Topolino 3570

04 GIU 2024
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Sette anni e mezzo. Tanto abbiamo dovuto attendere perché fosse dato alle stampe il nuovo capitolo di uno dei cicli disneyani più apprezzati, quello del continente perduto. Era l’ottobre del 2016 quando usciva Topolino e il raggio di Atlantide, terza avventura della serie ideata da Casty dopo Topolino e il Colosso di Rodi (agosto 2005, unica disegnata da Giorgio Cavazzano) e Topolino e le miniere di Fantametallo (febbraio 2011).

Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, e gli appassionati cominciavano seriamente a temere che una quarta storia non vedesse mai la luce. Per fortuna, non è stato così, e siamo più che lieti di questa improvvisa e favorevole congiunzione astrale.

Il primo episodio di Topolino e la Spectralia Antartica occupa il posto d’onore del numero, con tanto di copertina dedicata da Corrado Mastantuono (la variant realizzata in occasione di Napoli Comicon 2024 è invece opera dello stesso Casty). Compiuti diversi passi indietro nel tempo rispetto al prologo in medias res della scorsa settimana, l’autore goriziano introduce subito alcuni nuovi personaggi, accompagnandoci per mano alla loro conoscenza.

Nelle sei pagine iniziali, che si svolgono “parecchi anni fa” sull’isola Cinerea, vediamo il menobarone Blandau contattato, tramite il servitore Minuzio, da tre scienziati, cui intima di procedere a un delicato esperimento. Esso non sortisce gli effetti sperati, conducendo al veemente risveglio del vulcano e addirittura all’inabissamento del territorio. Su tutto aleggia l’ombra minacciosa del carismatico piubarone Orbes, cugino di Blandau, del quale solo più tardi scopriremo le fattezze, in un racconto per immagini simile a un cinegiornale d’epoca, reso oltremodo suggestivo e inquietante anche dall’azzeccato utilizzo delle tonalità di grigio.

L’esperimento non ha funzionato. O meglio, ha funzionato troppo!

Torniamo poi ai giorni nostri, con Topolino, Pippo ed Eurasia Tost in trasferta a Tierralinda, in Argentina, dove il professor Vespez, un ricercatore locale, ha informazioni riservate su Atlantide da comunicare all’archeologa. Come sappiamo, però, la Società delle Lepri Viola dispone ovunque di strategiche diramazioni e, guarda caso, Bixby, l’affabile direttore del Museo di storia naturale, è una di esse. Destreggiandosi in qualche maniera con il risponditore automatico dell’apposito call center (!), questi riesce a parlare al telefono con Blandau, divenuto piubarone in seguito all’inesplicabile scomparsa di Orbes, informandolo di ciò che sta avvenendo sotto i suoi occhi. E qui, ovviamente, le Lepri Viola rientrano di prepotenza in gioco…

Casty appare in gran forma. Lasciato libero di scegliere e miscelare gli ingredienti a proprio piacimento, è sempre in grado di sfornare le leccornie prelibate cui ci aveva abituato. Già questa puntata appaga il palato, lasciando comunque l’acquolina in bocca per ciò che verrà.

Vi sono, in dosi calibrate, mistero, azione, avventura, qualche citazione sottile (a Scarpa ma anche a se stesso), l’inconfondibile humour. A tratti l’atmosfera è da brivido, ma non manca mai, in perfetto stile gottfredsoniano, quel tocco ironico che stempera la tensione al momento giusto (a titolo esemplificativo, l’intera pag. 40, da «Rumingo è un lazzarone!» in poi, è irresistibile), riaccendendola, però, con maestria quando occorre. I bei disegni dall’impronta classica, alcune vignette di forte impatto e l’ottima colorazione di Manuel Giarolli (senza dimenticare le chine della fida Michela Frare) fanno il resto.

Fin qui, insomma, l’agognato ritorno di Casty al kolossal è stato senz’altro all’altezza delle enormi aspettative. La curiosità per come procederanno gli eventi, e per capire chi sia e che ruolo abbia Orbes, è fortissima.

Giunge all’epilogo Il Mondo di Ghiaccio – Amelia oceanica contro le streghe vulcaniche. Nella quarta e ultima puntata, Bruno Enna miscela con abilità azioni e spiegazioni, risolvendo l’intrigo magico da par suo, senza lasciare alcunché in sospeso. Almeno per il momento…

Nomi e fisionomie da assimilare

Prosegue con successo l’approfondimento psicologico di Amelia, che sta spalancando dinanzi alla fattucchiera che ammalia orizzonti finora inesplorati. Va detto che, tra un colpo di scena e l’altro, comprendere in pieno ogni accadimento non risulta impresa semplice. Più che il ritmo frenetico, il montaggio alternato o la costruzione spesso non lineare delle tavole, aspetti cui il lettore moderno è gradevolmente avvezzo, a far perdere talvolta il filo della narrazione è l’uso massiccio di personaggi nuovi (o quasi), pur ben caratterizzati sul piano grafico, con frequenti rimandi ai loro nomi nei dialoghi, come fossero ormai assimilati. Prestando attenzione, comunque, la storia si rivela godibile e il messaggio di pace tra le due fazioni colpisce nel segno. Tutto ciò grazie anche alle dinamiche matite di Giuseppe Facciotto, che conferma il buon lavoro svolto nelle puntate precedenti, lanciandosi persino in vignette a tutta pagina con le streghe raffigurate in stile Avengers.

Impegno doppio, questa settimana, per Marco Bosco, che firma la breve Zio Paperone e il risparmio in bolletta e la più articolata Qui, Quo, Qua e l’avventura in archivio. Se la prima è una simpatica gag allungata, resa con efficacia da Valerio Held, la seconda inaugura un nuovo ciclo, La Casa delle Storie, dedicato ad alcune vicende che prendono l’abbrivio da documenti emersi negli archivi storici. Le Giovani Marmotte agiscono in Campania, e chi meglio di Blasco Pisapia poteva ritrarne i magnifici paesaggi? In effetti, certi scorci, a partire da quello rappresentato nella vignetta d’apertura, lasciano senza fiato, impreziosendo una sceneggiatura di stampo didattico che vede i nipotini, accompagnati dal Gran Mogol, muoversi tra varie location in una sorta di caccia al tesoro. Nulla di particolarmente elaborato e originale, ma una storia piacevole e ben congegnata, seppure dalla risoluzione fin troppo rapida. Tutto sommato, si tratta di un debutto che lascia ben sperare in vista dei prossimi appuntamenti.

Siamo in Campania… e si sente!

Tra le due opere di Bosco troviamo Servizio compreso, per la serie Gli allegri mestieri di Paperino. Realizzata da Tito Faraci ed Enrico Faccini, narra le peripezie di Donald nelle vesti di tuttofare in un ristorante di lusso PdP. Ambientata in orario serale (ma anche a fine turno il cielo tende all’azzurro chiaro…), la storia strappa un sorriso qua e là, richiamando alla mente, a chi abbia nel curriculum qualche esperienza nel settore, situazioni analoghe vissute in prima persona.

Ad aprire e chiudere l’albo sono il consueto Che aria tira di Silvia Ziche, con Pippo (a quanto pare spostatosi a Paperopoli…) che ci delizia con le sue perle di filosofia, e Date, one page della serie Battista maggiordomo esistenzialista, scritta da Roberto Gagnor e Simone Tempia, disegnata da Carlo Limido.

In sintesi, un numero già piuttosto valido è nobilitato dalla prima parte di una storia che, mantenendo il livello attuale, si staglierebbe tra le vette assolute della produzione disneyana recente.



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Autore dell'articolo: Fabrizio Fidecaro

A cinque anni cominciai a leggere Topolino, a sette fui travolto dal vento del sud. Da allora il fumetto Disney ha sempre fatto parte della mia vita. Amo lo sport (da spettatore), i libri di John Fante e Simenon, i film di Hitchcock e Wes Anderson. Il Papersera mi ha dato l'opportunità di incontrare grandi autori e nuovi amici.