sua comparsa un personaggio che invece tornerà più volte nella sua produzione e diventerà un membro della banda dei Paperi a tutti gli effetti: Magica de Spell, ovvero Amelia, la fattucchiera che ammalia.

La differenza con le due precedenti “colleghe” è già nel termine con cui sono identificate in originale: le prime sono delle “witches“, la seconda si presenta essa stessa come “sorceress“.

Anche se i due termini nell’uso comune sono spesso considerati come intercambiabili, e lo stesso accade con i corrispettivi italiani “strega” e “fattucchiera” (o “maga”), c’è in realtà una profonda differenza. Senza addentrarsi troppo in dettagli da antropologi, può bastare come discrimine il fatto che le prime hanno poteri innati, le seconde invece li acquisiscono attraverso lo studio e la pratica.

I poteri di una fattucchiera non vengono quindi dal suo essere, ma richiedono aiuti esterni come incantesimi (spells, appunto), pozioni. Nelle storie italiane le due versioni, vista anche la necessità di reperire nuovi spunti, hanno finito per fondersi, ma in quelle di Barks è ben evidente come Amelia sia effettivamente una sorceress: usa illusioni, incantesimi, trucchi.

Non solo incantesimi e pozioni, Amelia usa anche trucchi elettronici

Il fatto quindi di non avere a che fare con una entità sovrannaturale, ma piuttosto con una umana molto abile, consente di dar vita ad uno scontro tra lei e Paperone più equilibrato di quanto non ci si aspetterebbe: Amelia non è pasticciona e bonaria come Nocciola ed è dannatamente pragmatica a differenza della strega di Biancaneve. Se avesse avuto gli stessi, illimitati poteri, non ci sarebbe stata storia.

Così invece Barks può presentarci un Paperone scettico come lo era fondamentalmente lui, che tratta la fattucchiera con la stessa accondiscendenza che si riserva a qualcuno a cui manchi una rotella, salvo poi rendersi conto che quella che aveva giudicato con sufficienza è invece una rivale agguerrita e temibile.

Amelia

Se Paperone l’avesse guardata bene negli occhi, forse sarebbe stato meno precipitoso nel definirla “suonata” e “innocua”

Non essendo una strega, Amelia non ha l’aspetto tradizionalmente associato a queste ultime dal folklore, una vecchia di sembianze sgradevoli e malvestita. È invece una una maga e a maghe come Circe e Medea, belle, ammaliatrici e tentatrici, assomiglia: capelli corvini con riflessi azzurri, sinuosa, molto femminile (si dice ispirata a Sophia Loren e alla Morticia Addams dei fumetti), sguardo mefistofelico, attributi con i quali si guadagna in pieno l’appellativo che le verrà dato da noi. E se, come detto, non è demoniaca la sua natura, è tale la sua indole, come si intuisce da molte espressioni.

Già nella sua storia d’esordio, Zio Paperone e la fattucchiera, prende forma quella che sarà la sua ossessione: il primo decino guadagnato da Paperone, la moneta che più di tutte è stata a contatto con il papero più ricco del mondo. Quel decino, insieme a quelli di altri miliardari, darà ad Amelia la possibilità di creare un amuleto che la renderà «ricca, ricca, RICCA!».

Le storie successive sono imperniate sullo stesso tema, una rincorsa infinita alla Numero Uno con la famiglia dei Paperi sempre pronta a contrastarla. Tra tutte vale la pena menzionare almeno quella che la vede ripercorrere le orme della sua più diretta “progenitrice” perché segna il punto di svolta della sua carriera. Fino ad allora le sue abilità erano state quelle di una illusionista o poco più, ricorrendo anche a trucchi chimici o tecnologici (nella stessa storia di cui stiamo per scrivere, per spezzare la catena a cui è assicurata la moneta pensa di ricorrere nientemeno che a una fiamma ossidrica!).

In Zio Paperone novello Ulisse non solo prende forma piuttosto esplicitamente il connubio “maga-lussuria”, con un’Amelia consapevole della sua carica seduttiva, voluttuosamente distesa su una dormeuse e Paperone e Paperino balbettanti e imbarazzati di fronte a lei, ma entra direttamente in scena la vera magia: i filtri e gli strumenti ritrovati nell’antro della Circe autentica la trasformano in una strega a tutti gli effetti, che non esita a mutare in animali i nipoti del vecchio papero.

Una posa languida, un battito di ciglia e i paperi non capiscono più niente

Lieto fine d’obbligo nel quale Qui, Quo e Qua si confermano nuovamente come i più razionali e assennati, ma è solo l’inizio di una lunga saga che continuerà in particolare nelle storie italiane (con alterne fortune).

I Walked with a Bombie

Tra le storie “horror” di Barks un posto di rilievo spetta all’immortale (è il caso di dirlo!) Paperino e il feticcio del 1949. Bombie lo zombi, il Gongoro delle versioni italiane, è uno dei personaggi più tristi e malinconici che incontriamo in questo nostro percorso, capace di impadronirsi della scena relegando Paperino & Co. al ruolo di comparse neanche troppo gradevoli.

Presi di peso dall’immaginario haitiano, gli zombi erano arrivati al cinema già negli anni Trenta con L’isola degli zombies interpretato da Bela Lugosi. Tuttavia l’immagine più diffusa, prima della rivisitazione di Romero, è quella fissata nel 1943 da Jacques Tourner in Ho camminato con uno zombie, grande successo dell’epoca, e ripresa da Barks per la sua storia.

Lo zombi di Barks e quello di Tourner

Paperino e il feticcio è un’avventura molto complessa, ricca di sottotesti, reali o solo supposti. Ritratto secondo canoni oggi improponibili, vista la vigente politically correctness, Bombie impersona la quintessenza dell’emarginato e c’è anche chi ha visto in lui la rappresentazione allegorica di un tossicodipendente. Addirittura, secondo Thomas Andrae (tra le altre cose, editor della Carl Barks Library) il mutismo di Bombie rappresenta la mancanza di voce dei neri d’America in quegli anni.

Effettivamente, le descrizioni che vengono fatte dello zombi sembrano suggerire o alludere a qualcosa, basti pensare alle parole del professor Cornelius McCobb, altra vittima della stregoneria: «Zombies are merely people that were drugged by witch doctors! They don’t eat or sleep or feel anything! All in all, they’re very well off!».

Paperino e Bombie

Un risveglio alquanto traumatico per Paperino

Senza volare troppo con le interpretazioni, è indubbio che si tratta di una storia in cui le situazioni da brivido (come quando Paperino si sveglia e vede lo zombi ai piedi del letto) e gli spunti comici vanno di pari passo con le sue implicazioni sociali e tutti ne escono in maniera poco lusinghiera: Paperone, ancora lontano dalla sua caratterizzazione definitiva, dà prova di essere uno spietato uomo d’affari di fine Ottocento, di quelli che non si fermano davanti a nulla, mentre Paperino non è più il papero pieno di buona volontà che si ingegna in mille mestieri ma un pavido scroccone.

Le reazioni dei cittadini pieni di pregiudizi verso qualcuno che turba il loro status quo, la legge che se la dorme beatamente, i selvaggi avidi né più né meno dei ricchi occidentali, i quiz-show che regalano soldi a pioggia a gente che non li merita, Barks sembra averne per tutti. Salva soltanto il povero Bombie che, ormai orfano della sua missione, ha solo l’istinto a spingerlo da Paperino, l’unica persona che in qualche modo rappresenta qualcosa per lui, anche se non sa neanche cosa.

Insomma, è un’avventura che andrebbe vivisezionata vignetta per vignetta, perché in ognuna di esse, in ogni battuta, si possono cogliere tante sfumature. Anche il finale è tutt’altro che un happy ending: Paperino è salvo e con i nipotini è pronto a tornare a casa, ma non hanno esitato a usare come proiettile umano il povero Gongoro (che pure aveva pianto con loro e al quale erano sembrati sinceramente affezionati), del quale si perdono definitivamente le tracce. Ma almeno Barks lascia una “speranza”, sempre per bocca del professor McCobb: tra qualche secolo Bombie tornerà ad essere un uomo normale.

I pregiudizi della gente nei confronti dei “diversi”

Questi fantasmi!

I fantasmi sono forse le entità misteriose che più spesso hanno fatto la loro apparizione nelle storie di Barks. È interessante però chiedersi che cosa sono e che origine hanno effettivamente i fantasmi per il cartoonist dell’Oregon.

Come abbiamo già visto l’autore è tendenzialmente scettico e predilige una spiegazione razionale. Dietro il fantasma della grotta c’era un vecchio ormai stanco: il commento di Paperino alla scoperta che non hanno davanti un tizio vecchio di cinquecento anni («Thanks! Now I can start believing ye calendar again!») sembra un’esortazione dell’autore al suo pubblico a non credere ad altro che nelle cose reali. Anche il fantasma del duca Quaquarone non era veramente tale, impersonato da un altro vecchio ma in quell’occasione con intenzioni truffaldine.

Sono finti gli spiriti di Zio Paperone a caccia di fantasmi, nient’altro che dei corvi ammaestrati da un residuato di un’epoca, quella del West, che sta – lei sì! – diventando spettrale al cospetto del progresso.

Tutto ciò che resta di Goldopolis e del vecchio West

Parimenti falso è il fantasma di Last Gasp, dietro i cui sinistri singhiozzi che hanno portato all’abbandono della cittadina da parte dei suoi abitanti si cela lo sceriffo Wild Bill Trueshot, soprannominato Wild Bill Hiccup, al quale il parossistico fenomeno ha bloccato l’orologio biologico.

Anche la leggenda del cane dei Whiskerville, a dispetto dell’ambientazione nelle sinistre brughiere scozzesi come nell’originale di Conan Doyle, si risolve in maniera innocua rivelando, sotto il costume del leggendario mastino, un artista a disagio con il passato dei propri antenati (non abbastanza però da evitargli di comportarsi esattamente come loro!).

La misteriosa ombra si muove rapida e sicura come un fantasma tra le architetture della cattedrale

E non è autentico nemmeno il ben più celebre fantasma di Notre Duck. La somiglianza di questa storia, anche se solo superficiale, con il quasi omonimo romanzo di Leroux (ma anche, inevitabilmente, con il Notre Dame de Paris di Hugo) dovrebbe mettere il lettore sulla giusta strada.

Per l’intera vicenda vediamo all’opera, infatti, un’ombra sfuggente e agguerrita, dalle intenzioni apparentemente malevole, pronta a tendere ogni tranello a Paperone e ai suoi nipoti tra i sotterranei e le guglie della cattedrale gotica di Paperopoli.

Alla fine scopriamo che è solo un tipo succube di un’insana passione (peraltro condivisa dallo Zione): Barks non ci racconta null’altro di lui, ma non serve, sono sufficienti la sua espressione triste, le sue lacrime, per farci capire che anche questa volta siamo davanti non ad uno spettro, ma ad un “sopravvissuto”, un solitario che non chiede altro che una manciata di monete per assecondare la sua ossessione.

Olandese volante

L’Olandese Volante in un quadro di Albert Pinkham Ryder

Anche quando si tratta di leggende preesistenti, Barks predilige ascoltare la voce del raziocinio. Un capitano olandese, la sua nave che fa la spola tra l’Europa e le Indie, una traversata particolarmente dura tanto da farlo inveire contro Dio o costringerlo a un patto col diavolo, forse un crimine commesso sul vascello, magari un contagio che esclude all’equipaggio possibilità di attracco: sono tante le versioni che danno origine a una delle leggende nautiche più note e affascinanti, quella dell’Olandese Volante, un vascello obbligato a solcare i mari in eterno, senza meta e senza poter trovare riparo in nessun porto, una variante marinara della storia dell’ebreo errante, costretto a vagare per sempre senza poter morire.

Quando Barks scrive Zio Paperone e il vascello fantasma è il 1959. Due anni prima Romano Scarpa, giovane fumettista italiano pieno di idee e di talento, aveva già dato la sua versione del racconto mettendo in scena, senza troppi problemi, il fantasma di un avo di Paperone.

L’autore americano invece, pur confezionando una storia avventurosa e intrigante, sposa quella che viene considerata la teoria più attendibile sul fenomeno: le apparizioni della nave, fluttuante a mezz’aria tanto da far pensare a una imbarcazione fantasma, sono solo una illusione ottica, una sorta di fata morgana.

Un’antica nave imprigionata nel ghiaccio, i raggi del sole che la proiettano lontano: ecco l’origine dell’Olandese Volante secondo Barks

Per Barks non esistono dunque i fantasmi? Forse non nel senso comunemente attribuito a questa parola, ma sì, i fantasmi esistono e ce lo ha mostrato in diverse occasioni.

Dopotutto, lasciando da parte sottigliezze troppo specifiche come Doppelgänger e altri, queste entità sono dei testimoni di un tempo passato. In tal senso, non lo sono forse i personaggi di Paperino e la sposa persiana? In questa storia del 1950, gli abitanti di uno degli imperi più grandi dell’antichità risorgono dalle loro ceneri come l’araba fenice.

Il misterioso e oscuro scienziato di cui non ci verrà svelato nemmeno il nome

La presenza di un personaggio sinistro ed inquietante, un prototipo del perfetto “mad scientist, un incipit da manuale del film horror, una città dimenticata e sepolta dalla sabbia millenni prima: gli ingredienti per una lettura da brividi ci sono tutti, ma Barks vuole giocare con la storia antica e coi suoi misteri. Prima lo fa intuire chiamando la città perduta Itsa Faka (“It’s a fake”) e poi lo rende manifesto, scegliendo la strada della farsa, preferendo dare spazio ai risvolti comico-sentimentali inaspettati di un triangolo amoroso tra Paperino, un suo sosia persiano e la risorta, e tutt’altro che leggiadra, figlia del re. Il nome originale di quest’ultima, Needa Bara Soapa, “ho bisogno di una saponetta”, è sia uno sberleffo, sia un omaggio a Theda Bara, la vamp per antonomasia del cinema muto.

Needa Bara (Soapa) e la quasi omonima Theda Bara

Il tono cambia totalmente in Paperino nel tempo che fu. Questa volta Barks non ha voglia di scherzare, il suo racconto si tinge di romanticismo e i fantasmi che emergono dal passato (o magari solo dalle nebbie di un sogno) sono quelli di un’epoca scomparsa per la quale sembra provare una forte nostalgia.

In questa storia l’autore trasporta i Paperi nella California del 1848, tra Los Angeles e la San Jacinto Valley, una zona che conosceva per averci vissuto a lungo. Nel passato i protagonisti rivivono la storia di Ramona, una ragazza mezzosangue, e Alessandro, un indiano, protagonisti del romanzo scritto da Helen Hunt Jackson.

I Paperi sperimentano l’ospitalità della California che fu

Nelle pagine del fumetto i personaggi prendono il nome di Panchita e Rolando, mentre la presenza dei Paperi porta al lieto fine assente nel libro. Ma la vera protagonista del racconto è la California di metà Ottocento, quella della corsa all’oro nel fiume Sacramento e delle missioni spagnole, dei ranch e dei cercatori senza scrupoli: Paperino e i nipotini si muovono lungo il Camino Real (la strada che collega le missioni spagnole in California, da San Diego a San Francisco) e rivivono quel periodo, tornando indietro nel tempo ma accettando la cosa come se fosse del tutto naturale.

Quando alla fine ritornano nel presente (o meglio, si risvegliano), tutti e quattro ricordano perfettamente il sogno come se, appunto, non fosse stato una semplice esperienza onirica.

E ancora alcuni spettri del passato sono protagonisti di un’altra delle storie più dolenti del cartoonist, l’ultima scritta prima di ritirarsi e per questo motivo disegnata da Tony Strobl. In Re Paperone I facciamo la conoscenza di Khan Khan, strana figura di mago che, come Amelia, usa indifferentemente magia e tecnologia.

Egli è in realtà il sovrano di un antico regno mediorientale che grazie ad una polvere magica è diventato immortale.
Ma questa tragica figura di monarca ci fa capire come l’immortalità possa essere un peso troppo grande se non si ha nessuno con cui dividerla, se il proprio popolo è scomparso da tempo.

Dopo quattromila anni però trova in Paperone e nipoti i discendenti di coloro che lo sconfissero. Ecco quindi che, grazie ad un filtro magico, i Paperi si ritrovano in un passato che non hanno vissuto direttamente ripetendo, come in stato di ipnosi, le gesta dei loro antenati. L’obiettivo di Khan Khan è trovare l’antidoto che può mettere fine alla sua eterna solitudine e raggiungere con le ultime forze i suoi sudditi che «sono ormai polvere nel deserto, da tanto tempo».

Un momento atteso per quaranta secoli

Conclusioni

Si potrebbe continuare con tante altre storie non tutte prettamente in tema ma che meriterebbero comunque di essere citate, perché Carl Barks è sempre stato abile nel creare suspense anche con pochi elementi, dalla leggenda della pietra filosofale al mito di El Dorado, dalle arpie a guardia del vello d’oro al loup garou creato quand’era già in pensione.

Non è inquietante l’idea di un oggetto apparentemente innocuo, come un elmo vichingo, ma evidentemente in grado di corrompere le menti delle persone più insospettabili, portando a galla il lato peggiore di ognuno?

Non trasmette forse angoscia lo sceriffo di Val Mitraglia che si avvia verso una missione suicida nelle terre maledette («The Badlands! […] Its dank caves the breeding places of fear and hate and its ugly rocks dark with the stain of crimes forever unrecorded!») raccomandandosi di ricordarlo alla sua famiglia?

Un tutore dell’ordine pronto all’estremo sacrificio

Barks è stato un grandissimo narratore e non poteva quindi non ricorrere anche a queste tematiche, dato che la paura è prima di tutto un sentimento e come tale fa leva su ciò che ci portiamo dentro e che in qualche modo non vogliamo ammettere. Una vecchia casa buia e disabitata è solo una vecchia casa, ma rimette a nudo in noi timori ancestrali, legati a ciò che non riusciamo a vedere. Un morto è ovviamente inoffensivo ma rappresenta comunque la fine della nostra esistenza. Meglio allora popolare le prime di fantasmi e riportare in vita i secondi.

In questo modo stiamo cercando una spiegazione irrazionale a fenomeni normali che non riusciamo ad accettare. Vogliamo qualcosa, anche di impossibile, che esorcizzi i nostri timori e non metta in discussione ciò in cui crediamo. In fondo è il ruolo che assolvevano un tempo le fiabe, anche quelle apparentemente più crudeli: esse non fanno altro che rappresentare, in forma allegorica, le paure dei bambini, le difficoltà a cui andranno incontro nel processo di maturazione. L’intervento dell’autore fa poi in modo che gli aspetti più spaventosi vengano filtrati dalla poetica della narrazione ed equilibrati dal lieto fine.

Ecco spiegato in fondo il successo dei fumetti: essi non sono altro che fiabe contemporanee e cioè narrazioni che utilizzano il linguaggio attuale per parlare ai lettori. Non sorprenda quindi l’eredità di un vasto campionario di personaggi e tematiche da brividi che Barks ha lasciato, come una sorta di “terzo fratello Grimm”. Ci auguriamo che questo articolo serva non solo a farvi rileggere molte sue storie ma anche a scoprire e approfondire tutto ciò da cui ha tratto ispirazione.

Autore dell'articolo: Gianni Santarelli

Abruzzese, ingegnere elettronico riconvertito in quel che serve al momento. Il mio rapporto con i fumetti segue tutta la trafila: comincio a cinque anni con le buste risparmio della Bianconi (sovvenzionato da mia zia), poi Disney, i supereroi Corno, i Bonelli (praticamente tutti, anche se abbandonati man mano). Verso i 18 anni scopro le riviste della Comic Art, leggo "Stray toaster" di Sienkiewicz e inizio un giro del mondo fumettistico che ancora non termina. Fumetto franco-belga, argentino, americano, autori celebri e sconosciuti, tutto finisce nella mia biblioteca, molto aspetta ancora di essere letto, nel frattempo dilapido una fortuna. Su due cose sono profondamente ignorante: i supereroi "classici" (ad eccezione di Batman, per cui ho una venerazione, non leggo una storia dell'uomo ragno & c. dagli anni 80) e il fumetto giapponese. Per il Papersera, con il nick "piccolobush", collaboro all'annuale premio, scrivo qualche articolo quando necessario e mi occupo, con puntuale ritardo, del settimanale "Topolino"